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La PEC costituisce strumento legalmente idoneo a comunicare l’aggiudicazione di una gara d’appalto

di Francesco Minazzi Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, con la propria decisione 3.12.2013, n. 2677, Sez. III, ha fornito un importante precedente in tema di utilizzo delle comunicazioni elettroniche da parte della Pubblica Amministrazione, con particolare riferimento alla Posta Elettronica Certificata (PEC). La vicenda affrontata dalla pronuncia – di mero rito – prende avvio dal ricorso presentato da una Società concorrente avverso il provvedimento di aggiudicazione di un appalto a favore di altra impresa, comunicato dalla stazione appaltante tramite PEC. La Società aggiudicataria e l’Amministrazione resistenti eccepiscono la tardività del ricorso, con conseguente irricevibilità, poiché proposto dopo il termine di decadenza stabilito dalla legge. Il TAR correttamente ritiene, rigettando l’impugnazione, che tale termine decorra dalla comunicazione via PEC ricevuta dalla Società ricorrente, effettuando, peraltro, un’attenta e compiuta ricognizione interpretativa della caratteristiche e della normativa inerente tale modalità comunicativa. Va osservato preliminarmente che, a livello generale di sistema, il Codice dell’Amministrazione Digitale (D. Lgs. 7.3.2005, n. 82 – CAD) già prevede, agli articoli 47 e 48, la trasmissione dei documenti tramite posta elettronica. In particolare, l’articolo 48, comma 2, espressamente statuisce che la trasmissione di un documento informatico per via telematica a mezzo PEC equivale alla notificazione postale ordinaria, salva diversa disposizione di legge. In tema di appalti pubblici, invece, vengono più specificamente in rilievo le disposizioni del Codice dei Contratti Pubblici (D. Lgs. 12.4.2006, n. 163 – CCP) e del Codice del Processo Amministrativo (D. Lgs. 2.7.2010, n. 104 – CPA), come evidenziato dallo stesso TAR Lombardo. L’articolo 120, comma 5, del Codice del Processo Amministrativo stabilisce che il termine di trenta giorni per impugnare gli atti delle procedure di affidamento decorre dalla ricezione della comunicazione di cui all’articolo 79 del Codice dei Contratti Pubblici; ovvero, dalla conoscenza – legale, ancorché non effettiva – dell’atto. Il citato articolo 79, D. Lgs. 163/2006, prescrive che le stazioni appaltanti informino tempestivamente le imprese concorrenti delle decisioni inerenti l’aggiudicazione dell’appalto. A tal fine, l’articolo 79, commi 2 e 5, indica esplicitamente il contenuto della comunicazione, in cui espressamente rientrano l’aggiudicazione definitiva e l’esclusione. Tuttavia, la norma più rilevante è riportata dal comma 5bis del medesimo articolo, il quale regola le modalità mediante cui effettuare le comunicazioni necessarie: sono compiute rigorosamente per iscritto, con lettera raccomandata con avviso di ricevimento o mediante notificazione o mediante posta elettronica certificata ovvero mediante fax, se l’utilizzo di quest’ultimo è espressamente autorizzato dal concorrente. Come si legge, è chiaramente indicata la PEC quale modalità legale di comunicazione delle informazioni dovute dalla stazione appaltante. Il combinato disposto dell’articolo 120 CPA e dell’articolo 79 CCP comporta, pertanto, che il termine di impugnazione dell’aggiudicazione decorra dalla ricezione della PEC da parte del destinatario, con le precisazioni giustamente sottolineate dal TAR Lombardo. Infatti, quest’ultimo non si accontenta di sancire la legittimità della PEC a fini di notifica, ma si preoccupa altresì di stabilire quale sia il momento in cui la comunicazione è da intendersi perfezionata. A tale scopo, procede il Giudicante ad un’analisi del Decreto del Presidente della Repubblica 11.2.2005, n. 68 (Regolamento per l’utilizzo della PEC), ripercorrendo il funzionamento del sistema di trasmissione. Per i fini che qui interessano, il passo della pronuncia rilevante è quello relativo al ruolo della ricevuta di consegna. Com’ è noto, i gestori di posta certificata inviano al mittente due ricevute: una di ricezione, con cui lo informano di aver preso in carico il messaggio; una di consegna, che attesta la disponibilità del messaggio in capo al destinatario. Ebbene, l’articolo 6, comma 3, del citato Regolamento dispone, sotto il profilo probatorio, che la ricevuta di consegna fornisce al mittente la prova che il messaggio è pervenuto all’indirizzo del destinatario e che è stato messo a disposizione nella casella di quest’ultimo. Certifica, inoltre, il momento della consegna medesima: è a tale data, quindi, che va ricollegata la presunzione legale di conoscenza della comunicazione, indipendentemente dall’effettiva lettura. Precisa, invero, il TAR che il momento in cui il destinatario legge il messaggio è del tutto  irrilevante ai fini della conoscenza legale del documento trasmesso: ciò che rileva è la conoscibilità, è aver posto il destinatario nelle condizioni di prendere cognizione del messaggio. Senza che ciò intacchi le possibilità di difesa del ricevente, il quale è ammesso a contrastare la presunzione suddetta, dimostrando l’impossibilità a sé non imputabile di accedere alla propria casella di posta certificata. D’altronde, nel caso di specie, la stessa Società ricorrente ha indicato il proprio indirizzo PEC per la trasmissione degli atti della procedura e la stazione appaltante ha documentato la correttezza dell’invio, producendo in giudizio la ricevuta di consegna. La sentenza in esame è interessante non solo perché costituisce un esemplare applicazione delle norme in materia di nuove tecnologie – spesso ostiche ad alcuni giudici, poco avvezzi all’informatica – ma anche perché il Giudice Amministrativo milanese evidenzia un altro aspetto di rilievo. Enuncia, infatti, il principio per cui la disciplina di gara non deve necessariamente prevedere in maniera espressa le modalità di comunicazione dei provvedimenti: la ricorrente aveva obiettato proprio la mancanza di un’indicazione esplicita di tali modalità, indicazione necessaria ai sensi dell’articolo 77, comma 1, CCP. Invece, il giudice ambrosiano constata che il capitolato d’appalto rinvia, per quanto da esso non previsto, al Codice dei Contratti Pubblici: ne inferisce, pertanto, che, in mancanza di un’espressa menzione nella disciplina di gara, vadano considerate legittime tutte le modalità comunicative prevedute dall’articolo 79 succitato, purché vi sia il richiamo a quest’ultimo o al Codice nella sua interezza. D’altro canto, va ricordato che la scelta della PEC è obbligata in talune ipotesi, posto che, ai sensi dell’articolo 77, comma 5, CCP, se la stazione appaltante è tenuta all’osservanza del CAD, gli scambi di comunicazioni tra essa e gli operatori economici devono avvenire tramite PEC, come postulato dal già ricordato articolo 48 del CAD medesimo. Infine, un’ulteriore considerazione è svolta dal giudicante. La decorrenza del termine per impugnare può dipendere dalla comunicazione a mezzo PEC, solo laddove siano verificate tutte le condizioni di legge: non solo la previsione, espressa o per relationem, nella lex specialis della gara, di tale modalità di trasmissione, bensì anche la correttezza del contenuto del messaggio. Il TAR, difatti, verifica se il messaggio inoltrato alla ricorrente sia corredato del provvedimento e della motivazione, contenente almeno gli elementi di cui all’articolo 79, comma 2, lett. c), CCP: esclusivamente l’esito positivo di un simile controllo consente di imputare la decorrenza del termine per presentare ricorso al momento perfezionativo della comunicazione via PEC. La ratio dell’articolo 79, d’altronde, è quella di determinare un effetto di conoscenza legale delle decisioni inerenti la gara, da cui far decorrere il termine d’impugnazione (Consiglio di Stato, Ad. Pl., 31 luglio 2012, n. 31, citato dal TAR stesso). La PEC è certamente idonea a realizzare questo effetto, tuttavia ciò non significa – ulteriore rilievo del giudice – che le forme comunicative previste dall’articolo 79 CCP siano tassative od esclusive ovvero incidano sulle regole processuali. Infatti, il giudicante in motivazione evidenzia che l’espressione “in ogni altro caso”, usata dal legislatore nell’articolo 120, comma 5, CPA, non va riferita ad “altro caso” di impugnazione di atti diversi da quelli ivi elencati; bensì si riferisce ad altri casi di conoscenza dell’atto, diversi da quelli – si ribadisce non tassativi – individuati dall’articolo 79 CCP. La considerazione da ultimo esposta ha, dunque, il duplice effetto di ulteriormente legittimare, da un lato, insieme alle motivazioni in precedenza esposte, l’uso della PEC a fini comunicativi e la decorrenza a partire dal suo invio dei termini d’impugnazione; nonché, dall’altro, di legittimare l’uso di altre forme di notifica, in virtù della dichiarata atipicità delle forme comunicative, atipicità caratterizzante l’articolo 79 CCP. Concludendo, in attesa dell’eventuale giudizio d’appello, può affermarsi che la pronuncia del TAR milanese costituisce una considerevole ed apprezzabile statuizione sull’utilizzo delle nuove tecnologie nella Pubblica Amministrazione, soprattutto per la linearità e chiarezza della sua parte motiva. E’ auspicabile, pertanto, che valga a rappresentare un precedente ispiratore rispetto a futuri casi simili, favorendo in maniera esemplare la preferenza delle Amministrazioni e degli operatori economici per le comunicazioni telematiche. Immagine in home page: Ifin.it 16 gennaio 2014

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