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“Proprietà intellettuale e Antitrust: conflitto o sinergia?”, l’intervento del Prof. Andrea Stazi

Di seguito l’intervento con il quale il Prof. Andrea Stazi, Docente di Diritto Comparato presso l’Università Europea di Roma, ha partecipato a “Proprietà intellettuale e Antitrust: conflitto o sinergia?“, convegno che ha avuto luogo lo scorso 26 marzo 2014 presso l’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato (AGCM) Il mio intervento trae origine da una questione evidente ma densa di implicazioni che mi pare emergere a seguito della relazione di Emanuela Arezzo e degli altri interventi che l’hanno preceduta. Proprietà intellettuale e antitrust: di cosa stiamo parlando? Il tema essenziale è, mi sembra, quello del rapporto tra i diritti fondamentali previsti agli artt. 16 e 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Il Professor Ghidini nella sua introduzione lo accennava con chiara immediatezza. Perché “tutto si tiene”? Nel suo intervento introduttivo si faceva riferimento alle ricadute penalistiche del Codice della proprietà industriale, così come anche la decisione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato riguardo al caso Roche-Novartis, analogamente, ha prodotto delle ricadute penalistiche. Emerge, in quest’ottica, la necessità di una visione sistematica dell’ordinamento, che non si chiuda a compartimenti stagni rispetto all’inquadramento di ogni fattispecie di cui si proceda all’esame (come nel caso analizzato quest’oggi dell’intersezione tra proprietà intellettuale e antitrust), bensì proceda alla luce dei diritti fondamentali che di volta in volta vengono in rilievo, i quali andranno coniugati – come ha evidenziato sempre il Prof. Ghidini in un suo recente saggio – sulla base dei criteri della gerarchia e della proporzionalità. Questo scenario di intersezione tra diritti fondamentali, che non sono soltanto la libertà di iniziativa economica tutelata dalla disciplina antitrust e la protezione della proprietà intellettuale, ma sono i tanti altri che vengono in rilievo di volta in volta (farò alcuni esempi tra breve), nel mondo del “diritto ideale” dovrebbe dare luogo a una legislazione e a un enforcement che potrebbero dirsi “a fisarmonica”, nel senso che si dovrebbero espandere e ritirare a seconda dei casi per lasciar prevalere volta per volta l’interesse principale, ossia il diritto fondamentale sottostante che in quella fattispecie è prevalente sugli altri. Così, ad esempio, negli interventi dell’AGCM cui si è accennato, la tutela del consumatore diviene altresì tutela del consumatore-paziente, che è una figura ben diversa da quella del tradizionale consumatore-cliente, poiché è chiaro che i pazienti non sono dei clienti che possono scegliere se essere o non essere consumatori, non hanno la stessa libertà di scelta di quando acquistano un bene o un servizio, e alcuni hanno più bisogno di cure sanitarie rispetto ad altri. E’ soltanto un esempio di come quella “moltiplicazione” della figura del consumatore registratasi nel diritto dell’Unione Europea degli ultimi anni, che qualcuno ha denunciato, abbia una sua ragion d’essere nella misura in cui volta per volta l’autorità competente – “meglio posizionata” nel quadro dell’ordinamento e più efficace rispetto alla tutela richiesta – intervenga a tutelare il consumatore, considerato in questo caso quale portatore di un interesse che può essere più ampio di quello del suo benessere come cliente, come ad esempio quello della tutela della sua salute (e ciò può avvenire anche – si è visto – attraverso un intervento ai sensi della disciplina antitrust). D’altronde, questo andare di volta in volta ad individuare l’interesse prevalente non deve significare che esso debba diventare quello esclusivo, poiché altrimenti si ricadrebbe nell’abuso del diritto di cui all’art 54 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE; così, ad esempio, là dove l’intervento sia volto alla tutela della proprietà intellettuale non potrà essere pretermesso il rispetto del diritto alla protezione dei dati personali e della libertà di informazione (rispettivamente di cui agli artt. 8 e 11 della Carta; cfr. e.g. le sentenze della Corte di Giustizia UE riguardo ai casi Promusicae, LSG, Bonnier Audio, Scarlet-Sabam e Sabam-Netlog). Il principio alla base di questo inquadramento, dunque, è la sussidiarietà, sia tra le discipline – ossia volta per volta dovrà applicarsi la norma e si tutelerà il diritto sottostante che prevale in quella fattispecie (variamente atteggiato, ad esempio come accennato quello del consumatore quale destinatario indiretto dell’antitrust può significare del consumatore-paziente, quindi con una visione differente da quella tradizionale) – ma anche tra le istituzioni, per cui dovrà intervenire l’istituzione che possa essere più efficace per tutelare quello specifico interesse fatto valere. Ciò, ad esempio, si verifica di frequente nelle dinamiche tra AGCM ed Autorità giudiziaria, ma anche rispetto ad altre autorità di settore; si pensi ai citati interventi appunto dell’AGCM riguardo ai casi Pfizer e Roche-Novartis, ovvero alla questione della competenza in tema di pratiche commerciali scorrette di cui da ultimo al d.lgs. n. 21/2014. In tale prospettiva, nell’ordinamento statunitense, nel 2012 e 2013 si sono registrate le sentenze relative ai casi Myriad e Mayo, nelle quali la Corte Suprema ha tutelato anche lì indirettamente, attraverso la disciplina brevettuale, quello che poi era in effetti il diritto di accesso alle cure da parte dei pazienti, che nel caso Myriad erano le donne rispetto ai test genetici relativi al cancro al seno e alle ovaie, ed erano altresì la concorrenza e l’innovazione da parte di altri produttori di test genetici. Allo stesso modo, a mio avviso – e sono in assoluta minoranza su questo, anche rispetto ad autorevole dottrina presente in sala – la Corte di Giustizia nella sentenza Brüstle del 2011, sempre in tema di invenzioni biotecnologiche, ha affermato, ribadendo quanto è previsto nella direttiva n. 98/44/CE, la prevalenza della tutela dell’embrione anche nell’ambito dell’applicazione della disciplina brevettuale (secondo lo stesso approccio che aveva seguito l’EPO nella decisione WARF del 2008). Ora, autorevoli studiosi ritengono che non si potrebbe utilizzare una disciplina nata e concepita per il mercato per tutelare dei diritti che sono esterni ad esso; ma seguendo questa linea di pensiero, ad esempio, dovrebbe abrogarsi anche il divieto della pubblicità di prodotti da fumo? Infine, mi sembra doveroso un cenno al regolamento dell’Autorità per le Garanzie delle Comunicazioni sul diritto d’autore online adottato con delibera n. 680/13/CONS, come noto oggetto di diverse critiche. In proposito, al di là della necessità di rispettare la riservatezza e la libertà d’informazione cui ho accennato prima, qualcuno sostiene che il diritto d’autore sarebbe in contrasto con la liberta d’espressione; viceversa, il Presidente dell’AGCOM, nella sua Audizione al Parlamento del 15 gennaio scorso innanzi alle Commissioni riunite VII e IX, ha ricordato come la Corte Suprema degli Stati Uniti abbia affermato esattamente l’opposto (copyright quale “engine of free expression”). Del resto, i problemi sollevati da internet, così come i casi di intersezione tra proprietà intellettuale, antitrust e diritto alla salute citati quest’oggi, rendono particolarmente evidente – grazie alla notevole semplicità di diffusione, modifica e riproduzione dei contenuti – la possibilità di “relazioni pericolose” tra diritti fondamentali. In tal senso, si è parlato prima del caso Google News, ma si pensi altresì alla “bad practice” del caso Google Books: se gli interventi dei giudici rispetto a Google Books sono stati giustificati in quanto a tutela della proprietà intellettuale, nella fattispecie vi erano anche, come poi piano piano è emerso, altri diritti fondamentali che eventualmente potevano essere considerati prevalenti. In conclusione, la riflessione che propongo è la seguente: l’opportunità di una lettura “a fisarmonica” delle norme – basata sui diritti fondamentali che prevalgono di volta in volta – le quali dovrebbero essere applicate, secondo un principio di “sussidiarietà istituzionale”, da parte dell’autorità che risulti “meglio posizionata”, ossia più efficace per intervenire rispetto alla specifica fattispecie, attraverso la disciplina più utile per tutelare i diritti prevalenti nel caso in esame. 12 maggio 2014

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