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“La lezione di Roma per l’Europa”, il Prof. Umberto Roberto su Il Mattino

Umberto Roberto Il Mattino Novembre 2015

Umberto Roberto Il Mattino novembre 2015“Esiste un’inquietante analogia tra quello che la nostra Europa sta vivendo, attonita e sofferente, e quanto il mondo romano – un impero immenso che si estendeva dalla Britannia, al Mediterraneo fino alla Mesopotamia – visse per alcuni secoli alle sue frontiere”. Così il Professor Umberto Roberto, docente di storia romana all’Università europea di Roma, in un commento pubblicato nell’edizione del 28 novembre 2015 de Il Mattino. “È importante fare una prima, istruttiva distinzione”, scrive: “I Romani, che molto riflettevano su come conservare il loro equilibrio, non credevano che gli imperi cadessero a causa di frontiere poco sicure. Non era una questione di barriere o muri più o meno fortificati. Temevano, piuttosto, che la decadenza arrivasse inesorabile quando non vi fossero buoni governanti a gestire il potere; e questo valeva tanto per i vertici, l’imperatore e i suoi diretti collaboratori, quanto per i funzionari locali, soprattutto nelle province di frontiera. Fin dall’inizio dell’impero, Augusto, che sulla pace fondò la legittimazione della sua monarchia, assunse personalmente il controllo delle frontiere. Stabilì che vi andassero uomini di sua fiducia, che rispondevano direttamente a lui delle loro azioni. Il buon governo, dunque, affidato a funzionari capaci era la prima efficace risposta a ogni problema che insorgesse ai più remoti angoli dell’impero. D’altra parte, immaginare le frontiere dell’impero romano con la visione otto-novecentesca dei confini nazionali è un errore storico da evitare. Le frontiere romane non erano baluardi invalicabili, e l’impero non era un mondo chiuso, impermeabile a ogni interferenza esterna”. “I Romani – prosegue il Prof. Roberto – sentivano che il loro dominio dovesse abbracciare tutto il mondo abitato. Erano i signori dell’ecumene: per questo integravano i popoli vinti nel loro impero; per questo non potevano concepire il loro spazio come chiuso. In questa logica del confine la pace alle frontiere era garantita solo attraverso una cura costante dei rapporti con i popoli ancora al di fuori dell’impero. Occorreva attuare scelte politiche per vigilare costantemente sulla pace: occorreva parlare con le genti esterne, individuare mediatori, cercare per quanto possibile di evitare l’intervento militare. Certo, quando poi si passava alle armi, i Romani erano spietati e di una crudeltà senza pari. Ma anche questo faceva parte delle loro strategie di controllo della frontiera. Ed anzi, perfino nelle sue ore più drammatiche, l’impero romano offre una lezione molto istruttiva alla nostra attenzione. Per una serie di sfavorevoli circostanze, a metà del III secolo dopo Cristo lo stato millenario di Roma entrò in crisi profonda. La precarietà delle frontiere fu uno dei segni più drammatici dell’emergenza. Per lunghi anni Germania, Gallia, Siria furono sconvolte dalle incursioni violente di popoli esterni. Si arrivò sull’orlo del baratro. Poi, Roma trovò il modo di reagire al suo interno, attraverso una successione felice di imperatori-soldati che seppero dare una massiccia risposta militare. L’ultimo di questi imperatori, Diocleziano, fu il più grande. Celebrò il suo magnifico trionfo a Roma nel 303: con tanto sudore – queste sono le sue parole – era riuscito a restituire la pace all’impero. Ed in effetti, le frontiere dell’impero sembrarono di nuovo consolidate attraverso un imponente e serrato controllo militare. Ma non durò a lungo. A distanza di qualche decennio, si innescò la grande crisi del V secolo d.C., fatale per la sopravvivenza di un impero che si sentiva senza fine. Nell’arco di pochi anni masse imponenti di popolazioni che vivevano oltre le frontiere di Roma si misero in marcia verso lo spazio mediterraneo. Li muoveva la guerra, la fame, il terrore dell’annientamento. La vicenda dei Goti è emblematica. In fuga dagli Unni attraversarono il Danubio e vennero nell’impero da profughi. Fu tentata un’accoglienza con le risorse dell’epoca; ma i funzionari locali gestirono male l’emergenza umanitaria. I Goti si ribellarono e i Romani subirono ad Adrianopoli nel 378 una delle loro più gravi sconfitte. Anche l’imperatore, Valente, cadde sul campo. Fu allora, nell’emergenza più drammatica, che il nuovo principe, Teodosio, scelse la via della diplomazia e del dialogo. I barbari vengono insediati nei territori romani, purché li difendessero. Teodosio diviene amico dei Goti, coopta nobili e ufficiali nell’esercito e alla sua corte, favorisce matrimoni tra famiglie dei due popoli. Ma alla sua morte, nel 395, l’equilibrio salta di nuovo. I Goti si rimettono in marcia, questa volta all’interno dell’impero, e per quaranta lunghi anni seminano terrore e devastazione nei Balcani, in Italia, a Roma, che viene saccheggiata da Alarico nel 410. A loro si uniscono altri Germani che per scampare agli Unni avevano attraversato il Reno ghiacciato alla fine del 406. La scelta del governo romano d’Occidente di opporsi con le armi a queste ondate migratorie fu miope e inutile. Alla fine prevalse nuovamente la diplomazia, ma era troppo tardi. Iniziarono a formarsi i primi regni romano-barbarici, sulla carta alleati dei Romani, in realtà autonomi e indipendenti. Nel volgere di pochi decenni, nel 476 l’impero d’Occidente terminò per sempre. Dalla crisi di V secolo si salvò, invece, l’impero d’Oriente; e di nuovo la lezione di Roma può esserci di aiuto. A Constantinopoli vi furono ministri illuminati e capaci che seppero modulare l’uso moderato della forza con una attenta diplomazia, che passava anche attraverso la conoscenza e il dialogo con i popoli alle precarie frontiere del mondo romano”. “Montesquieu – ricorda concludendo il Prof. Roberto – ripeteva spesso di amare la grandezza dei Romani ed esortava a studiare le loro imprese, perché i Romani nel bene e nel male sono sempre superiori. Gli Europei sono eredi di questa grande esperienza culturale e politica. Ma bisogna comprendere bene, e non superficialmente, la storia: perfino i Romani, nonostante la loro straordinaria potenza e la loro organizzazione, nulla poterono contro masse di disperati, in fuga dalla guerra, affamati, disposti a fatiche incredibili per garantire salvezza, cibo, futuro ai loro figli”. 1 dicembre 2015

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