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Fintech, criptovalute e diritto. Intervista a Chantal Bomprezzi

Chantal Bomprezzi è dottoranda in Law, Science and Technology presso l’Università Alma Mater Studiorum di Bologna e fellow di IAIC (Italian Academy of the Internet Code). Si occupa di diritto privato dell’informatica.

Quello della fintech è un mercato in forte espansione, ma non ancora adeguatamente regolamentato. Dei primi passi sembrano tuttavia essere stati intrapresi: cosa manca ancora e cosa serve per poter assicurare un chiaro quadro giuridico?

Il termine Fintech è generico, riferendosi all’applicazione della tecnologia al mondo finanziario. All’interno, possono essere individuati vari ambiti in cui l’innovazione ha determinato l’insorgenza di svariati quesiti giuridici.

Volendo fare una carrellata delle principali questioni oggetto di dibattito nell’ambito del diritto civile, in primo luogo ci si può riferire alle criptovalute, valute virtuali non emesse dall’autorità bancaria scambiate mediante la tecnologia blockchain. Sul punto emergono essenzialmente due profili: i rischi per gli utenti determinati dal mancato assoggettamento delle cripto-monete alle normative in materia, poiché non aventi corso legale; la presenza di nuovi intermediari che forniscono gli e-wallets o scambiano valute virtuali con moneta legale, la cui attività va regolamentata. Le critpovalute potrebbero essere utilizzate anche a fini speculativi, con conseguente diversa funzione giuridica: da mezzo di pagamento a strumento di investimento. Anche su questo punto, le norme del TUF non offrono chiari appigli circa la più opportuna definizione giuridica, che a sua volta consentirebbe di individuare la normativa applicabile ai soggetti emettitori, anche a protezione dei consumatori. In sintesi, occorre un’attività di qualificazione di questi fenomeni ed una loro riconduzione all’interno delle normative esistenti. Alcuni progressi sono stati fatti in questo senso, quale la elaborazione di una definizione di valuta virtuale e l’assoggettamento agli obblighi antiriciclaggio dei prestatori di cambio di valute virtuali/valute aventi corso forzoso e dei servizi di portafogli digitale agli obblighi antiriciclaggio di cui alla Direttiva (UE) 2018/843 (cosiddetta V Direttiva AML).

I mercati finanziari vedono poi da tempo un cospicuo ricorso agli smart contracts, programmi per computers autoeseguibili all’avverarsi di determinate condizioni prestabilite, utilizzati per l’automatica conclusione e/o esecuzione di contratti. Ci si riferisce, in particolare, a sistemi di algoritmic trading e high frequency trading. Gli smart contracts sono recentemente tornati alla ribalta con la blockchain, nonché con lo sviluppo dell’intelligenza artificiale. Il dibattito abbraccia vari profili del diritto contrattuale, quali la formazione dell’accordo, l’imputazione della volontà e i suoi vizi, l’adempimento e la responsabilità. L’intelligenza artificiale, in particolare, per il suo carattere non deterministico, solleva il quesito della natura giuridica della macchina (se cosa o piuttosto assimilabile ad una persona). Anche qui, occorre uno sforzo interpretativo.

Il filo rosso che lega l’impatto delle nuove tecnologie sul diritto è la progressiva scomparsa di un diritto positivo, formale, e statuale, a favore di un diritto liquido e sovranazionale, per cui si tratta anche di capire quali possano essere le fonti del diritto più appropriate.

La criptovaluta Libra di Facebook ha ricevuto molte critiche in Europa (specialmente in Francia) e negli Stati Uniti, alle quali si sommano le perplessità degli stessi partner, come Mastercard e Visa, sulla fattibilità del progetto. Cosa ne pensa? Condivide queste critiche e queste perplessità?

Libra è una criptovaluta. Dunque valgono le considerazioni giuridiche svolte sopra. Con una differenza: mentre le altre criptovalute non hanno allarmato troppo le istituzioni, Libra pone dei rischi ancora maggiori, in quanto, essendo un’iniziativa di Facebook, potrebbe potenzialmente diffondersi tra milioni di utenti su scala globale. Non a caso le autorità bancarie centrali si sono scagliate contro Libra, paventando l’acquisizione del controllo sulle politiche monetarie statuali da parte di un soggetto privato. Facebook potrebbe dunque detenere non più i dati personali dei suoi utenti, ma anche le loro ricchezze. Ecco allora che i risvolti negativi già evidenziati per le criptovalute assumono un peso maggiore. Oltre al pericolo di abuso di posizione dominante e a tutte le ricadute sulla concorrenza.

In tale scenario, soccorre la necessità, come già affermato in precedenza, di regolare Libra. La modalità dovrebbe essere la medesima: a stessa funzione, le stesse regole; no a nuove norme per ogni nuova tecnologia. I principi sono quelli di equivalenza funzionale e di neutralità tecnologica. La FINMA svizzera, che recentemente ha pubblicato delle linee guida sulle cosiddette “stable coins”, ha adottato questo approccio. In alternativa, le banche potrebbero creare proprie “stable coins”, traendo vantaggio dalle caratteristiche di queste nuove forme di pagamento, in termini di minori costi, riduzione dei tempi di trasferimento, etc. Le ultime dichiarazioni del Ministro francese Le Maire andrebbero in questa direzione.

In sintesi, credo che Libra potrà svilupparsi solo se opportunamente racchiusa nella cornice ordinamentale esistente, ed anzi iniziative simili potranno sorgere e stanno già sorgendo. Al contempo, credo che l’innovazione apportata da Libra possa spronare le banche ad adeguarsi ad un mercato che cambia.

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