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Diritto e intelligenza artificiale: una prospettiva sulla giustizia predittiva. L’intervista al Prof. Ernesto Fabiani

Il Prof. Ernesto Fabiani è Professore di Diritto processuale civile presso l’Università degli Studi del Sannio. Ha ricoperto il ruolo di Vicedirettore, con funzioni vicarie, del Dipartimento di Diritto, Economia, Management e Metodi Quantitativi dell’Università degli Studi del Sannio dal 2015 al 2019. Amministratore delegato di “KNOWLAB – The Knowledge Factory Spin off S.r.l.”, dal 2013, è Componente del collegio del Dottorato “Persona, Mercato, Istituzioni” dell’Università degli Studi del Sannio e fa parte del “Board of Directors” della rivista “AI Law – International Review of Artificial Intelligence Law”.
Il Prof. Ernesto Fabiani
In questi ultimi anni abbiamo visto aumentare le occasioni di discussione e sensibilizzazione sui temi di diritto e intelligenza artificiale. A Suo avviso, crede siano ormai troppi i convegni e gli incontri di studio sull’argomento?
No no, non sono troppi e sono importantissimi. Studiare seriamente questa tematica ed organizzare delle occasioni di confronto sulla stessa rappresentano l’unica speranza che le più recenti evoluzioni dell’IA siano poste effettivamente a servizio delle prioritarie esigenze del mondo del diritto, anziché subire (peraltro inconsapevolmente) le scelte (sbagliate) effettuate da chi non conosce queste esigenze o sottovaluta, comunque, l’importanza delle peculiarità del mondo del diritto, del cd. dominio in cui dovrebbero trovare applicazione queste nuove tecnologie.
Lei insegna diritto processuale civile. Può farci capire cosa intende dire con un esempio in tema di giustizia civile?
Certamente, è proprio ciò che sta accadendo con riferimento alla cd. giustizia predittiva, che viene spesso sbandierata come la principale via di risoluzione della crisi della giustizia civile attraverso il ricorso alle più recenti tecniche dell’IA (e segnatamente al machine learning), me
Diritto e Intelligenza Artificiale: una Prospettiva sulla Giustizia Predittiva
ntre, in realtà, non è per null’affatto così.
Cosa si intende per giustizia predittiva e per quali motivi Lei sostiene questo?
Il primo problema è legato proprio all’estrema genericità ed equivocità del termine “giustizia predittiva” con il quale vengono indicati fenomeni estremamente differenti fra loro: dagli algoritmi cd. predittivi volti a “prevedere” la decisione del giudice alle prassi virtuose di taluni Tribunali che, sulla falsariga del progetto pilota del Tribunale di Brescia, massimando i propri precedenti giurisprudenziali in determinate materie e facendoli conoscere a cittadini ed avvocati (per lo più attraverso la pubblicazione degli stessi sul sito istituzionale del Tribunale) mirano a ridurre il contenzioso in ingresso (a fronte di indirizzi consolidati, infatti, gli avvocati dovrebbero essere indotti a non instaurare nuove controversie finalizzate a conseguire risultati in contrasto con i suddetti indirizzi).
Il secondo, e più grave, problema è che i cd. algoritmi predittivi, lungi dallo svolgere un’attività propriamente sostitutiva di quella che il giudice pone in essere per decidere la controversia, fanno qualcosa di molto diverso: anziché riprodurre il “ragionamento giuridico” del giudice (sia in termini di giudizio di fatto che di giudizio di diritto), attraverso l’apprendimento automatico incentrato sui precedenti giurisprudenziali individuano correlazioni o ricorrenze giungendo, su tali basi, a risultati latamente predittivi della decisione del giudice su una determinata controversia; talvolta, sub specie di determinazione delle probabilità di successo/insuccesso di una controversia dedotta o deducibile in giudizio. Dico latamente predittivi della decisione del giudice in quanto, a ben vedere, la previsione è incentrata sul solo giudizio di diritto (e già solo per questo motivo non può essere vera e propria predizione dell’esito di una specifica controversia) e, più precisamente, su parte del giudizio del diritto (ossia l’interpretazione della norma, realizzata, però, con le modalità – differenti dall’attività del giudice – appena più sopra indicate; non anche il giudizio sussuntivo del fatto nella norma). Quel che si tende a prevedere, in estrema sintesi, non è l’esito di uno specifico giudizio, ma l’esito di un’interpretazione giudiziale, di un orientamento del ragionamento (in diritto) del giudice.
In sostanza, stiamo dicendo che in un Paese che non ha ancora una vera e propria banca dati di pronunce giurisprudenziali di merito, noi stiamo pensando di risolvere la crisi della giustizia civile attraverso algoritmi che fanno qualcosa di diverso da ciò fa comunemente il giudice civile e lo fanno basandosi sui precedenti giurisprudenziali!!
Ognuno sa che la bontà del dato di partenza (nel caso di specie il precedente giurisprudenziale) influenza la bontà del risultato cui approda l’algoritmo, ma, assai opportunamente, la dottrina ha già evidenziato altri effetti negativi del fenomeno in esame, quali, a titolo meramente esemplificativo: il rischio dell’appiattimento della giurisprudenza, la violazione di principi (anche di rango costituzionale) come la terzietà e l’imparzialità del giudice, il difetto di trasparenza delle decisioni (posto che un tratto caratterizzante dei suddetti algoritmi, incentrati sul machine learning, è quello di non consentire di conoscere il percorso attraverso il quale l’algoritmo giunge ad un determinato risultato), lo svuotamento della rilevanza della motivazione e la conseguente vanificazione del diritto all’impugnazione (che, evidentemente, presuppone una motivazione da cui possa ricavarsi il ragionamento del giudice che ha deciso la controversia).
Non mancano algoritmi che provano a riprodurre l’attività di interpretazione della norma da parte del giudice, ma, nell’incentrare la costruzione dell’algoritmo sui soli criteri interpretativi di cui all’art. 12 delle preleggi, oltre ad incontrare limiti oggettivi (quali, su tutti, quello delle clausole generali), finiscono sostanzialmente per misconoscere tutta l’evoluzione della teoria dell’interpretazione, che, pacificamente, oggi come oggi, anche alla luce della evoluzione del sistema delle fonti (ormai cd. multilivello), non si riduce certamente ad una meccanica applicazione dei criteri interpretativi di cui all’art. 12 delle preleggi.
Il nuovo Regolamento Europeo sull’AI può essere di ausilio per arginare le possibili storture del fenomeno in atto da Lei segnalate?
Si, credo proprio di si. Soprattutto nella parte in cui pone dei limiti alla possibile sostituzione del giudice con la macchina in sede di decisione della controversia.
Cosa si può veramente fare per risolvere i problemi della giustizia civile attraverso il ricorso alle più evolute tecniche di IA?
Occorre un radicale cambio di prospettiva.
Occorre mettere al centro il cd. dominio, le sue peculiarità, le sue effettive esigenze, solo così si può comprendere in quale misura l’IA può aiutare la giustizia civile ad uscire dalla crisi che ormai la affligge da tantissimi anni.
Permesso che già un effettivo utilizzo delle tecnologie disponibili ormai da anni (senza scomodare le più recenti evoluzioni dell’IA) sarebbe di grosso ausilio per la risoluzione dei problemi della giustizia civile, muovendosi nel suddetto ordine di idee, è agevole comprendere come, in questo momento storico, la prospettiva su cui investire non è quella dei cd. robogiudici, ma quella della interazione uomo-macchina, della utilizzazione delle capacità della macchina per potenziare quelle dell’uomo, della cd. intelligenza aumentata. Il che significa, nel caso di specie, puntare sul supporto all’attività del giudice, e non sulla sua sostituzione; supporto nello svolgimento della pluralità di giudizi di cui si compone il complesso giudizio attraverso il quale il giudice decide una controversia civile (giudizio di fatto e giudizio di diritto), nonché delle attività prodromiche alla decisione (quali, a titolo meramente esemplificativo: effettuazione di ricerche giurisprudenziali, selezione e lettura della giurisprudenza più rilevante e delle argomentazioni poste a fondamento dei contrapposti indirizzi individuati, lettura degli atti processuali, individuazione delle richieste ed argomentazioni delle parti, predisposizione di bozze di provvedimenti, etc.).
Alla luce delle più recenti riforme della giustizia civile, peraltro, detta prospettiva merita di essere vagliata e sviluppata anche con riferimento all’Ufficio del processo, quale struttura di supporto all’attività del giudice (e, in via più generale, dell’ufficio giudiziario nel suo complesso) su cui il legislatore ha puntato proprio per risolvere la crisi della giustizia civile.