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L’intelligenza artificiale e le aziende italiane. Intervista a Emanuela Girardi (Pop Ai)

Emanuela Girardi è fondatrice e presidente di Pop Ai e fa parte della task force sull’Intelligenza artificiale del ministero dello Sviluppo economico (MISE).

Nell’ultimo report I-Com, Non voglio mica la Luna, si legge che “una buona parte delle aziende italiane appare ancora poco incline a cogliere la sfida dell’intelligenza artificiale”. Per quale motivo, secondo lei? L’impressione è che il dibattito pubblico si sia concentrato poco sull’impatto dell’AI sulle imprese.

Ho trovato molto interessanti i risultati del Rapporto dell’Osservatorio su Artificial Intelligence del Politecnico di Milano di febbraio 2019. La maggior parte degli intervistati sosteneva di sapere cosa fosse l’AI, ma la quasi totalità ne dava poi una definizione errata. Sempre secondo il rapporto, solo il 12% delle aziende italiane aveva già intrapreso un qualche progetto di AI, e per la maggior parte progetti relativi allo sviluppo di un chatbot.

Perché le aziende italiane non utilizzano ancora l’AI? Semplice, perché i manager e gli imprenditori delle piccole e medie aziende italiane non sanno bene cos’è l’AI e, pur comprendendone strategicità e potenzialità, non hanno le competenze necessarie per introdurla nelle proprie aziende. Servono quindi dei progetti per avvicinare le aziende all’AI. In primis, bisogna spiegare bene cos’è l’AI e quali sono gli impatti concreti che le tecnologie di AI unite a politiche di raccolta e gestione dei dati possono portare in ogni area aziendale: dall’ottimizzazione della gestione delle risorse, all’analisi predittiva della domanda, ai sistemi di supporto decisionale, alla manutenzione predittiva… l’introduzione dell’AI nelle aziende può portare significativi miglioramenti di produttività, competitività e redditività.

È quindi fondamentale sviluppare la cultura dell’AI e promuovere progetti di formazione sia per i cittadini che per le aziende. Molto interessanti sono alcuni progetti di formazione promossi da alcuni stati europei come la Finlandia che ha lanciato il corso “Elements of AI” per tutti i cittadini finlandesi e il Belgio che ha sviluppato “AI Black Belt”, un interessante progetto per introdurre lavoratori e cittadini al mondo dell’AI e per creare competenze di base su queste nuove tecnologie. Entrambi i progetti sono disponibili online e in lingua inglese.

La sfida più importante è dunque creare competenze sull’AI e il punto di partenza è cominciare dalla formazione di manager e imprenditori che potranno poi introdurre l’AI nelle proprie aziende rilanciando la competitività del nostro paese.

A che punto siamo in Italia con la definizione di una strategia nazionale per l’AI?

Il Gruppo di Esperti di AI del MiSE, di cui faccio parte, ha redatto il documento “Proposte per la Strategia Nazionale di AI” che è stato posto in consultazione pubblica dal MiSE da metà agosto fino a metà settembre. Purtroppo, il recente cambio di governo e dei relativi attori istituzionali che avevano seguito i lavori del Gruppo, ha portato a dei ritardi nella pubblicazione e soprattutto nella realizzazione della Strategia italiana per l’AI.

La maggior parte dei paesi europei ha già presentato una strategia nazionale per l’AI e ha già dato inizio alla fase operativa di realizzazione della stessa destinandole ingenti fondi che vanno dai tre miliardi della Germania, al miliardo e mezzo della Francia. L’Italia deve quindi partire al più presto con un piano concreto per sviluppare la strategia nazionale di AI, con risorse adeguate e un’ottica di investimento di lungo termine che sia indipendente dalle vicende politiche che attraversano il Paese.

Se non partiamo subito rischiamo di perdere le grandissime opportunità che queste nuove tecnologie ci offrono in termini di sviluppo economico e sociale e di perdere importanza strategica in Europa e nel mondo.

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