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Copyright e Web: due mondi paralleli? Antonio Nicita, Fabio Macaluso e Michele Boldrin a Radio Radicale
Per il professore e neoeletto commissario Agcom Nicita “non bisogna dare alcuni diritti come ben definiti fin dall’inizio e proteggerli online esattamente come si faceva prima. Ma l’effetto della pirateria massiva esiste e va studiato anche quello”. L’avvocato Macaluso: “Occorre ampliare il granaio del pubblico dominio e ridurre i tempi del diritto d’autore” . Il professor Boldrin: “Noi non dobbiamo preoccuparci di come possa sopravvivere l’industria che ruota intorno a tecnologie superate, anche l’industria delle candele è fallita con l’invenzione della lampadina” Un tema caldo come quello del rapporto tra Copyright e nuove tecnologie e un gruppo di ospiti di alto profilo: la ricetta per un dibattito di spessore. Come quello andato in onda nella puntata di domenica 8 dicembre di “Presi per il Web”, trasmissione di Radio Radicale che ha avuto ai propri microfoni Antonio Nicita, docente di politiche microeconomiche e regolazione dei mercati della Sapienza e neoeletto commissario dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM), Fabio Macaluso, avvocato autore di “E Mozart finì in una fossa comune. Vizi e virtù del Copyright” [LEGGI la segnalazione editoriale di Dimt] e Michele Boldrin, Professore alla Washington University di Saint Louis, coordinatore nazionale di Fare per Fermare il Declino e co-autore del volume “Abolire la proprietà intellettuale“. Con la conduzione di Marco Perduca, Marco Scialdone e Fulvio Sarzana e la collaborazione di Marco Ciaffone e Sara Sbaffi, la puntata ha così puntato il faro sui più intricati nodi in materia di creatività e circolazione delle opere dell’ingegno e loro relativa tutela su nuovi media. La differenza di vedute si costruisce su uno sfondo comune, quello che vede la digitalizzazione dell’informazione e della comunicazione aver alterato per sempre il modo in cui le persone creano, distribuiscono, usano e accedono alle informazioni e ai contenuti, con l’emersione di culture partecipative esplose nelle piattaforme di disintermediazione per la distribuzione di contenuti e spesso per la loro generazione e “rigenerazione”, con una speculare innovazione delle occasioni di produzione culturale. Tutte dinamiche che portano a chiedersi: quali sono i confini di una regolazione che vuole da un lato preservare la giusta ricompensa per chi crea anche in quest’epoca digitale ma deve evitare di porsi come un freno per la circolazione dei contenuti dell’industria dell’intrattenimento e della cultura in senso lato? DIRITTI – “Il diritto d’autore – ha esordito Macaluso – gioca il suo ruolo da più di un secolo, dalla firma della Convenzione di Berna arrivata sotto la spinta romantica di autori come Emile Zola, e da allora ha dovuto seguire l’evoluzione tecnologica. Già all’epoca della nascita di radio e televisione si è parlato rivoluzione della comunicazione e del suo impatto sulla società e quindi sul diritto, ma in questo senso mi preme sottolineare che i fenomeni della prima ora di quei media sono stati in un certo senso assorbiti da un mercato che ha visto nascere e imporsi grandi player. Proprio come sta accadendo in rete, dove poche industrie, penso a Google ed Apple , controllano gran parte di ciò che accade su quel mezzo”. “Il diritto d’autore – ha proseguito l’avvocato – in Italia regolato da una legge nata nel 1941 e modificata da infinite ‘toppe’ e commi a volte incomprensibili, è qualcosa col quale dovremo tuttavia sempre convivere, e ha delle declinazioni che gli permettono di adattarsi alla nuova realtà. Ad esempio, occorre uscire da un regime incondizionato del copyright che fa si che la tutela sia troppo estesa, quando bisogna invece allargare il granaio del pubblico dominio per permettere le operazioni oggi naturali sulla rete come la copia e il mashup. E anche la durata attuale del diritto d’autore appare eccessiva”. “La pirateria – ha chiosato Macaluso – contribuisce all’allargamento della fruizione di contenuti digitali, ma bisogna capire se questo contribuisce al processo democratico. E in fondo, l’aumento dei tempi di fruizione di contenuti frivoli non è una buona notizia. In questo senso la pirateria, nell’ottica di una sempre più massiccia offerta di contenuti, non è un’azione sovversiva di utilizzo della rete ma contribuisce al processo di uniformazione culturale che appiattisce il dialogo all’interno della comunità o peggio ancora sottrae agli stessi membri della comunità energie e capacità critica che fanno avanzare i sistemi di democrazia liberale”. Dopo di lui Nicita, che ha disegnato un più ampio riferimento alla disciplina della concorrenza: “Non avendo ancora accesso al lavoro svolto in Agcom – ha detto facendo riferimento al regolamento antipirateria che l’Authority si appresta ad approvare – non mi occuperò in maniera diretta del provvedimento. Sul resto, si pone un problema centrale per i diritti di proprietà tout court, in merito ai quali l’approccio sta segnando un’evoluzione. Ovviamente i diritti di proprietà sui beni intangibili offrono il problema dell’accesso, ma questo riguarda i diritti di proprietà in sé e, da un punto di vista economico, la relazione fra diritti e mercato, che è il rapporto sul quale è nata e cresciuta l’antitrust”. “Un tema interessante – ha continuato Nicita – è che i beni immateriali negli ultimi vent’anni hanno portato a guardare i diritti non solo sul fronte della tutela e del relativo enforcement ma come problema di accesso e dei suoi confini. In questo senso il dibattito antritrust anche a livello europeo è stato risolto varie volte guardando alla relazione che si instaura tra l’esercizio di un diritto di proprietà intellettuale, ovviamente protetto nella sua sfera esclusiva del diritto da una configurazione di monopolio, e la posizione che lo stesso occupa sul mercato”. “La Commissione europea – ha spiegato – dal canto suo ha indicato la possibilità che certi diritti che definiscono un dato uso e un dato mercato possono essere input per la creazione di nuovi prodotti su altri mercati. Il trade off, l’alternativa inconciliabile tra la quale decidere per la creazione di un processo di evoluzione del benessere sociale è proprio quella tra la tutela del diritto individuale tout court e quella che è la tutela dei consumatori nell’ambito dei processi innovativi. Io credo che per guardare all’evoluzione dei prodotti immateriali sia questo l’approccio che deve guidarci, e quindi non dare per acquisito un diritto ma in qualche modo capire come quel diritto si adegua all’evoluzione dei mercati e individuare ogni volta la soluzione che massimizza quel trade off”. DISTRIBUZONE – Nicita ha poi chiosato: “La tecnologia non ha permesso solo un accesso libero ma ha frammentato gli usi e i diritti relativi agli usi dei beni immateriali in modo tale da riuscire anche a vietare l’accesso, a reindirizzarlo o a ritardarlo. In questo senso a volte una protezione legale molto forte unita alla capacità di un esercizio tecnologico altrettanto intrusivo rischia di portare a overprotection e inefficienza. E in termini generali prima della messa a punto di policies di enforcement occorre effettuare un’analisi e una survey di impatto economico dei fenomeni, una corretta definizione di quella che chiamiamo pirateria e di quella varietà di strumenti e usi intermedi dispersi sui vari mezzi, oltre che l’elaborazione di una teoria della deterrenza”. L’intervento di Michele Boldrin nell’ultima parte della trasmissione ha spostato il focus sull’industria dell’intrattenimento, con un punto di vista radicale: “La disciplina del diritto d’autore servirebbe a massimizzare la quantità di un dato bene che i consumatori possono ricevere legalmente e a prezzi corrispondenti ai costi. Quando cambia la tecnologia devono cambiare dunque inevitabilmente anche i sistemi di distribuzione e produzione, e questo è il punto di fondo che i difensori del copyright vecchia maniera perdono di vista, perché l’attuale regime di copyright crea pochissimo incentivo alla creazione di nuovo materiale”. “Il continuo estendersi dei termini del copyright – ha proseguito Boldrin – porta ad esempio benefici solo a poche case discografiche e cinematografiche, non certo agli artisti o ai consumatori. Il secondo punto importante è che la tecnologia digitale permette una distribuzione molto più economica e allarga il mercato. E se qualcuno nell’industria lamenta la perdita di introiti non può diventare un problema per la comunità, perché anche l’industria delle candele è fallita quando è stata inventata la lampadina elettrica. Non c’è ragione che una tecnologia superata sopravviva per sempre”. Sul tema Macaluso ha parlato di una sistema dove “il nuovi soggetti dell’online hanno una posizione di forza nei confronti dei soggetti dell’industria precedente ma allo stesso tempo ne hanno bisogno. Come per Amazon, che necessita del lavoro degli editori pur divorandoli e ha la possibilità di imporre loro un prezzo di copertina comunque alto. In questo senso i nuovi tengono in vita i vecchi in un rapporto di reciproca dipendenza”. In chiusura, Nicita: “Non dobbiamo pensare che tutto ciò che è protetto da copyright o potrà esserlo va trattato allo stesso modo. La questione del mondo di Internet è complessa e non mi sento certo di avere la soluzione in tasca. Non mi sembra tuttavia che la risposta possa essere acquisire dei diritti come ben definiti fin dall’inizio e da proteggere semplicemente online esattamente come si faceva prima. È vero che c’è anche un tema sulla distribuzione da affrontare, perché l’effetto della pirateria massiva esiste e va studiato”. LEGGI “Revisione del Copyright UE, al via la consultazione pubblica. Il Commissario Barnier: “Dobbiamo metterci al passo coi tempi” Foto in home page: Chrisoncars.com 9 dicembre 2013