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“I socialisti della Silicon Valley”

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di Elisa Simoni* “In Europa, 1,64 milioni di posti di lavoro derivano dall’economia delle applicazioni (o app). Negli Stati Uniti sono 1,66 milioni. Qualche giorno fa, ho partecipato alla presentazione di un rapporto sull’app economy in Europa all’Accademia Italiana del Codice di Internet dove ho provato a spiegare come la rivoluzione digitale abbia portato a società più ricche. E come tocchi alla politica renderle meno diseguali e più giuste.

Il rapporto, stilato dal Progressive Policy Institute, identifica in Europa un potenziale di crescita del numero dei posti di lavoro legati alle app. Basta considerare che adesso usiamo le app sui nostri smartphone e tablet, ma domani le vedremo nei frigoriferi o nelle tapparelle. La vera domanda, però, è: creiamo più lavoro di quanto ne va perso? Molti lavori sono stati sostituiti da app o, più in generale, da alternative digitali: i cassieri bancari dai bancomat, i centralinisti dai risponditori automatici. E, certo, nuovi lavori sono emersi: i social media manager, i web designer, i programmatori di app. Non è una dinamica nuova: nel 1960 in Italia il 29% della popolazione lavorava nell’agricoltura. Oggi solo il 5%. Le fabbriche del boom economico hanno accolto i lavoratori che lasciavano i campi per entrare in reparto e migliorare le proprie condizioni economiche. La differenza è che le “fabbriche” di oggi richiedono lavoratori iper-specializzati e ne richiedono meno. Se avete da offrire solo un paio di braccia, non c’è momento peggiore per entrare nel mercato del lavoro. Tranne uno: il futuro. Sembriamo muoverci verso una società in cui una parte consistente della popolazione rischia di trovarsi intrappolata in una disoccupazione strutturale. Per loro, semplicemente, non esisteranno più lavori adatti. Il World Economic Forum ha stimato che da ora al 2020 si perderanno 7 milioni di posti di lavoro, sostituiti da alternative digitali, e se ne creeranno solo 2 milioni. Sono stime contestate e forse troppo fosche, ma il rischio rimane. Non è un caso se proprio nella Silicon Valley, all’interno di uno degli acceleratori di start-up più prestigiosi, sia iniziato uno studio sugli effetti di un reddito minimo universale. Fino a pochi anni fa, sembrava il sogno di qualche socialista nostalgico. Considerazioni etiche a parte, se vogliamo che l’economia continui a funzionare, non possiamo permetterci di far morire di fame chi non ha un lavoro visto che saranno sempre di più. E dobbiamo fare in modo che coloro che hanno le capacità per trovare un lavoro, abbiano gli strumenti legislativi giusti. Il Jobs act è un buon inizio, ma nel nuovo mondo digitale, nessuna riforma è da considerarsi definitiva. Piuttosto, qualcosa che cresce, si adatta continuamente ai cambiamenti. Le aziende più potenti del NASDAQ hanno un’età media di 25 anni. E, fra altri 25, probabilmente non esisteranno più. Anche i legislatori devono fare l’abitudine a un nuovo ritmo di lavoro”.

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*L’articolo dell’On. Elisa Simoni è stato pubblicato sull’Unità dell’8 giugno 2016.

8 giugno 2016

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