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“That dragon, cancer”: se il videogame è un’esperienza umana

Un viaggio della speranza nell’ombra della morte“. È così che viene descritto dai suoi sviluppatori “That dragon, cancer“, videogioco creato da RyanAmy Green, Josh Larson e un gruppo di lavoro raccolto intorno al nome Numinous Games. L’immersione e l’interattività del prodotto, come si intuisce, sono orientati a uno scopo ben diverso rispetto a quello ludico; è infatti l’esperienza degli alti e bassi del doloroso percorso nel quale è costretto un bambino malato di cancro la trama intorno alla quale prende forma una modalità narrativa che colpisce come un film non potrebbe, e porta a confrontarsi virtualmente con una realtà che invece Ryan e Amy Green hanno vissuto in prima persona con il figlio Joel, deceduto nel marzo 2014 dopo 4 anni di lotta contro un tumore. “Ma That Dragon, Cancer non è il realistico resoconto di una malattia e non è semplicemente un drammatico racconto autobiografico”, scrive Alessandro Beltrami su Avvenire: “Il videogioco mantiene un senso di distanza prima di tutto nell’approccio visivo. I personaggi sono completamente privi di lineamenti. Soli elementi caratteristici sono capelli, barba e occhiali, mentre realistici sono i gesti e le voci sono quelle vere di Ryan, Amy e Joel. Anche l’ambientazione ha una qualità astratta che la rende onirica. Il nostro punto di vista all’interno del sistema continua a cambiare: siamo di volta in volta un’entità terza, uno dei genitori, lo stesso Joel. È una soluzione che costringe a entrare in intimità con la complessità della situazione”. “È il modo con cui due genitori elaborano il più terribile dei lutti. E questo avviene attraverso la condivisione del senso di perdita e di speranza, del dolore e della fede, che dalla virtualità del gioco conquista lentamente, ma inesorabilmente la realtà. «Un’esperienza sconvolgente» è il giudizio di gran parte dei recensori. Ma l’elemento che più ha colpito – conclude Beltrami – non è tanto la tragedia ma è la spiritualità di cui è intriso il videogame. E l’elemento della fede (come nella citata scena della preghiera, alla base del progetto, avviato quando Joel era ancora vivo) diventa il vero cardine del racconto”. 29 gennaio 2016

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