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Perché l’Europa ha bisogno di una politica comune sull’Intelligenza artificiale

Il 25 aprile 2018, mentre in Italia si festeggiava come di consueto la Festa della Liberazione, la Commissione Europea pubblicava sotto forma di Comunicazione la propria strategia sull’AI, rispondendo alle sollecitazioni del Parlamento europeo e del Consiglio, ma soprattutto alle mosse degli altri Paesi leader, a partire dagli USA e dalla Cina.

Come testimoniato dalle parole usate e dalle azioni di policy previste nei rispettivi documenti strategici, l’intento era quello di affrancarsi dal crescente dominio tecnologico delle due superpotenze.

Gli Stati Uniti avevano pubblicato una prima strategia quasi due anni prima, nell’ottobre del 2016. Giunto a poche settimane dalla fine del suo mandato, il documento dell’amministrazione Obama aveva un valore poco più che simbolico. Tanto che fu subito riposto nel cassetto dal neopresidente Trump, che anzi alla prima occasione ci tenne a sforbiciare le spese per la ricerca sull’AI stanziate dal suo predecessore. Salvo poi tornare più tardi sui suoi passi, preoccupato soprattutto dall’ascesa tecnologica cinese, con diversi provvedimenti culminati nell’executive order dell’11 febbraio 2019, evocativamente intitolato “Maintaining American Leadership in Artificial Intelligence”.

Una leadership che in effetti la Cina si era già candidata a strappare, visto che nel giugno 2017 a Pechino il Consiglio di Stato, principale organo amministrativo del Paese, presieduto dal primo ministro, licenziava le Linee guida per un piano di sviluppo dell’AI di nuova generazione, fissando l’obiettivo per l’economia cinese di essere nel gruppo di testa dei Paesi leader nell’AI entro il 2020, sviluppare innovazioni radicali entro il 2025 e conquistare la leadership mondiale entro il 2030. Un vasto e ambizioso programma, insomma.

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Crediti immagine: Dave Simonds

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