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“I beni comuni”, il saggio pubblicato sulla Rivista “Nuovo Diritto Civile”

1.     I beni comuni nel codice civile, nella legislazione speciale e nella giurisprudenza*

Il tema si ricongiunge idealmente al problema del metodo, avvertendosi, da subito, che la singolarità dell’espressione «beni comuni», pur evocando termini e lemmi presenti nella legislazione codicistica, nella sua accezione abituale se ne discosta, segnalando allo studioso la necessità di rinvenire aliunde i termini della questione.

l’indagine,  così,  pur  muovendo  dalla  ricerca  della  formula  «beni comuni» nel codice civile, lo fa non già per rinvenire le radici di una definizione, quanto per valutare l’esatta portata e lontani tratti di somiglianza  di  istituti  civilistici  dotati  di  un  lessico    all’apparenza

omogeneo. Di qui emerge che tale espressione è presente nell’art. 192 c.c., che disciplina gli obblighi di rimborso e di restituzione al momento dello scioglimento della comunione legale dei coniugi.

in particolare, gli obblighi di rimborso e di restituzione nascono allorché il coniuge abbia utilizzato i beni della comunione per fini per- sonali o i beni personali per scopi comuni. in quest’ultima ipotesi, cia- scuno dei coniugi può richiedere la restituzione delle somme preleva- te dal patrimonio personale ed impiegate in spese ed investimenti del patrimonio comune. Per soddisfare il proprio diritto, il comma quarto dell’art. 192 c.c. dispone che «il coniuge creditore può chiedere di prelevare beni comuni sino a concorrenza del proprio credito. I prelievi si effettuano sul danaro, quindi, sui beni mobili e infine sugli immobili».

i beni comuni, di cui all’art. 192, comma 4, c.c. sono, pertanto, i beni facenti parte della comunione dei coniugi e, quindi, i beni su cui entrambi i coniugi vantano un diritto di proprietà.

Sostituendo il lemma «beni» con quello di «cose», e proseguendo nella ricerca all’interno del codice civile, risulta che l’espressione «cose comuni» ricorre nelle disposizioni relative allo scioglimento della comunione (cfr. artt. 1116, 2283 c.c.), funzionale a governare il passaggio dalla contitolarità di diritti sui medesimi beni all’attribuzione esclusiva di determinati beni all’ex comunista ovvero all’ex socio, ovvero nelle disposizioni relative alla gestione delle cose comuni dell’edificio (cfr. artt. 1120, 1130, 1138 c.c.) o, più correttamente, delle parti comuni dell’edificio (cfr. art. 1117 c.c.), che, di regola, non sono soggette a di- visione (cfr. art. 1119 c.c.).

le cose comuni, di cui agli artt. 1116, 1120, 1130, 1138, 2283 c.c., sono, dunque, le cose che spettano in comune a più persone e, quindi, le cose su cui si appuntano i diritti di proprietà di ciascun comunista ovvero socio.

Sostituendo l’espressione «beni comuni» con quella di «parti comu- ni» nel codice civile, quest’ultima si rinviene in materia condominiale e, in particolare, negli artt. 1117, 1118, 1119, 1120, 1122, 1122-bis, 1122-ter, 1123, 1128, 1130, 1131, 1134, 1135 c.c.

in particolare, l’art. 1117 c.c. fa un elenco delle parti comuni dell’edificio «oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell’edificio». Le parti comuni sono, quindi, quelle porzioni dell’edificio che, in quanto funzionali all’uso comune, sono oggetto di proprietà di ciascun condomino.

Si può, dunque, fissare un primo punto: tanto all’espressione «beni comuni» che a quella di «cose comuni» piuttosto che di «parti comuni», presenti nel codice civile, si attribuisce il significato di cose oggetto di proprietà di due o più soggetti (c.d. comproprietà).

Dall’analisi della legislazione speciale si scorge che, talvolta, il bene comune viene in considerazione come bene «agro-silvo-pastorale», oggetto di proprietà collettiva indivisibile e non usucapibile, sia sotto il profilo produttivo che sotto quello della tutela ambientale oppure, in altro contesto, come bene demaniale.

nella stessa direzione, in alcune disposizioni, il bene comune è considerato come qualcosa di affine rispetto al demanio comunale ovvero al dominio collettivo. l’elemento in comune con le anzidette specie di demanio è rappresentato dalla destinazione all’esercizio di usi civici. nulla si dice, peraltro, in ordine alla titolarità di questi beni comuni, nonché riguardo alla disciplina cui essi soggiacciono.

tuttavia, nella maggioranza dei casi all’espressione bene comune è assegnato il significato di bene oggetto di comunione ordinaria o con- dominiale, indipendentemente dal fatto che il potere sullo stesso bene sia esercitato in base ad un titolo dominicale o negoziale. a quest’ultimo significato di bene comune, inoltre, si riferiscono la totalità delle disposizioni normative aventi ad oggetto la disciplina, diretta o indiretta, delle «cose comuni».

Volgendo lo sguardo alla giurisprudenza, si osserva che la generalità delle sentenze relative a controversie riferibili, direttamente o indiretta- mente, ai beni comuni si collegano ai beni oggetto: del  condominio;

del supercondominio; della comunione ordinaria; della comunione legale dei coniugi; della comunione ereditaria; della società; del consorzio.

in questi ultimi contesti, con la locuzione «bene comune» si in- tende quel bene che è oggetto del diritto, riconosciuto dalla legge, che compete, rispettivamente, alla persona in quanto: a) condomino, indipendentemente dal fatto che il potere sulla cosa sia esercitato in virtù del possesso ovvero della detenzione; b) comproprietario; c) coniuge in regime di comunione legale dei beni; d) erede, legatario o riservatario; e) socio; f) consorziato; g) componente dell’impresa familiare.

in casi davvero isolati e sporadici, se non addirittura unici, in giurisprudenza all’espressione «beni comuni» è assegnato il significato di bene funzionale al soddisfacimento e al perseguimento di interessi della collettività, indipendentemente dal titolo di proprietà cui soggiace lo stesso bene.

Si può, dunque, fissare un secondo punto: lo studio condotto mediante l’uso della parola chiave «beni comuni», avente a oggetto la le- gislazione, da un lato, e la giurisprudenza, dall’altro, svela l’intrinseca polisemia della stessa locuzione «beni comuni», la quale non consente di associare all’espressione un circoscritto ambito di ricerca, piuttosto che un determinato istituto giuridico.

*Il contributo è a firma di Alberto Maria Gambino (Professore ordinario nell’Università “Europea” di Roma), di Andrea Genovese (Professore associato nell’Università della Tuscia) e di Benedetta Sirgiovanni (Ricercatore confermato nell’Università di Roma “Tor Vergata”), pubblicato sulla Rivista Nuovo Diritto Civile n.3/2016.

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