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Il G7 in cerca della ricetta per lo sviluppo
(via www.lastampa.it) di Andrea Montanino L’agenda ufficiale del G7 finanziario di Bari si intreccia con quella ufficiosa, fatta di temi che verranno affrontati per preparare il summit dei capi di Stato e di governo di Taormina a fine maggio.
L‘incontro sarà il primo a cui parteciperà il nuovo Segretario al Tesoro americano Steven Mnuchin: per evitare che Bari venga ricordata per aver ospitato il primo G7 dell’era protezionistico-nazionalista, è importante che i Paesi europei presenti all’incontro parlino chiaro e in modo coordinato agli americani su almeno tre temi.
Il primo non è nell’agenda ufficiale, ma lo sarà nei colloqui informali, e riguarda il commercio e gli investimenti esteri. Non è un mistero che la nuova amministrazione sia a dir poco scettica sull’attuale assetto del commercio mondiale, e ritenga il sistema di regole e il modo in cui vengono applicate colpevole di aver allontanato le imprese manifatturiere dagli Stati Uniti.
Gli europei possono convincere Mnuchin che invece i benefici del commercio transatlantico sono molti: lo scorso anno i 27 Paesi dell’Unione (escludendo la Gran Bretagna) hanno acquistato beni e servizi dagli Stati Uniti per un valore pari a 370 miliardi di dollari, facendo dell’Unione Europea il loro principale mercato. Secondo il Dipartimento del Commercio americano, 3,3 milioni di posti di lavoro negli Stati Uniti dipendono dall’interscambio con l’Europa e più di 11 milioni sono i posti di lavoro generati nel complesso dal commercio americano con il resto del mondo.
Anche gli investimenti esteri sono estremamente importanti per l’economia americana: sempre secondo stime ufficiali, 12 milioni di posti di lavoro in America dipendono dagli investimenti realizzati da imprese straniere. Mantenere vivi e anzi rafforzare questi rapporti con l’esterno non può che beneficiare gli Stati Uniti.
Il secondo tema è invece nell’agenda ufficiale e riguarda il ruolo delle organizzazioni finanziarie multilaterali come la Banca mondiale e il Fondo Monetario Internazionale. Anche su questo aspetto l’Amministrazione – ma anche il Congresso – fanno fatica a valutarne i benefici. Va ricordato che gli Stati Uniti hanno impiegato 5 anni per ratificare la riforma del Fondo Monetario che ha riequilibrato i diritti di voto a favore delle economie emergenti e destinato più fondi per i programmi di assistenza. Poiché i Paesi G7 sono di gran lunga gli azionisti di maggioranza di queste organizzazioni multilaterali, sarebbe utile far comprendere al ministro Mnuchin che difenderle e potenziarle a tutto vantaggio degli Stati Uniti, che potrebbero contare su ulteriori strumenti di coordinamento delle politiche economiche.
Il terzo tema riguarda i tassi di cambio. All’America non conviene un dollaro troppo forte perché peggiora le partite di scambio (le merci americane diventano relativamente più costose) ma anche perché può spingere in alto i tassi di interesse, rendendo difficoltoso finanziare il programma di infrastrutture che sta a cuore al presidente Trump. Da gennaio a oggi il dollaro si è svalutato nei confronti delle principali monete – euro, yuan e yen – ed è un bene per l’amministrazione americana. Se però si confronta a qual era la situazione tre anni fa, la lettura è molto differente: il dollaro si è infatti apprezzato nei confronti di euro, yuan e yen rispettivamente del 35, 11 e 11,5 per cento non favorendo certo la riduzione del deficit commerciale.
Su questo è difficile immaginare accordi e gli europei ribadiranno che il cambio è determinato dalle forze di mercato e non dagli interventi delle banche centrali. Preparare il terreno sul tema del libero scambio, far firmare agli americani un documento che supporta l’azione delle istituzioni finanziarie multilaterali, ed evitare prese di posizioni pericolose sui cambi farebbe di Bari un incontro di successo.
(via www.lastampa.it)
@MontaninoUSA