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Dalla Self-Regulation al Payment Package. Storia delle commissioni interbancarie

di Valeria Falce Sommario: 1. Verso il Payment Package. – 2. In punto di metodo: agli albori era la SEPA. – 3. La fase della self-regulation. – 4. Le fasi successive e l’approdo al Pacchetto. – 5. In punto di merito: agli inizi era la cooperazione. – 6. La stagione del dubbio. – 7. Conclusioni. Fallimento del mercato e regolazione “necessaria”? Verso il Payment Package Tassello fondamentale del processo di consolidamento “dinamico” del settore finanziario e obiettivo prioritario dell’agenda comunitaria è il completamento del mercato unico dei pagamenti, anche al dettaglio. Dopo una lunga stagione in cui si sono succedute iniziative auto-organizzative ovvero ispirate alla co-regulation, in sede comunitaria prevale oggi l’opzione regolamentare, quale scelta definiva per armonizzare la normativa relativa alla prestazione di servizi di pagamento nella UE, anche alla luce degli sviluppi tecnologici intervenuti dall’adozione della direttiva sui servizi di pagamento. Il riferimento è evidentemente al c.d. Payment package: pacchetto di misure autonome e distinte ma complementari nello spirito e nell’obiettivo finale, che si compone di una Direttiva e di un Regolamento rispettivamente in via di approvazione e pubblicazione. Presupposto dell’adozione del Pacchetto è, per un verso, il riconoscimento della centralità che rivestono i pagamenti elettronici per la realizzazione di un mercato interno efficiente nel settore delle carte di pagamento e, per altro verso, la necessità di promuovere in via regolamentare pagamenti sicuri, efficienti, competitivi e innovativi. In concreto, con la proposta (originaria) di Direttiva si intende 1) intervenire sul fronte della trasparenza, elevandolo a paradigma di riferimento per ogni transazione (in ogni valuta e da/per paesi al di fuori della UE) e delle salvaguardie a tutela dei consumatori (riducendo da 150 a 50 euro della perdita massima di un pagatore nel caso di operazione non autorizzata, prima che questi notifichi la frode o il furto dello strumento di pagamento; introducendo un diritto “incondizionato” di rimborso per gli addebiti diretti; introducendo una serie di opportuni obblighi in materia di sicurezza, che incorporano alcune delle “Raccomandazioni per la sicurezza dei pagamenti via internet” emanate in via definitiva dalla BCE nel gennaio 2013); 2) ridefinire l’ambito di applicazione delle regole dal punto di vista soggettivo (sia identificando i soggetti esentati e dunque rendendo immuni dal rispetto delle nuove regole sia ampliando il novero dei soggetti sottoposti alle nuove regole, quali quelli che offrono servizi di accesso all’informazione sui conti per l’esecuzione di transazioni online (tipicamente di e-commerce mediante bonifico), 3) ridefinire alcuni aspetti riguardanti il regime prudenziale degli istituti di pagamento e garantire una maggiore armonizzazione delle procedure autorizzative; 4) superare alcune opzioni nazionali che la PSD concedeva agli Stati Membri e la cui attuazione ha creato disomogeneità di trattamento all’interno della UE (i.e. l’opzione surcharge, relativa alla possibilità di vietare la maggiorazione di spese da parte dell’esercente nel caso di pagamento con determinati strumenti di pagamento, che però non riguarda i pagamenti mediante carta assoggettati al Regolamento). Quanto al Regolamento, incentrato sui sistemi di commissioni interbancarie applicate alle carte di pagamento, questo da un lato fissa un tetto massimo (laddove i circuiti di pagamento sono tradizionalmente autonomi della definizione delle condizioni economiche da applicare), e dall’altro rafforza le misure di trasparenza (obbligando il soggetto che convenziona l’esercente di separare i costi relativi alle commissioni da quelli relativi ai diversi marchi presenti sulle carte e alle differenti tipologie di carta esistenti (ad es. carta base, argento, oro, platino, ecc.), dando piena facoltà all’esercente di scegliere quali marchi e quali tipologie di carte di pagamento accettare, a patto che nella massima trasparenza informi i consumatori (così abolendo la c.d. Honour All Cards Rule), imponendo dettagli informativi sulla transazione superiori a quelli previsti dalla Direttiva sui Servizi di Pagamento (ad es. richiedendo di evidenziare in modo separato l’importo della spesa e separatamente l’eventuale commissione interbancaria applicata). Al contempo, il Regolamento introduce delle misure di allargamento del mercato (abolendo il blocco che limitava il numero dei marchi presenti sulla carta di pagamento), e interviene sul fronte della separazione giuridica, organizzativa e procedurale (imponendo che i soggetti emittenti carte di pagamento siano diversi dai soggetti che gestiscono le transazioni delle stesse). Il Payment Package segna una svolta nel processo di integrazione europea sia in punto di metodo – e dunque di tecniche giuridiche utilizzate -, sia in punto di merito – e dunque di valutazioni sostanziali -, che nelle brevi note che seguono verrà ripercorso rispetto al sistema delle commissioni interbancarie nel tentativo di risalire alle ragioni che hanno suggerito di abbandonare la strada della soft law per imboccare quella regolatoria al fine di disciplinare le condizioni economiche praticabili dalle banche nella prestazione reciproca di servizi interbancari. In punto di metodo: agli albori era la SEPA In punto di metodo, è noto che mentre sul fronte dei pagamenti all’ingrosso l’integrazione si è sostanzialmente realizzata, in relazione ai pagamenti al dettaglio un impulso fondamentale è stato assicurato più di recente dal Progetto sulla Single Payments Area (vulgaris ”SEPA”), iniziativa di ispirazione auto-organizzativa che si è innestata nella cornice normativa della Direttiva sui servizi di pagamento. Qui, dopo essere stata scartata la c.d. ”mini SEPA”, ovverosia quella proposta che puntava a ritagliare un sottoinsieme di regole in ambito EU differenziato rispetto a quello fissato a livello nazionale e internazionale, l’obiettivo che la comunità bancaria, insieme alle istituzioni comunitarie, si è proposta di conseguire – e che da gennaio 2008 di fatto ha iniziato a spiegare i suoi effetti – è consistito nella definizione di uno spazio in cui, superate le distinzioni tra transazioni domestiche e transnazionali, i sistemi di pagamento al dettaglio vengano ricondotti a matrice comune e quindi assoggettati ad un corpus normativo armonizzato e tendenzialmente uniforme. Insomma, oggi la ”SEPA” identifica l’area in cui è possibile concludere operazioni di pagamento al dettaglio a condizioni omogenee. Ed infatti grazie ed in forza dell’armonizzazione degli strumenti di pagamento elettronico, ed in particolare delle carte di pagamento, di debito e di credito, e degli strumenti di incasso, nonché all’uniformazione delle regole tecniche ed organizzative, all’interno dell’area unica i pagamenti retail possono essere ricevuti ed effettuati da utenti finali, aziende e pubblica amministrazione alle stesse condizioni che vengono assicurate all’interno dei confini nazionali. Da questo punto di vista, la SEPA ha segnato una tappa fondamentale nel processo di integrazione, consentendo l’effettivo svolgimento delle libertà fondamentali e quindi la circolazione dei servizi, dei capitali e dei pagamenti, ed anzi esprimendo il funzionamento efficiente del mercato interno. Al contempo, la SEPA ha rappresentato un tassello importante della politica monetaria dell’Unione, proseguendo il percorso avviato con il passaggio da una pluralità di valute ad una valuta unica, che a sua volta ha consentito l’azzeramento del rischio di cambio, nonché il superamento di alcune questioni legate all’applicazione della lex loci solutionis. La fase della self-regulation Il processo di definizione di un sistema più ampio, di curvatura europea, che integra e ricomprende i sistemi di pagamento al dettaglio nazionali è stato accompagnato da un’accresciuta esigenza di certezza e di “uniformazione” anche rispetto agli schemi di compensazione a cui le banche ricorrono per la fornitura di servizi interbancari, vale a dire ai sistemi di commissioni interbancarie. Tuttavia, l’affermazione di una lex monetae uniforme conseguente all’introduzione dell’euro non ha creato, dal punto di vista dei tempi, modi ed effetti del pagamento, un sistema integrato di circolazione di quella moneta, né ha gettato le basi di un’unica giurisdizione, ma, almeno di fatto, ha lasciato inalterata la frammentazione preesistente, anche in merito ai sistemi di commissioni interbancarie. In siffatto contesto, il pungolo dell’integrazione e la spinta al ravvicinamento hanno innescato una progressiva esclation in termini di iniziative promosse e tecniche giuridiche utilizzate. In una prima fase, ci si è rivolti alla lex mercatoria ovvero a forme di regolazione “guidata”, nel convincimento dell’auto-sufficienza di un ordine di regole non formali o comunque fondate su principi comuni e condivisi con gli operatori, per regolare i sistemi di pagamento. Sono espressione di tale indirizzo la Raccomandazione 97/489 relativa agli strumenti di pagamento elettronici e la Direttiva 97/5 sui bonifici transfrontalieri, nonché ovviamente il Regolamento 1103/97 del 17 giugno 1997 sui pagamenti transfrontalieri in euro, grazie al quale sono stati introdotti obblighi riguardanti, oltre alla trasparenza, anche i tempi massimi di esecuzione delle operazioni di trasferimento fondi. Pur confermando tale scelta, nel 2000 la Commissione è stata costretta a constatare nella Comunicazione sui pagamenti al dettaglio che ”l’Unione europea dispone già di un mercato interno e dell’euro, ma non ancora di un’area unica per i pagamenti. Mentre per i pagamenti d’importo elevato si possono ora effettuare da uno stato all’altro in tempi quasi altrettanto brevi e a costi quasi altrettanto moderati all’interno di un medesimo Stato, i pagamenti transfrontalieri di importo modesto sono meno sicuri, di norma richiedono tempi più lunghi e costano di più dei pagamenti all’interno dello Stato”. Le fasi successive e l’approdo al c.d. Pacchetto Di qui il passaggio ad una seconda fase, in cui il ravvicinamento e l’integrazione di stampo privatistico delle regole sono state rafforzate attraverso un intervento più incisivo e diretto. Tra le iniziative che s’inseriscono in questo solco vale la pena menzionare il Regolamento 2560/2001, dove il legislatore comunitario ha sancito l’obbligo che le operazioni transfrontaliere di pagamento elettronico, vale a dire i trasferimenti effettuati con mezzi elettronici e i prelievi di contante transfrontalieri eseguiti anch’essi con mezzi elettronici, siano eseguite a fronte di commissioni uguali alle operazioni puramente nazionali. Invero, al Regolamento non è seguito l’atteso processo di apertura del settore alla concorrenza, accorciando le distanze tra sistemi all’ingrosso e al dettaglio in termini di internazionalizzazione. Al contrario è persistito quell’effetto frontiera (cui si riferisce la Commissione nel 2003 nella Comunicazione relativa a un nuovo quadro normativo per i pagamenti nel mercato interno), che si è manifestato con il mantenimento di barriere e regole discriminatorie, la fissazione di elevate commissioni alla clientela ed interbancarie, la tendenza ad aderire a forme di cooperazione di portata non necessariamente pro-concorrenziale, la sussistenza di condizioni strutturali e comportamentali che favoriscono l’adozione di condotte leganti. Incrinatosi il paradigma del diritto mite quale tecnica spontanea di per se stessa sufficiente a proiettare i sistemi di pagamento nazionali in una dimensione pan-europea, è stata inaugurata una terza fase, improntata al ricorso di regole non solo di self-regulation ma anche autoritative: e ciò nel presupposto della loro equivalenza funzionale rispetto all’integrazione. In particolare, la scelta è consistita per un verso nell’affinare ulteriormente l’opzione auto-regolamentare, rivolta alla definizione di un diritto uniforme spontaneo, che anzi con la costituzione dell’European Payment Council si è per così dire strutturata; per altro verso, sono stati avviati i lavori, confluiti nella direttiva sui servizi di pagamento (n. 64/2007/CE), di inscrivere il Progetto SEPA all’interno di un perimetro tecnico-giuridico dai contorni certi, così dotando l’iniziativa negoziale di una solida cornice normativa. In sostanza, la Direttiva 2007/64/CE ha fornito la base giuridica per la creazione di un mercato interno dei pagamenti dell’Unione, in quanto ha favorito in modo sostanziale l’attività dei prestatori di servizi di pagamento, prevedendo regole uniformi in materia di prestazione di servizi di pagamento. Quindi, il regolamento (CE) n. 924/2009 ha sancito il principio secondo cui le commissioni pagate dagli utilizzatori per i pagamenti transfrontalieri in euro sono uguali a quelle applicate ai corrispondenti pagamenti all’interno di uno Stato membro, comprese le operazioni di pagamento basate su carta contemplate dal presente regolamento. In tempi più recenti, il regolamento (UE) n. 260/2012 ha stabilito le regole di funzionamento dei bonifici e degli addebiti diretti in euro nel mercato interno, escludendo però dal suo ambito di applicazione le operazioni di pagamento basate su carta. Con riguardo alle carte, è specificamente intervenuta la direttiva 2011/83/UE, che ha armonizzato talune norme in materia di contratti conclusi tra consumatori e professionisti, ivi comprese le norme sulle “tariffe” per l’utilizzo di mezzi di pagamento, sulla base delle quali gli Stati membri vietano ai professionisti di imporre ai consumatori, in relazione all’uso di determinati mezzi di pagamento, commissioni che superano il costo sostenuto dal professionista per l’uso di detti mezzi. Insomma, attraverso la predetta progressione di strumenti si è consolidato il convincimento che “affinché i consumatori, gli esercenti e le imprese possano godere appieno dei benefici del mercato interno, è indispensabile che i pagamenti elettronici di cui si servono siano sicuri, efficienti e competitivi, specialmente nel momento in cui il commercio elettronico si sta diffondendo sempre di più”. A questa direttrice non si sono adeguati prontamente gli Stati membri, che non hanno sincronizzato le rispettive scelte né rispetto ai tempi né rispetto ai contenuti. Procedendo a “macchia di leopardo” ed esercitando ampia discrezionalità in punto di merito, infatti, solo alcuni hanno o stanno elaborando normative volte a disciplinare direttamente o indirettamente le commissioni interbancarie, compresi i livelli massimi delle commissioni interbancarie e di quelle applicate agli esercenti, l’obbligo di onorare tutte le carte di uno schema e le misure in materia di orientamento dei clienti. A ciò si aggiunga che dalle verifiche condotte in sede comunitaria non risulta convergente o allineato l’enforcement delle regole sancite. In ogni caso, è un fatto che ad oggi le regolazioni nazionali non facilitano il completamento del mercato interno né le differenze introdotte sono in grado di garantire l’esercizio della libertà di prestazione di servizi. La persistente frammentazione dei mercati nazionali ha così traghettato le Istituzioni comunitarie verso l’opzione regolamentare come la sola in grado di supplire alle inadeguatezze del mercato. In punto di merito: agli inizi era la cooperazione  Anche in punto di merito il Pacchetto segna una cesura netta rispetto agli orientamenti che si erano andati stratificando a livello comunitario e nazionale in materia di commissioni interbancarie. Negli ultimi vent’anni, infatti, era pacifica la legittimità di quello strumento di compensazione ovvero di di trasferimento – rappresentato dallo schema delle commissioni interbancarie-, concordato tra le banche aderenti ad un circuito per consentire la fornitura in circolarità di servizi di pagamento. E da altrettanto tempo era communis opinio che uno schema così articolato fosse utile, se non necessario, ad assicurare la circolarità del servizio. Tradizionalmente, infatti, uno schema di compensazione che accolla i costi della prestazione del servizio interbancario sulla parte che manifesta una maggiore attitudine a pagare si giustificava per il fatto che l’esistenza e il funzionamento di un sistema di pagamento postuli la collaborazione delle parti ad esso aderenti in relazione alle condizioni che ne regolano l’uso. Se nessuno dubitava che il costo del servizio e la sua suddivisione tra i due lati della domanda interferisse sulla propensione ad utilizzare un certo strumento di pagamento, d’altro canto si dibatteva se fosse necessario introdurre una commissione d’interscambio che, come tale, determinasse una ripartizione (ineguale) dei costi tra le parti che direttamente ovvero indirettamente si servono di quel servizio a rete. Quanti propendevano per la sua liceità, indagavano poi le funzioni e gli effetti della stessa sulla domanda del mercato o meglio sui due fronti della domanda del mercato, e s’interrogavano se un regime di commissioni fosse necessario alla creazione di un sistema funzionale ed efficiente, e soprattutto se la sua esistenza continuasse a poggiare su solide basi economiche, ancor prima che giudiriche, allorché il sistema fosse divenuto “maturo” e stabile. In concreto, le Autorità di concorrenza condividevano la ratio sottesa ad uno schema di commissioni d’interscambio, ritenendolo utile, se non indispensabile, per la prestazione in circolarità degli strumenti di pagamento. In assenza di condizioni uniformi stabilite centralmente, infatti, “la circolarità del servizio potrebbe essere compromessa”, perché “ogni qual volta creditore e debitore non intrattengono rapporti di conto corrente presso lo stesso istituto creditizio, la banca assuntrice non ha la possibilità di scegliere la banca domiciliataria”. Da questo punto di vista, qualunque forma di negoziazione alternativa per la prestazione di servizi interbancari “sarebbe estremamente onerosa in termini di costi di transazione e potrebbe portare ad esiti indesiderabili dal punto di vista del benessere del consumatore, accrescendo i costi sopportati per la prestazione del servizio e/o peggiorando la qualità dello stesso”. Per corollario, gli accordi interbancari aventi ad oggetto commissioni d’interscambio commisurate ai costi sostenuti dalle banche per i servizi resi reciprocamente consentivano “l’internalizzazione di effetti esterni” e la massimizzazione del be neficio per il consumatore mentre forme decentrate per la regolazione del servizio “condurrebbero a esiti di mercato inefficienti” . In sintesi, qualunque forma di negoziazione alternativa per la prestazione di servizi interbancari sarebbe risultata estremamente onerosa in termini di costi di transazione e avrebbe rischiato di portare ad esiti indesiderabili dal punto di vista del benessere del consumatore, accrescendo i costi sopportati per la prestazione del servizio e/o peggiorando la qualità dello stesso. In siffatto contesto, dunque, si riteneva che gli accordi interbancari aventi ad oggetto commissioni multilaterali commisurate ai costi sostenuti dalle banche per i servizi resi reciprocamente consentissero l’internalizzazione di effetti esterni e la massimizzazione del beneficio per il consumatore mentre forme decentrate per la regolazione del servizio avrebbero condotti ad esiti di mercato inefficienti. Nella lettura concorrenziali, gli accordi che regolano il “prezzo” dei servizi che le banche si forniscono reciprocamente in relazione all’offerta di strumenti di pagamento venivano e sono qualificati come intese sub specie di deliberazioni di associazioni di imprese ai sensi dell’art. 2 l. n. 287/1990 e/o dell’art. 101 del TFUE. Rispetto alla valutazione sostanziale, la liceità antitrust delle succitate fattispecie era assoggettata ad una valutazione caso per caso che mirasse ad accertarne la compatibilità complessiva con le regole di concorrenza, d’altra parte, per assicurare la certezza del diritto e promuovere lo sviluppo fisiologico dei sistemi di pagamento, vieppiù di curvatura paneuropea, senza il rischio di indirizzi nazionali discordanti, occorreva identificare ex ante in maniera puntuale e univoca i criteri valutativi rilevanti. Nel leading case Visa International, la Commissione Europea ha ribadito la necessarietà e i benefici della commissione interbancaria in quanto meccanismo di riferimento la cui assenza comporterebbe elevatissimi costi di transazione per le banche e quindi maggiori oneri per la clientela finale, per poi valutare la compatibilità del valore della condizione di fatto predisposto con le regole di concorrenza. È stato così consacrato il principio dell’orientamento ai costi quale soglia di salvaguardia per la definizione delle commissioni, che dunque potevano essere definite autonomamente dai circuiti di pagamento senza ulteriore ingerenza da parte delle autorità di concorrenza. Sul fronte nazionale, la Banca d’Italia si è allineata, autorizzando in deroga una serie di accordi interbancari tesi a fissare una commissione massima come default rule per la prestazione in circolarità di taluni servizi: I105-Accordi Interbancari-Abi (1994); I360-Pagobancomat (1998); I360B-Abi/Co.Ge.Ban. (2001); I360C-Abi/Accordi Interbancari, I360D-Abi/Co.Ge.Ban. e I624-Pagobancomat (2002,2003,2004). In un caso sempre del 2003, la Banca d’Italia ha ritenuto che la commissione interbancaria fissata da Visa in Italia non meritasse alcun approfondimento perché l’entità fissata era al di sotto e dunque “coperta” dall’ombrello della decisione comunitaria (I578-Visa Italia-Commissione Interbancaria “Benzine”). Insomma, ferma la qualifica di accordi di prezzo, sia in sede comunitaria che nazionale, risultava percorribile la strada dell’autorizzazione in deroga ai sensi dell’art. 101.3 TFUE/art. 4 della legge 287/90, che come noto, presuppone la sussistenza di quattro condizioni cumulative: a) miglioramenti nelle condizioni di offerta sul mercato, b) sostanziale beneficio per i consumatori; c) restrizioni alla concorrenza strettamente indispensabili per il conseguimento delle finalità di cui sopra; d) non eliminazione della concorrenza in una parte sostanziale del mercato. In sostanza, per usufruire del beneficio della deroga, il circuito di pagamento doveva dimostrare che la MIF consentisse una gestione più efficiente del servizio e fosse necessaria; che il vantaggio di efficienza derivante dalla MIF fosse trasferito (anche) ai consumatori finali; che la MIF non comportasse l’eliminazione della concorrenza da una parte sostanziale del mercato (gli aderenti devono poter concorrere su altri aspetti). In concreto, ai circuiti e sistemi di pagamento si chiedeva di destrutturare le voci di costo del servizio che la commissione mirava a remunerare, così da enucleare quelle rilevanti, per poi rimettere alle partecipanti all’accordo la determinazione del quantum, da fissare in ossequio al principio della proporzionalità. Coerentemente, nel Rapporto Finale dell’Indagine settoriale sull’attività bancaria al dettaglio, la Commissione, dopo aver ribadito che la condizione interbancaria multilaterale non è di per sé inerente ovvero essenziale al funzionamento di un sistema di pagamento, negava che la stessa possa essere ritenuta inerentemente lesiva della concorrenza ovvero che le evidenze raccolte consentissero di esprimere un favor assoluto ed indiscriminato vero l’azzeramento delle commissioni che attualmente regolano i servizi di pagamento. La stagione del dubbio A questa stagione ne è seguita un’altra, all’insegna del dubbio. In tempi più recenti, infatti, ci si è interrogati con sempre maggiore insistenza se, nell’ambito dei singoli segmenti nazionali e ancor più dell’emergente mercato pan-europeo dei sistemi di pagamento al dettaglio, si continuasse a giustificare un regime di condizioni interbancarie, ovvero se l’efficace funzionamento di questi stessi circuiti potesse essere assicurato anche attraverso il ricorso a meccanismi alternativi, che, a parità di benefici, risultassero meno critici sotto il profilo della concorrenza. A queste domande sono state date risposte molto diverse: mentre i cultori della materia hanno proposto un ventaglio di soluzioni, tutt’altro che coerenti e tra loro difficilmente conciliabili, le istituzioni e le autorità comunitarie e nazionali, nel ricomporre il mosaico degli ambiti da schiudere alla concorrenza rispetto a quelli da riservare all’auto-organizzazione ovvero da rimettere alla regolamentazione, hanno iniziato a concedere crescenti spazi a quest’ultima. Alle difficoltà delle autorità di concorrenza di identificare un metodo capace di condurre alla definizione del livello ottimale delle MIF corrisponde la sfiducia delle Istituzioni comunitarie nei confronti del mercato e dei suoi meccanismi di autocontrollo. A livello comunitario, la Banca Centrale e la Commissione Europea hanno adottato una comunicazione congiunta, in cui dapprima si afferma che l’introduzione di uno schema di commissioni centralizzate per il lancio nell’ambito del “Progetto SEPA” del servizio di addebito diretto ricade nel raggio di applicazione dell’art. 101 TFUE e che grava sulle parti l’onere di dimostrare gli eventuali benefici riconducibili ai suddetti accordi Subito dopo, invece, hanno rinunciato ad ancorare l’esame della portata concorrenziale di uno schema di commissioni ad una valutazione caso per caso, ciò che sino ad oggi ha caratterizzato l’enforcement comunitario e nazionale rilevante, e, scostandosi dalle linee ricostruttive classiche, hanno avvertito che “sulla base delle informazioni a disposizione, non si ritiene che sussistano chiare e convincenti ragioni per consentire la sopravvivenza di un sistema di commissioni interbancarie dopo il 31 ottobre 2012”. In sostanza, nella Comunicazione Congiunta del marzo 2009 si è di fatto negata la compatibilità con le regole antitrust degli schemi di remunerazione (delineati con riguardo al servizio di addebito diretto) basati su un meccanismo di commissioni interbancarie, sancendone l’illiceità in sé e per sé alla scadenza di un periodo di grazia della durata di tre anni. Sempre nella medesima direzione, la Commissione Europea, già nell’annunciare l’adozione del Regolamento comunitario sui pagamenti transfrontalieri, che ha sostituito quello attualmente vigente (i.e. Reg. n. 2560/2001), aveva anticipato che il principio della parità delle commissioni (obbligo già in vigore per i bonifici, i prelievi da distributori automatici di banconote e i pagamenti elettronici (compresi i pagamenti con carte) in euro fino a un importo di 50.000 euro) sarebbe stato esteso anche al servizio di addebito diretto in modo da garantire parità di condizioni fra i vari strumenti di pagamento elettronici. Se l’ampliamento di siffatto vincolo era atteso, d’altra parte in quella stessa sede la Commissione ha presentato un rilevante elemento di novità: ha informato che il nuovo Regolamento avrebbe accolto una disposizione ad hoc con la quale sarebbe stata fissata l’entità della commissione interbancaria che regola il servizio di addebito diretto offerto nell’ambito dell’Area Unica. Ed in effetti il testo del Regolamento comunitario sui pagamenti transfrontalieri in euro, approvato dal Parlamento Europeo nella seduta del 24 aprile 2009, ha recepito le succitate indicazioni, completando l’architettura “SEPA” con una commissione d’interscambio a cifra fissa da applicare per un periodo transitorio. Il percorso è proseguito con il Regolamento 260/2012, già citato, che fissa ex ante e per un periodo transitorio  la MIF per il SEPA Direct Debit, scaduto il quale la sua stessa esistenza è vietata. A livello di enforcement si è assistito ad un irrigidimento delle posizioni accompagnato dall’introduzione di un nuovo test, non più orientato ai costi ma sull’indifferenza da parte dell’esercente rispetto ai diversi strumenti di pagamento, così da approssimare l’utilità marginale per l’esercente, e nel presupposto che lo sviluppo più efficiente del sistema è quello nel quale ciascun utilizzatore sostiene un costo pari all’utilità marginale (media). Nel caso 34.579-MasterCard I del 2009, alla riduzione da parte del Circuito di ridurre il valore della MIF non segue una decisione da parte della Commissione di contestare l’inottemperanza (né di avviare nuova procedura) sulla base della logica del tourist test. Nel caso 39.398-Visa MIF (2010 e 2014), la Commissione accetta gli impegni proposti, che vengono ricondotti alla “merchant indifference methodology, which seeks to establish the MIF at a level at which merchants have no preference whether a payment is made with a Visa Europe debit card or with cash”. In Italia, a seguito dell’incardinamento della competenza generale nell’applicazione delle regole di concorrenza, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha promosso l’innesto di correttivi nel processo di formazione del valore della commissione di volta in volta all’esame, in vista della progressiva riduzione della sua entità e, in ultima analisi, del suo azzeramento. Più in particolare, ha confermato che in linea di principio gli accordi tesi all’uniformazione della suddetta componente di costo rischiano di rallentare la concorrenza all’interno del circuito e di interferire su quella tra sistemi, rispetto ad una variabile di primario rilievo concorrenziale. Quindi, a fronte dell’attivazione di sub-procedimenti con impegni, l’Autorità ha deliberato altrettante decisioni “patteggiate”, volte a rimediare alle imperfezioni dello schema prescelto attraverso l’introduzione (concordata) di “anticorpi” concorrenziali che simulano quei meccanismi di competitività che un regolatore potrebbe, se del caso, attivare (in via forzosa) per correggere quelle stesse disfunzioni. Sorvolando sulle questioni di minor rilievo, è stata proposta ed accettata la soppressione di specifiche voci o componenti remunerative inserite nel calcolo della commissione , in quanto, anziché esprimere costi sottostanti, identificavano fonti di margini di profitto, come tali estranee al principio della c.d. cost orientation. Con riguardo, invece, al pungolo dell’efficienza, sono stati introdotti rilevanti correttivi metodologici, al fine di innescare una spirale di comportamenti virtuosi da parte del sistema. Ma vi è più. Il confronto con le parti ha condotto ad un’ulteriore sollecitazione delle banche del sistema ad anticipare gli effetti derivanti dalle modifiche condivise, nonché all’inserimento di un meccanismo di graduale riduzione del livello delle commissioni, che, a seguito delle verifiche biennali, anch’esse incluse tra gli impegni assunti, non potrà superare quello risultante dalla precedente analisi di costo. All’affinamento del tourist test è seguito un progressivo ma cauto allineamento a livello nazionale. E così nel caso I704-Assegni Mav-Commissioni Interbancarie del 2009 si conferma il riferimento all’analisi dei costi e all’efficienza economica, e al contempo si apre lo spiraglio al tourist test. Nel caso I720-Carte di Credito del 2010, l’accordo che viene esplorato anche nelle sue implicazioni di tipo verticale viene vietato per avere il circuito di pagamento ignorato il Tourist test nelle proprie proposte. Nello stesso anno, nel caso I725-Accordi Interbancari “Riba-Rid-Bancomat” e in quello I724-Commissione Interbancaria Pagobancomat, vengono accettati degli impegni legati all’analisi dei costi e all’efficientamento del sistema. Più di recente, nelle segnalazioni AS901 e 1074 l’Autorità ha auspicato la definizione del tourist test a livello comunitario. Infine, nel caso del 2014 I773-Bill Payments, la proposta di impegni è stata accettata condizionatamente al riferimento al tourist test. Nemmeno il ricorso al Tourist test risulta completamente soddisfacente, e ciò è tanto vero che in nessuna decisione comunitarie e nazionali esplicita, salvo un’enunciazione di principio, la struttura e le modalità di funzionamento del modello. A ciò si aggiunga che, per la sua stessa natura, il Tourist test può sì tenere conto di esternalità ed effetti di rete, ma solo di quelli interni al sistema, così da scartarlo dalle tecnica elettive per massimizzare il benessere del consumatore. Conclusioni. Fallimento del mercato e regolazione “necessaria”? In conclusione, in relazione alle carte di pagamento il Pacchetto sancisce la sfiducia nei confronti dei meccanismi autoregolatori del mercato, capaci di internalizzare alcune efficienze ed alcuni effetti di rete, ma inidonei, per impossibilità assoluta, di tener conto dei costi esterni al sistema. Infatti, alla base del Pacchetto vi è il riconoscimento di un fallimento del mercato, rispetto al quale la scelta regolatoria appare obbligata per realizzare ex ante il benessere collettivo. Al considerando n. 10 il Regolamento precisa che “le commissioni interbancarie costituiscono una componente principale delle commissioni applicate agli esercenti da parte dei prestatori di servizi di pagamento convenzionatori per ogni operazione di pagamento basata su carta. Gli esercenti a loro volta incorporano tali costi della carta, al pari di tutti gli altri costi, nei prezzi dei beni e dei servizi. La concorrenza tra gli schemi di carte di pagamento per convincere i prestatori di servizi di pagamento a emettere le loro carte determina un aumento e non una riduzione delle commissioni interbancarie, in contrasto con il normale effetto di disciplina dei prezzi che la concorrenza ha in un’economia di mercato. Oltre a un’applicazione uniforme delle norme in materia di concorrenza alle commissioni interbancarie, con la regolamentazione delle commissioni interbancarie si migliorerebbe il funzionamento del mercato interno e si contribuirebbe a ridurre i costi delle operazioni per i consumatori”. Il Legislatore esclude l’altra strada, quella che riserva alle autorità di concorrenza il compito di evitare che le commissioni, liberamente fissate nell’esercizio dell’autonomia dei circuiti, provochino guasti concorrenziali. In questa prospettiva, al regolatore è affidato un compito assai difficile, calcolare il valore della MIF da applicare alle operazioni di pagamento basate su carta, 1) in cui il prestatore di servizi di pagamento del pagatore e il prestatore di servizi di pagamento del beneficiario sono situati nell’Unione e 2) indipendentemente dall’ambiente in cui sono eseguite, ossia anche alle operazioni tramite strumenti e servizi di pagamento al dettaglio on-line, off-line o mobili, fissandolo ad un livello che risulti ottimale per il bene del consumatore, lasciando impregiudicato – e tuttavia dimezzato – l’intervento antitrust nella valutazione ex post dei comportamenti assunti. Ed in questa operazione, come precisato al Considerando n. 20 del Regolamento, si avvale del «Merchant Indifference Test» che consente di determinare il livello delle commissioni che l’esercente sarebbe disposto a pagare se l’esercente stesso dovesse confrontare il costo che deve sostenere in caso di uso da parte dei consumatori di una carta di pagamento e il costo sostenuto in caso di pagamento (in contante) senza carta (tenendo conto della commissione per i servizi pagata alla banca convenzionatrice, vale a dire la commissione per i servizi all’esercente e la commissione interbancaria). Si stimola in tal modo l’uso di strumenti di pagamento efficienti mediante la promozione delle carte che offrono benefici commerciali più elevati, evitando allo stesso tempo che agli esercenti vengano applicate commissioni sproporzionate, con la conseguente imposizione di costi nascosti ad altri consumatori. Commissioni eccessive per gli esercenti potrebbero anche essere dovute agli accordi collettivi sulle commissioni interbancarie, perché gli esercenti sono riluttanti a rifiutare strumenti di pagamento costosi per timore di perdere un affare. L’esperienza ha dimostrato che tali livelli sono proporzionati e non rimettono in questione il funzionamento degli schemi di carte di pagamento e dei prestatori di servizi di pagamento internazionali. Essi presentano anche benefici per gli esercenti e i consumatori e creano certezza del diritto”. Così, ai sensi dell’art. 3, comma 1, si stabilisce che “I prestatori di servizi di pagamento non offrono né chiedono per qualsiasi operazione tramite carta di debito una commissione interbancaria per ogni operazione superiore allo 0,2% del valore dell’operazione”, mentre al successivo art. 4 si vieta ai prestatori di servizi di pagamento di offrire o chiedere una commissione interbancaria per operazione superiore allo 0,3% del valore dell’operazione per ogni operazione tramite carta di credito. D’altra parte, tenuto conto del fatto che il Regolamento intraprende per la prima volta l’armonizzazione delle commissioni interbancarie in un contesto in cui gli schemi di carte di debito e le commissione interbancarie presentano notevoli differenze, il Legislatore introduce meccanismi di flessibilità per i mercati nazionali delle carte di pagamento. Pertanto, per un periodo di transizione ragionevole, relativamente alle operazioni nazionali tramite carta di debito, gli Stati membri dovrebbero poter applicare a tutte le operazioni nazionali tramite carte di debito nell’ambito di ogni schema di carte di credito una commissione interbancaria media ponderata non superiore allo 0,2% del valore medio annuo di tutte le operazioni nazionali tramite carta di debito all’interno di ciascuno schema di carte di pagamento. Per quanto riguarda il massimale per le commissioni interbancarie calcolato sul valore medio annuo delle operazioni all’interno di un unico schema di carte di pagamento, è sufficiente che un prestatore di servizi di pagamento partecipi a un schema di carte di pagamento (o a qualche altro tipo di accordo tra i prestatori di servizi di pagamento) in cui sia applicata, per tutte le operazioni nazionali tramite carta di debito, una commissione interbancaria media ponderata non superiore allo 0,2%. Anche in questo caso può essere applicata una commissione fissa o a percentuale, o una combinazione delle due, purché sia rispettato il massimale medio ponderato. Quanto alle operazioni nazionali tramite carta di credito, è consentito agli Stati membri stabilire un massimale per operazione sulle commissione interbancarie inferiore. È presto per trarre conclusioni o esprimere valutazioni sull’effettività degli strumenti introdotti nella prospettiva del benessere del consumatore. Rimane un dato e si insinua un dubbio. Il fatto è che il Regolamento riconosce il fallimento della mano invisibile. Il dubbio è sulla coerenza tra le tecniche adoperate per consolidare il mercato unico dei pagamenti, anche al dettaglio. In tema di carte di pagamento, infatti, il Tourist test è stato posto alla base della fissazione regolamentare della MIF, pur riconoscendone i limiti rispetto al suo ricorso nell’enforcement antitrust. In tema di SEPA Direct Debit, invece, è stato fissato ex ante e in via transitoria un valore, di cui però non sono chiare o comunque note le componenti, per poi optare per un modello alternativo, consistente nel superamento dello schema delle MIF e nella promozione del decentramento delle decisioni in materia di prezzo. [*] Il presente articolo, con le dovute integrazioni e necessarie annotazioni bibliografiche, è destinato al n. 1/2015 della Rivista AGE- Analisi Giuridica dell’Economia

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26 ottobre 2015

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