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Crisi e resilienza del diritto d’autore. L’intervista alla curatrice, l’Avv. Maria Letizia Bixio.

Maria Letizia Bixio, è Ricercatore di Diritto dell’economia presso l’Università Europea di Roma dove insegna Diritto comparato e delle nuove tecnologie e Diritto del mercato e dell’economia. E’ avvocato dal 2013 presso il foro di Roma. Si occupa principalmente di proprietà intellettuale e nuove tecnologie. E’ componente della Commissione di esperti del Ministero della Cultura per l’elaborazione di linee guida operative in merito agli NFT e alla criptoarte. Già consulente in qualità di esperto per il Comitato consultivo permanente per il diritto d’autore nelle commissioni per il droit de suite, per la copia privata, per il format, per la trasposizione della direttiva 2014/26. Dal 2015 svolge la propria attività di ricerca presso il CREDA – Centro di ricerca di eccellenza per il diritto d’autore. E’ membro di ATRIP – Teaching and Research in Intellectual Property- e di ALAI – Association littéraire et artistique Internationale. Per Giappichelli ha pubblicato il volume Modelli di gestione collettiva a tutela dei diritti d’autore, Torino, 2020 e curato il volume Crisi e resilienza del diritto d’autore, 2024.

 

Avv. Maria Letizia Bixio

 

 

Nel libro da Lei curato, Crisi e resilienza del diritto d’autore, si menziona la distinzione introdotta dalla direttiva 2019/790 tra utilizzazioni che perseguono finalità egoistiche e utilizzazioni orientate all’interesse generale. Può spiegare come questa distinzione abbia impattato concretamente le pratiche di protezione e sfruttamento dei diritti d’autore e le eccezioni al suo utilizzo?

La direttiva ha senz’altro segnato la fine di una stagione del diritto d’autore e l’inizio di una nuova. Il così detto processo di modernizzazione del diritto di autore, animato dall’esigenza di adeguare il copyright all’ecosistema digitale e alle sfide delle nuove tecnologie, ha infatti mostrato con vigore una duplice tendenza. Da un lato quella di assecondare la necessità di rafforzare ancora una volta l’effettività dei diritti di esclusiva, confermando l’egoistico e legittimo ius escludendi alios del titolare del diritto dinanzi alle crescenti e incontrollate potenziali forme di sfruttamento facilitate dalla digitalizzazione; dall’altro quella di promuovere, in nome di un interesse diffuso della collettività, un più maturo bilanciamento tra l’interesse dei titolari e quello generale alla salvaguardia di libertà fondamentali quali la libertà d’espressione, il diritto dei cittadini di accesso alla cultura e all’informazione o quelli legati alle regole del libero mercato e della concorrenza. E’ proprio da quest’ultima istanza che il tema delle eccezioni e limitazioni è entrato a far parte integrante della Strategia per il Mercato Unico Digitale, lanciata dalla Commissione europea nel maggio 2015 e ha comportato un radicale ripensamento del sistema del diritto d’autore. Si pensi che nella direttiva 2001/29 di 23 eccezioni facoltative per gli Stati membri solo una era obbligatoria; di contro, con la direttiva 2019/790, con l’intento di adeguare le norme sul diritto d’autore al fine di superare i possibili ostacoli ad una circolazione transfrontaliera delle opere dell’ingegno per scopi di pubblico interesse, tutte le eccezioni previste -nuove eccezioni obbligatorie nei settori  della ricerca (art. 3-4), nuove eccezioni nei settori dell’istruzione (art. 5), nuove eccezioni obbligatorie nei settori della conservazione del patrimonio culturale (art. 6)- sono divenute vincolanti per gli Stati membri.

Nel tentativo, dunque, di migliorare il coordinamento tra la tutela del diritto d’autore ed il libero accesso alla conoscenza, e per tale via incentivare la circolazione della cultura, si è orientato prima il contesto internazionale, con il trattato WIPO di Marrakech, per facilitare l’accesso alle opere da parte delle persone con disabilità, e, successivamente, quello europeo, con la direttiva 2012/28 che introduce un’eccezione obbligatoria per favorire un maggiore accesso transfrontaliero alle c.d. opere orfane, con la direttiva di esecuzione del Trattato di Marrakech 2017/1564 tesa a garantire alle persone con disabilità visiva o con altre difficoltà nell’accesso a libri e ad altro materiale a stampa in formati idonei e, da ultimo, con l’impianto sopra descritto della direttiva 2019/790. Tale tendenza pare segnare un ravvicinamento tra il tradizionale sistema continentale del droit d’auteur e il sistema anglosassone. Il primo, basato sull’idea di un’appartenenza dell’opera all’autore, la cui personalità viene in essa riflessa, accordava sul piano della disciplina giuridica del rapporto tra diritti esclusivi e limiti ai medesimi, ai primi termini più ampi di tutela e ai secondi più restrittivi. Nel sistema anglosassone, invece, viene conferito maggiore rilievo ai profili economici dello sfruttamento dei diritti autoriali, utili ad incentivare il progresso scientifico e culturale e a garantire il benessere sociale, pertanto, si ha una enucleazione restrittiva dei diritti esclusivi, e una definizione più aperta dei limiti a tali diritti.

 

Con l’entrata in vigore della direttiva 2019/790 e le sue conseguenti modifiche alla legge italiana sulla protezione del diritto d’autore, quali sono, secondo Lei, gli aspetti più critici da affrontare per assicurare coerenza tra la normativa nazionale e gli obiettivi europei?

Le criticità sono molteplici, ma forse i passaggi più complessi riguarderanno due vicende: l’innesto di un sistema estraneo al nostro ordinamento, quale quello delle licenze collettive estese, nella forma spuria proposta dal legislatore nazionale e la forzata interpretazione dell’eccezione per Text and data mining per le nuove forme di applicazione dei sistemi di intelligenza artificiale.

Con riguardo alla prima questione mi riferisco alle norme legate alle licenze per le opere fuori commercio, dove, se per un verso si riscontra grande coincidenza tra il testo della direttiva e il recepimento interno, (si pensi alla definizione di opera fuori commercio, alle preclusioni (102-undecies c.1-6), e alle modalità di rilascio della licenza all’organismo di gestione collettiva rappresentativo, 102-duodecies c.1-2), dall’altro, l’ordinamento mostra dei limiti di coerenza tutt’altro che trascurabili nell’implementazione del modello proposto dal legislatore europeo, in particolare rispetto alle licenze collettive. Peculiarità dell’art. 8 della direttiva era stata, infatti, quella di prevedere un regime alternativo per l’utilizzo delle opere fuori commercio da parte degli Istituti culturali, dando agli Stati membri la possibilità di optare per un sistema di licenze collettive estese o per un meccanismo di presunzione di rappresentanza. L’Italia pur mantenendo all’art. 102-duodecies c.1-2 le modalità di rilascio delle licenze collettive estese in modo coerente con quanto proposto dalla direttiva, al comma terzo ha ipotizzato una fattispecie che va in antagonismo diretto con la ratio funzionalistica delle licenze collettive estese, prevedendo un affidamento tripartito ai tre organismi rappresentativi: “Nel caso di pluralità di organismi di gestione collettiva, il rilascio della licenza compete ai tre organismi maggiormente rappresentativi per ciascuna categoria di titolari”. Con tale formulazione pare possa essere insidiata tanto la certezza del diritto quanto l’efficienza e l’economicità del nuovo sistema. Altra rilevante discrepanza tra il sistema nazionale e quello proposto dalla direttiva, impatta sul recepimento della seconda misura. Infatti, con l’intento di porre rimedio alle situazioni in cui non esiste una gestione collettiva per il tipo di opera in questione, ovvero nei casi in cui l’organizzazione di gestione collettiva non è sufficientemente rappresentativa del tipo di opera o del tipo di diritto, la direttiva aveva proposto, in subordine, un secondo meccanismo, prevedendo un’eccezione al diritto d’autore teso a consentire alle istituzioni culturali di “mettere a disposizione, per scopi non commerciali” opere fuori commercio purché ne fosse indicato il nome dell’autore o di qualsiasi altro titolare di diritti individuabile, consentendo che tali opere o altri materiali fossero messe a disposizione su siti web non commerciali. Il legislatore italiano ha inteso disapplicare parzialmente la portata del secondo meccanismo, riducendo l’applicazione dell’eccezione a sole due categorie di opere: “banche dati e programmi per elaboratore”. La scelta italiana pare di difficile comprensione, infatti, dalla lettura della direttiva si evinceva chiaramente il tentativo operato dal legislatore europeo di fornire soluzioni graduali a seconda della reale efficacia dei singoli strumenti. In tal senso, l’impiego dell’eccezione, doveva essere l’ultima ratio solo quando le licenze collettive di opere fuori commercio non avessero potuto costituire una soluzione risolutiva; ad esempio si pensi al caso in cui gli istituti di tutela del patrimonio culturale dovessero incontrare difficoltà nell’ottenere le autorizzazioni necessarie in quanto manchino prassi di gestione collettiva dei diritti per un dato tipo di opera o altri materiali, ovvero quando il pertinente organismo di gestione non sia sufficientemente rappresentativo per la categoria di titolari e relativi diritti. In questi casi, non avendo previsto un’eccezione armonizzata al diritto d’autore e ai diritti connessi, gli Istituti culturali non potranno rendere disponibili sul proprio portale tante tipologie di opere fuori commercio. La scelta di ammettere all’eccezione le sole banche dati e i software (ammesso che di questi ultimi ve ne siano nei repertori di dette istituzioni) pare dunque arbitraria e in contrasto con l’esigenza armonizzatrice che anima l’intera direttiva.

Il secondo aspetto critico riguarda, invece, le più recenti interpretazioni nazionali dell’eccezione per Text and data mining, che era stata prevista per scopi di ricerca scientifica all’art. 3 della direttiva e per finalità commerciali all’art. 4. La norma prevedeva che fosse introdotta negli Stati membri un’eccezione “per le riproduzioni e le estrazioni di testo e di dati, da opere o altri materiali cui si abbia legalmente accesso, a condizione che l’utilizzo delle stesse non fosse espressamente riservato dai titolari dei diritti, ad esempio attraverso strumenti che consentano la lettura automatizzata di contenuti resi pubblicamente disponibili online”. La riserva di opt-out, che ha lo scopo di derogare l’eccezione e riattribuire il diritto esclusivo in capo al titolare, veniva dunque puntualizzata, anche nel considerando 18, nelle sue modalità tecniche, aspetto che, all’art. 70-quater della Legge sul diritto d’autore italiana, viene ridotto ad un mero richiamo alla riserva dei diritti senza che venga chiarito il quomodo. A ben vedere l’opzione dell’opt-out così proposta pare impraticabile nel sistema interno, lasciando una libertà di forma incompatibile con un’individuazione automatizzata da parte dei sistemi informatici. Inoltre, tale eccezione, ove invocata per giustificare il c.d. web scraping operato dai sistemi di intelligenza artificiale generativa, pare incompatibile con il Three step test, ovvero lo strumento che a livello internazionale è stato codificato per testare la congruità delle eccezioni nel sistema del diritto d’autore. Tanto la Convenzione di Berna (art. 9.2), quanto gli accordi TRIPS (art. 13), il WCT (art. 10) e da ultimo la direttiva 2001/29 (art. 5) prevedono che: le eccezioni si applichino solo in alcuni casi speciali; che non siano in conflitto con il normale sfruttamento delle opere protette dal diritto d’autore e non pregiudichino in modo irragionevole i legittimi interessi dei titolari dei diritti. Eppure, nel testo della direttiva 2019/790 non vi è alcuna menzione dell’intelligenza artificiale generativa tra le forme di applicazione dell’eccezione, verosimilmente in quanto tali applicazioni non erano ancora disponibili all’epoca della stesura. Tale assenza di richiami espliciti a detta forma d’uso pare di contro inficiare il primo requisito del Three step test, ovvero quello della specialità delle eccezioni, che dovrebbero riferirsi a casi concreti senza margine di applicazione estensiva. Inoltre, allo stato, stante l’impraticabilità dell’opt-out in maniera efficace, certa e armonizzata, è inevitabile che l’intelligenza artificiale generativa crei prodotti in concorrenza con le opere protette, ostacolando il loro normale sfruttamento, venendo così meno il rispetto del secondo requisito del Three step test. Da ultimo l’assenza di una remunerazione all’eccezione, pregiudica inequivocabilmente gli interessi legittimi degli autori. In tal senso, l’introduzione di detta eccezione nella trasposizione proposta dal legislatore nazionale, pare sollevare forti problemi di coerenza con i principi generali del diritto internazionale in materia di eccezioni e limitazioni al diritto d’autore e, a cascata, con la formula più puntuale indicata dal legislatore europeo per consentire l’effettività del rimedio dell’opt-out.

3.Riguardo all’obiettivo della redistribuzione dei profitti generati dallo sfruttamento dei contenuti protetti, quali sono le principali innovazioni apportate dalla direttiva per garantire una remunerazione adeguata agli autori e agli artisti?

Premesso che il tema della corretta redistribuzione dei profitti si colloca alla base del rafforzamento dell’industria culturale e creativa, e che tale rafforzamento nel mercato unico digitale europeo rappresentava un chiaro obiettivo strategico, la direttiva ha messo in campo più linee di intervento per assicurare l’innovazione, la creatività, gli investimenti e la produzione di nuovi contenuti. Tra i principali, quello di garantire un livello di protezione elevato ai titolari dei diritti, facilitare il sistema di licenza e circolazione delle opere, e creare un quadro di regole armonizzato che disciplinasse lo sfruttamento delle opere e degli altri materiali protetti online. La tutela del copyright è infatti sempre più divenuta un fattore strategico nella ricerca di un nuovo equilibrio economico per il settore creativo.

Le forme di redistribuzione di utili attenzionate nella direttiva sono state principalmente due. Anzitutto, il recupero del disavanzo di valore incassato dagli intermediari del web a detrimento della filiera creativa (per colmare il c.d. value gap si è impostato un assetto di norme a tutela degli editori di giornali e riviste online, nonché a protezione di tutti i titolari di diritti i cui contenuti vengono diffusi su piattaforme di condivisione in assenza di partecipazione agli utili delle stesse).

La seconda direttrice, invece, inserisce l’obiettivo di corretta redistribuzione nelle dinamiche dell’industria culturale, andando a riconoscere ad autori e artisti interpreti quattro nuovi ambiti di protezione disciplinati dagli artt. 18 e ss della direttiva: in primis, il diritto a una remunerazione adeguata e proporzionata (Articolo 18); in secondo luogo, per dare effettività all’equilibrio contrattuale, il diritto alla trasparenza, che impone la ricezione “di informazioni aggiornate, pertinenti e complete” almeno annualmente per consentire di conoscere il valore dello sfruttamento economico dei diritti trasferiti (Articolo 19); ancora, il diritto ad un adeguamento del contratto, quando la remunerazione originariamente pagata all’autore/interprete risulti sproporzionatamente bassa rispetto al successivo successo dell’opera (clausola “best seller”) (Articolo 20); da ultimo la previsione di un diritto di revoca, quando un diritto che è stato trasferito non sia stato sfruttato in un tempo ragionevole (Articolo 22). Ad oggi il recepimento di dette norme non modifica radicalmente i modelli esistenti e fa salva la libertà contrattuale, mostrandosi coerente alle norme di chiusura della direttiva in cui si avvertiva che aggiramenti o elusioni dei principi di fair remuneration e fair contract non sarebbero state ammissibili.

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