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Blockchain e l’inquadramento giuridico della DAO, decentralized blockchainbased organization. Il caso degli Stati Uniti. Intervista al Prof. Avv. Pierluigi Matera

Pierluigi Matera è Professore Ordinario di Diritto Privato Comparato. Oltre a essere titolare delle cattedre di Sistemi Giuridici Comparati e di Corporate Law presso la LCU, insegna Corporations presso la Boston University nonché Law and Economics – Business and Corporate Law presso la LUISS Guido Carli.

Ha un dottorato di ricerca in Comparazione e Diritto civile ed è, sin dal luglio 2019, visiting fellow e long-life member del Wolfson College, University of Cambridge. È stato, tra l’altro, Direttore del corso di studi in Giurisprudenza e Prorettore.

Dal 2010 è Direttore dell’IDEMS (Istituto di Diritto e Management dello Sport) e coordina l’MBA in Diritto e Management dello Sport della LCU. È Componente del Collegio dei Docenti del Dottorato di Ricerca in “Diritto Internazionale e Privato e del Lavoro” dell’Università di Padova. È stato visiting professor, lecturer o scholar in numerose istituzioni universitarie americane ed europee, tra cui la University of Cambridge e la Queen Mary University of London.

È Avvocato abilitato al patrocinio dinanzi alle Giurisdizioni Superiori, iscritto all’Ordine degli Avvocati di Roma, presso il quale è componente del Comitato Scientifico della Camera Arbitrale Nazionale e Internazionale. È sin dal 2004 curatore fallimentare e commissario straodinario o giudiziale per numerose procedure.

È managing partner dello studio Libra Legal Partners, con sede in Roma, specializzato in diritto amministrativo, delle società, delle procedure concorsuali, delle nuove tecnologie e dello sport. Vanta numerose pubblicazioni scientifiche, suddivise in lavori monografici, contributi in volume e articoli nelle più importanti riviste italiane e statunitensi, come il Delaware Journal of Corporate Law o il Fordham Journal of Corporate and Financial Law. Tra le pubblicazioni più recenti, anche la nuova voce Blockchain nel Digesto delle Discipline Privatistiche – sez. Commerciale.

 

Il Prof. Avv. Pierluigi Matera

 

 

Approfondirebbe con noi e per i nostri lettori le potenzialità della tecnologia blockchain nell’ambito delle società di capitali e dei mercati finanziari?

Mi sembra che la blockchain sia, per un verso, una business opportunity e, per altro, una opportunity for businesses.

Nel primo senso (business opportunity), il riferimento va alle applicazioni della blockchain che possono generare revenue — si pensi ai cryptoasset e al relativo mercato, ormai di dimensioni rilevanti.

Sebbene le prime teorizzazioni delle distributed ledger (o DLT) risalgano agli anni ’80 e la blockchain concettualmente sia rintracciabile in taluni scritti dei primi anni ’90, il tumultuoso sviluppo degli ultimi quindici anni è legato agli investimenti che i cryptoasset – e in particolare Bitcoin – hanno guadagnato al settore. In altri termini, lo sviluppo concreto di questa tecnologia è debitore verso gli investimenti che Bitcoin e le altre cryptocurrency hanno attirato. Da qui la sovrapposizione e finanche l’identificazione della tecnologia blockchain con questa applicazione appunto.

Nondimeno, riconosciuto questo merito, è vero che questa tecnologia possiede un potenziale innovativo che va ben oltre le cripto.

Nel secondo senso, infatti – quello di opportunity for businesses –, la blockchain costituisce una opportunità di innovazione per le società, prestandosi a trasformare profondamente la loro governance e le relative regole e dinamiche, nonché il funzionamento stesso del mercato finanziario.

Per comprendere questo potenziale dobbiamo considerare le caratteristiche tecniche della blockchain: sotto un profilo tecnico-informatico, la tecnologia blockchain è un sottoinsieme del più ampio insieme delle DLT. Un sistema DLT consiste in un database strutturato che permette la tenuta e la condivisione dei suoi dati in maniera distribuita e decentralizzata, mentre ne assicura l’integrità attraverso un protocollo di validazione consensus-based. La blockchain impiega così la peculiare architettura in questione costruendo una catena di block che contengono le informazioni di ciascuna operazione. L’aggiunta di ogni blocco di informazione al precedente costruisce la catena in modo lineare e cronologico, dotandola di sequenzialità e certezza – in ciò serve il c.d. hash. I block vengono trasmessi, quindi, ai nodi del network (un “decentralized peer-to-peer network”) che li immagazzinano in un public ledger (c.d. “unpermissioned blockchain”, il cui accesso è consentito a tutti) o in un private ledger (c.d. “permissioned blockchain”, ove l’accesso è subordinato a uno specifico permesso e il ledger può avere uno o gestori). Ne consegue che le operazioni effettuate tramite blockchain sono sicure e affidabili (hanno un’elevata Byzantine fault tolerance), senza la necessità dell’intermediazione da parte di una organizzazione centralizzata, la quale sia chiamata a validarle. E proprio la disintermediazione è la ragione della portata dirompente di questa tecnologia nell’ambito della corporate governance e dei mercati finanziari. Ciò appare evidente sol che si consideri come i mercati finanziari operino proprio grazie all’intermediazione – un’intermediazione che è andata crescendo dapprima con lo sviluppo delle borse e, di poi, con la dematerializzazione degli strumenti finanziari e la globalizzazione dei mercati.

 

Più in dettaglio, in che modo la disintermediazione derivante dall’impiego della blockchain potrebbe rivoluzionare i mercati finanziari per come li conosciamo?

Come accennavo, se la blockchain è in grado di operare in un c.d. adversarial environment e di assicurare affidabilità in questo contesto pur senza necessità di una intermediazione e finanche con l’immediatezza di questa tecnologia, allora l’intermediazione sui mercati finanziari diventa superabile. Nel senso che, in quest’ambito, l’intermediazione – la quale non va esente da errori e rappresenta quindi un costo – diviene in tutto o in parte evitabile. Si consideri la possibilità, attraverso il superamento almeno parziale dei sistemi centralizzati e intermediati, di ridurre – virtualmente eliminare – gli errori nell’identificazione degli azionisti delle quotate e quindi nell’attribuzione dei relativi diritti.

Peraltro, giacché come noto il sistema ruota attorno ai central securities depository (CSD), i quali detengono i titoli per gli investitori – anzi, sovente per i broker e giù fino all’investitore vero e proprio in una catena di intermediazione –, l’impiego della blockchain può risolvere i profili di identificazione in senso assai ampio, vale a dire dall’attribuzione concreta della titolarità sul titolo, a quella dei diritti di voto e del relativo esercizio – anche senza i limiti derivanti dalle deleghe.

Si pensi ai benefici per lo svolgimento dell’assemblea di una società quotata il cui azionariato sia assai diffuso e articolato anche su più ordinamenti e con interazione tra diversi CSD. E si pensi, altresì, alla discussa pratica del c.d. empty voting – l’acquisizione temporanea di voti attraverso il prestito di azioni o talune combinazioni di derivati, in occasione di un’assemblea e non senza qualche sorpresa. Di là dal giudizio su questa tecnica, è evidente come l’impiego di una blockchain vanifichi per lo più questa tattica e la sua imprevedibilità: in virtù della richiamata trasparenza e della disponibilità puntuale dell’informazione, il prestito di azioni finalizzato all’esercizio dei collegati diritti di voto, se avvenisse con una blockchain nell’approssimarsi di un’assemblea, sarebbe subito noto agli azionisti, al management e alle stesse Autorità di vigilanza, aprendo a contromosse e/o a controlli di altra natura.

 

Negli Stati Uniti si sta discutendo non poco delle DAO. Cosa ne pensa?

Le decentralized blockchainbased organization o DAO sono un’ulteriore evoluzione lungo questo solco. Sono, come noto, organizzazioni che girano su blockchain e in cui le regole sono embedded nel programma informatico – nell’algoritmo che viene impostato per la DAO. Di tal che, il sistema informatico applica automaticamente queste regole, operando in buona sostanza senza ulteriore intervento dell’uomo. Intendo dire che ivi i processi decisionali, a seconda degli algoritmi e delle architetture utilizzate, possono svilupparsi con un grado di autonomia tali da rendere le DAO pressoché (o quasi del tutto) indipendenti persino dalla volontà dei membri della blockchain. In questo, le DAO sono un passo in più rispetto alle innovazioni legislative di quegli Stati, come il Delaware, che permettono la conservazione dei corporate record su una blockchain – pur con i limiti della produzione a richiesta in formato tradizionale. E vanno anche oltre rispetto alle blockchain-based LLC del Vermont.

Anche in questo caso gli investimenti sono stati attirati inizialmente dalle opportunità offerte dal mercato dei cyrptoasset. Si pensi allo sviluppo di Uniswap e al suo trading di criptovalute attraverso una funzione automatizzata di market-making, con oltre 1 trilione di dollari di volume di scambi ad oggi.

Ma non deve pensarsi che le DAO siano mere piattaforme con un qualche grado di maggior autonomia. Sono di più, o quantomeno hanno tutto il potenziale per esserlo. Il diritto di voto nella governance di una DAO si basa sulla proprietà di un c.d. token di governance, simile ai diritti di voto in una società. Le DAO si prestano alla gestione di asset ma anche ad altre attività di business; e possono farlo su scala significativa e coprendo tutte le normali funzioni di un’anonima: ad esempio, raccogliendo il capitale dei partecipanti, effettuando transazioni o investendo sia in cryptoasset sia in altri asset, interagendo con altri protocolli blockchain e via enumerando. Il tutto senza una gestione centralizzata o il coinvolgimento dei soggetti tradizionali.

È ovvio che si pongano poi una serie di domande, innanzitutto in termini di corporate governance.

 

Viene da chiedersi, a questo punto, come possa inquadrarsi la DAO da un punto di vista giuridico.

Il tema è estremamente complesso.

Oltreoceano lo Stato del Wyoming ha provato a fornire una risposta, introducendo per primo la DAO nel proprio diritto positivo (Senate Bill n. 38 del 2021, in vigore dal 1° luglio 2021), specificando come la stessa sia una limited liability company. Una recente novella – entrata in vigore il 9 marzo 2022 – ha introdotto anche un modello di statuto DAO: sul punto, la sec. 17-31-102 (rubricata “Definitions”), ribadisce che per “Decentralized autonomous organization” si intende “a limited liability company organized under this chapter”.

Lo stesso percorso è stato intrapreso dal Tennessee con la DAO LLC. Il 20 aprile 2022, infatti, il Tennessee è diventato il secondo ordinamento statale nordamericano a consentire la costituzione di DAO. La nuova legislazione modifica il Title 48 del Tennessee Code per consentire alle società a responsabilità limitata (LLC) del Tennessee di registrarsi come “organizzazioni decentralizzate” – pur rimanendo applicabile per il resto il Tennessee Revised Limited Liability Company Act.

Le DAO sono, quindi, allo stato LLC che formulano espressa opzione per operare come DAO.

Di rilevante interesse anche il profilo della responsabilità: i c.d. DAO member non sono gravati da alcun fiduciary duty ma sono soggetti ai canoni della good faith e del fair dealing, quali implied term.

Ritengo che per ora la positivizzazione sia legata più alla volontà di assicurare ai founder e ai tokenholder delle DAO una responsabilità limitata, che a una avvertita esigenza di ricostruzione dogmatica.

D’altronde, negli ordinamenti in cui la DAO non è disciplinata – allo stato, la grande maggioranza –, questa si atteggia a piattaforma che può assurgere a vera e propria organizzazione di fatto, con le evidenti ricadute in termini di configurabilità di responsabilità illimitate, di mancata definizione dei poteri o di assenza di doveri di sorta, non solo fiduciari, in capo a chi opera, salvo quanto regolato negli specifici contratti – o quanto per via giurisprudenziale non si riesca di volta in volta a riconoscere.

In tal senso, la sfida delle DAO, sospinta dalla velocità dell’innovazione tecnologica, certamente richiede al legislatore una disciplina che scongiuri questi rischi per i soci/utilizzatori.

 

Dunque è nella blockchain il futuro e la soluzione ai problemi di corporate governance?

Una risposta positiva sarebbe, a mio sommesso avviso, quantomeno naïf.

Almeno nel breve periodo, infatti, l’implementazione delle nuove tecnologie applicabili alle società, le c.d. CorpTech, potrebbero addirittura aggravare alcuni agency problem, sia in ragione di una insufficiente comprensione del loro funzionamento da parte degli operatori del mercato; sia in virtù di quell’eccesso di fiducia che in loro si ripone come conseguenza della “tech nirvana fallacy” – ovverosia la tendenza a comparare macchine asseritamente perfette con umani inclini all’errore. La blockchain non fa eccezione in questo senso.

L’innovazione realizzata – o promessa –  dalla blockchain poggia al momento su due realtà in competizione tra di loro: il vecchio mondo basato sui sistemi di gestione centralizzata e le emergenti dinamiche della decentralizzazione e della disintermediazione.

È probabile che il nuovo mondo possa, nel tempo, prevalere, dal momento che di immediata desiderabilità sono molti dei suoi effetti sul mercato. Ma al contempo è necessario che tale processo sia, oltre che incoraggiato, correttamente regolato e governato, giacché la tecnologia – per sua stessa natura – è per lo più neutrale, ma non il suo impiego. Dubito, comunque, che gli equilibri di governance siano modificati per il sol fatto che con una blockchain possano avere accesso alle dinamiche societarie soggetti prima non interessati e di fatto esclusi. Poter partecipare non vuol dire avere le competenze e soprattutto gli incentivi per partecipare.

 

 

 

a cura di

Valeria Montani

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