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Liberté, Egalité, Internet

di Tommaso Edoardo Frosini (via Confronti Costituzionali) [*] 1. Nel Ventunesimo secolo l’antiliberalismo si misura su Internet. Infatti, è diventato questo il luogo dove si manifestano le intolleranze, si esercitano le censure e si imbavaglia il dissenso online. Quanto di recente successo in Turchia, dove è stato vietato dal premier Erdogan l’accesso ai social network (twitter e youtube), è emblematico delle forme di allergia che alcuni Stati mostrano di avere nei confronti del web. Muri virtuali vengono eretti al posto di quelli di pietra: ci sono Paesi che hanno costruito barriere elettroniche per evitare l’accesso a parte della rete globale, e lo hanno fatto cancellando parole, nomi e frasi chiave dei motori di ricerca, oppure violando la privacy dei cittadini. Una nuova cortina d’informazione sta scendendo su una parte del mondo, dove i video e i blog sono ormai i samizdat dei giorni nostri. Questo però conferma la vocazione liberale di Internet, e la paura che di questa libertà globale mostrano di avere Paesi intolleranti alla tecnologia, perché la vivono come una minaccia al loro potere assoluto. I nemici di Internet sono sparpagliati nel mondo. E non si tratta solo di stati autoritari e antidemocratici. La Open net initiative, un consorzio universitario, ha stimato che almeno 74 paesi censurano i propri cittadini. Le tecniche di censura usate sono numerose e vanno sotto il nome collettivo di Peking Consensus: un mix di tecnologie di sorveglianza e repressione che spesso si trasformano in formidabili silenziatori delle proteste. Quelle più usate sono basate sul filtraggio di Internet, l’ip-blocking, il dns poisoning. Si può prefigurare una mappa della censura online nel mondo, senza distinzione fra democrazie stabilizzate e nuovi totalitarismi. Stati che prevedono la chiusura di siti di news e perfino l’arresto per “crimini digitali” (Bangladesh); oppure che tengono costantemenaggiornata una blacklist di siti da bloccare (Bielorussia); ovvero dove i motori di ricerca rimuovono ogni riferimento a situazioni di instabilità politica (Cina). Ma anche Paesi come la Francia e la Germania dove sono censurati i contenuti web che riguardano il nazismo a l’Olocausto; nel 2013 in Francia è stata ordinata a Twitter la rimozione di contenuti antisemiti, e poi in base all’article 17 della legge sulla parità di genere sono bloccati contenuti di carattere sessista, omofobo o discriminatorio verso i disabili. E poi la Turchia, dove con legge  del  febbraio 2014, il governo obbliga gli internet service provider a trasformarsi in agenti di sorveglianza e censura attuando rimozioni e blocchi selettivi di contenuti online sgraditi e di collezionare tutti i dati degli utenti e perfino le loro email: in caso contrario gli revocano la licenza. E potremmo continuare… 2. Altro profilo da evidenziare è riferito all’accesso a Internet, quello che altrove abbiamo definito come un “diritto fondamentale” [T.E. Frosini, The internet access as fundamental right, in Italian Journal of Public Law (www.ijpl.eu), n. 2, 2013]. Il diritto di accesso si declina sotto due diversi ma collegati profili: a) diritto di accesso al contenuto, e quindi come strumento necessario per la realizzazione della libertà di manifestazione del pensiero. Se questa libertà diciamo on line è esercitabile se e in quanto si accede alla Rete, l’accesso non è solo strumento indispensabile ma diventa momento indefettibile dell’esercizio della libertà, senza il quale essa verrebbe snaturata, cancellata. Tradotto in norma costituzionale, si fa riferimento all’art. 21 Cost. e alla sua fisiologica evoluzione nel senso di una garanzia del libero accesso, da parte di tutti, ai mezzi di diffusione del pensiero. Che oggi è soprattutto Internet; b) il secondo profilo, invece, si riferisce al diritto di accesso a Internet quale diritto sociale, o meglio una pretesa soggettiva a prestazioni pubbliche, al pari dell’istruzione, della sanità e della previdenza. Un servizio universale, che le istituzioni nazionali devono garantire ai loro cittadini attraverso investimenti statali, politiche sociali ed educative, scelte di spesa pubblica. Infatti: sempre di più l’accesso alla rete Internet, e lo svolgimento su di essa di attività, costituisce il modo con il quale il soggetto si relaziona con i pubblici poteri, e quindi esercita i suoi diritti di cittadinanza. Oggi la cittadinanza è digitale. Proprio sul problema dell’accesso a Internet, e con riferimento alla situazione italiana, può essere utile citare qualche dato empirico. Secondo le più recenti indagini di “Eurostat”, infatti, più di un terzo di italiani non ha mai usato Internet, ovvero il 34% della popolazione non ha mai navigato sul web. Un dato che posiziona l’Italia in fondo alla classifica europea, di poco sopra la Grecia (con il 36%) e la Bulgaria (con il 41%). Invece la media Ue è del 79% delle famiglie che ha accesso a Internet. Poi, per quanto riguarda, in Italia, il rapporto tra e-government e privati, solo il 21% dichiara di usare i servizi digitali offerti dalla pubblica amministrazione, a fronte di una media europea pari al 41%. L’Italia non va meglio in termini di velocità di banda, un’altra variabile che ci porta in fondo alla classifica europea. Secondo i rilevamenti del rapporto State of the Internet Report di Akamai, nel terzo trimestre del 2013 l’Italia totalizza in media una velocità di 4.9 Mbps (megabit per secondo): Paesi Bassi, Svizzera e Repubblica Ceca dominano la classifica con una velocità superiore agli 11 Mpbs. Al di sotto dell’Italia compare solo la Turchia, con 4 Mbps. 3. Questo fascicolo di Percorsi, che esce con un nuovo editore, è largamente dedicato a Internet e le sue declinazioni in punto di diritti e libertà, con particolare attenzione anche alle esperienze straniere. E quindi: Internet come ordinamento giuridico (Frosini); il pluralismo al tempo di Internet (Donati, Pollicino e Passaglia); i diritti fondamentali e il diritto di accesso nella dimensione democratica e internazionale (Valvo e De Minico); la privacy e l’oblio in Internet (Hasebe, Yamaguchi e Rallo); le problematiche derivanti dai media elettroniche e le libertà (Selejan-Gutan e Bania). Ne risulta una panoramica giuridica assai estesa e, direi, senz’altro nuova e interessante: certo, giudicherà il lettore. Un’ultima considerazione va fatta, per concludere. Nel Ventunesimo secolo si staglia chiaramente l’orizzonte giuridico dell’Internet. Che è anche il nuovo orizzonte del costituzionalismo contemporaneo, come è stato chiaramente dimostrato dalle pronunce della Corte Suprema Usa prima e del Conseil Constitutionnel francese poi. E’ significativo che proprio nei due Paesi dove è sorto il costituzionalismo, seppure inizialmente muovendosi su due opposti sentieri, si registra un nuovo metodo interpretativo di ri-leggere e applicare due antiche norme – il I° Emendamento della Costituzione Usa e l’art. 11 della Dichiarazione del 1789 – pensate, scritte e approvate più di due secoli fa per affermare e tutelare la libertà di informazione: quella di ieri, di oggi e di domani, è davvero il caso di dire. Infatti, da queste norme, da quei chiari e limpidi orizzonti del costituzionalismo, che si aprivano alla modernità, oggi si cerca e si trova il nucleo fondante costituzionale per riconoscere e garantire le nuove forme espressive di comunicazione elettronica, con particolare riguardo a Internet. Si sta formando, a livello giurisprudenziale e grazie a un’accorta opera di interpretazione costituzionale, un diritto costituzionale di accesso a Internet: perché nel contesto di una diffusione generalizzata di Internet, la libertà di comunicazione e di espressione presuppone necessariamente la libertà di accedere a tali servizi di comunicazione in linea. Ed è compito degli Stati rimuovere gli ostacoli che impediscono di fatto l’esercizio di questo servizio universale a tutti i cittadini, che invece deve essere garantito attraverso investimenti statali, politiche sociali ed educative, scelte di spesa pubblica. La libertà costituzionale di manifestazione del pensiero consiste oggi in quello che l’art. 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo dell’Onu ha chiaramente indicato: «cercare, ricevere, diffondere con qualunque mezzo di espressione, senza considerazione di frontiere, le informazioni e le idee», anche quando – come nella recente vicenda di “WikiLeaks” – l’informazione che viaggia on line su Internet può agitare i governi nazionali, disturbare le relazioni diplomatiche fra Stati e svelare gli arcana imperii. Potrà non piacere, e soprattutto si potrà ridimensionare la portata e l’effetto e negarne la validità legale, ma resta il fatto che anche attraverso questa opera di “cercare, ricevere, diffondere” si viene a mettere al centro il diritto di sapere e la libertà di informare, che rappresenta altresì un nuovo modo di essere della separazione dei poteri, in una rinnovata concezione del costituzionalismo. Una volta erano i governanti che controllavano i cittadini attraverso il controllo dell’informazione; ora è diventato più difficile controllare quello che il cittadino legge-vede-sente, cerca-riceve-diffonde. Ecco perché si deve ingaggiare una lotta per il diritto di libertà a Internet. Ecco perchè oggi il motto e la missione è: Liberté, Egalité, Internet. [*] Il presente contributo apparirà come Editoriale su Percorsi Costituzionali n. 1, 2014 (edito da Jovene), dedicato alla Libertà in Internet. Immagine in home page: Gizmodo.co.uk 7 maggio 2014

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