Oreste Pollicino* e Pietro Dunn, in “Intelligenza artificiale e democrazia” (Egea), esplorano l’impatto dell’intelligenza artificiale…
Intervista al Prof. Edoardo Giardino. Discrezionalità amministrativa ed intelligenza artificiale
Edoardo Giardino è avvocato e professore associato nonché abilitato alle funzioni di professore ordinario di diritto amministrativo presso la LUMSA. Relatore in molteplici convegni e seminari, è autore di oltre 120 pubblicazioni in materia di diritto amministrativo.
In che modo l’utilizzo dell’intelligenza artificiale sta influenzando l’esercizio del potere discrezionale all’interno degli uffici amministrativi? È davvero possibile sostituire la valutazione umana con quella di una macchina senza compromettere la qualità e la legittimità delle decisioni?
E’ stato recentemente osservato che il diritto amministrativo deve essere letto “in relazione al potere come situazione di asimmetria: la fonte del potere, la sua titolarità, le regole e i limiti di esercizio del potere, il controllo sui modi di esercizio e sugli effetti sono e restano sempre al centro del diritto amministrativo come disciplina e come scienza” (L. Torchia, Lo stato digitale. Una introduzione, Bologna, 2023, 15). E, sebbene abbia subito, nel corso tempo, mutamenti o, per meglio dire, ridimensionamenti, il diritto amministrativo, tuttavia, preserva ancora una idea di potere, prevalentemente, riflesso della capacità della pubblica amministrazione di incidere sulla sfera del privato a prescindere dal suo consenso.
Tale unilateralità trova, a sua volta, giustificazione nella natura pubblica dell’interesse curato e titolo, quindi, nella volontà politica democraticamente legittimata.
Non è superfluo, altresì, osservare che il pubblico potere si realizza attraverso l’esercizio della discrezionalità amministrativa, tradizionalmente intesa come la ponderazione, che l’amministrazione deve assicurare, di interessi secondari in funzione dell’interesse primario.
Rievocando M.S. Giannini, si deve ritenere che proprio il processo discrezionale implichi “una comparazione qualitativa e quantitativa degli interessi pubblici e privati che concorrono in una situazione sociale oggettiva, in modo che ciascuno di essi venga soddisfatto secondo il valore che l’autorità ritiene abbia nella fattispecie” (Il potere discrezionale della pubblica amministrazione. Concetto e problemi, Milano, 1939, 74).
Da quanto sinora rievocato emerge, evidentemente, la natura “umana” non solo dell’agire, quanto, soprattutto, delle decisioni amministrative, i cui contenuti, come tutte le scelte, sono caratterizzati da una ineludibile atipicità, che deriva dalla capacità dell’uomo, e non della macchina, di emozionarsi, quindi, di avvertire e percepire il dolore.
L’elemento dirimente è, quindi, la capacità di vivere la sofferenza, che rende giusto e proporzionato l’esercizio del potere stesso, legittimandolo.
Tuttavia, il progressivo diffondersi dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale nei procedimenti decisionali della pubblica amministrazione rischia di svilire e dequotare il tratto umano del potere, in ragione di una imperante cultura che intende performare la società e le sue istituzioni, anteponendo, pur che sia, l’efficienza al bisogno, astratti obiettivi a reali esigenze.
E ciò può diventare pernicioso se la tecnica anziché aiutare l’uomo, lo sostituisce.
Infatti, l’utilizzo della tecnica, al fine di aiutare la scelta umana, non costituisce una novità, se si considera l’utilizzo che, ad esempio, le amministrazioni ma anche gli avvocati, da tempo, fanno delle note banche dati oppure se si considera quanto previsto, sin dal 2005, dall’art. 3 bis della legge n. 241/1990, il quale, prima si è limitato a prevedere che le amministrazioni pubbliche ‘incentivino’ l’uso della telematica nei rapporti interni, tra le amministrazioni e tra queste e i privati, oggi, invece, sancisce che le stesse ‘agiscano’ mediante strumenti informativi e telematici.
Tutto questo induce a condividere l’ausilio offerto dalla tecnica e a ritenere legittimo un suo uso, altresì, decisionale soltanto laddove l’attività amministrativa riveli un contenuto meramente vincolato, tale perché privo di margini di scelta. In caso contrario, l’intelligenza artificiale smarrirebbe la sua natura “servente”, ponendosi essa stessa “come fattore diretto della produzione giuridica” (A. Zito, L’ Intelligenza artificiale e il suo utilizzo da parte della pubblica amministrazione: approccio giuridico ai problemi e ipotesi di soluzione, in Giustamm.it, n. 5/2024, 7).
In verità, non mancano pronunce del giudice amministrativo che legittimano l’uso dell’intelligenza artificiale anche rispetto alle attività discrezionali, in tal modo generando non poche aporie nelle ipotesi di procedimenti caratterizzati da un’ampia discrezionalità ovvero nel caso dell’applicazione di nuove norme. E ciò perché non bisogna mai sottovalutare il portato essenzialmente retrospettivo dell’intelligenza artificiale, che è volta, infatti, ad operare in virtù di ciò che è accaduto e non già di ciò che accadrà.
Il nostro ordinamento, recependo i principi sorti in ambito europeo e quelli elaborati dalla giurisprudenza amministrativa, ha tentato, da un lato, di scongiurare logiche luddiste e, dall’altro, di prevenire i pericoli di un uso distorto della tecnica, onde preservare la legittimazione del pubblico potere, l’effettività della tutela giurisdizionale e, più in generale, lo stato di diritto.
Emblema di questa sintesi è, ad esempio, l’art. 30, co. 3, del nuovo Codice dei contratti pubblici di cui al n. 36/2023, per il quale: <<Le decisioni assunte mediante automazione rispettano i principi di: a) conoscibilità e comprensibilità, per cui ogni operatore economico ha diritto a conoscere l’esistenza di processi decisionali automatizzati che lo riguardino e, in tal caso, a ricevere informazioni significative sulla logica utilizzata; b) non esclusività della decisione algoritmica, per cui comunque esiste nel processo decisionale un contributo umano capace di controllare, validare ovvero smentire la decisione automatizzata; c) non discriminazione algoritmica, per cui il titolare mette in atto misure tecniche e organizzative adeguate al fine di impedire effetti discriminatori nei confronti degli operatori economici>>.
Di qui, l’inverarsi di tre indefettibili regole: 1) la conoscibilità e la comprensibilità dell’algoritmo; 2) la non discriminazione nell’elaborazione dell’algoritmo; 3) la riserva di umanità ossia la non esclusività della decisione algoritmica.
Principi, questi, che tentano di rendere la dignità della persona “un invalicabile argine alla disumanizzazione dell’amministrazione”, così da riportare “la macchina a semplice strumento dell’azione amministrativa” (G. Gallone, Riserva di umanità e funzioni amministrative, Milano, 2023, 57).
Quanto possiamo fare affidamento sull’etica professionale per evitare che l’uomo abdichi alle sue responsabilità a favore dell’intelligenza artificiale? In che misura l’introduzione dell’IA nel contesto amministrativo potrebbe minare la legittimazione democratica, come il voto, nel processo decisionale?
Ritenere che attraverso il solo diritto si riesca a scongiurare il disvalore è una mera illusione, in quanto è sempre necessario che la norma, oltre che valida, sia giustificabile, ossia considerata dalla collettività funzionale a garantire l’equilibrio sociale. E ciò perché l’osservanza di una regola si nutre non solo di precettività giuridica quanto di doverosità etica.
Ebbene, se l’intelligenza artificiale si sostituisse all’ufficio, essa stessa diventerebbe titolare del potere, ma di un potere privo di legittimazione democratica. E ciò perché l’agire amministrativo è volto a perseguire la volontà che l’organo politico esprime attraverso il suo indirizzo. Donde, la scelta amministrativa altro non è che l’elemento terminale di un articolato processo decisionale, che trova la sua prima causa proprio nella volontà democraticamente espressa dagli elettori.
Tutto questo verrebbe, evidentemente, vanificato da un utilizzo decisionale dell’intelligenza artificiale che, in quanto tale, opererebbe al di fuori di un circuito democratico, peraltro, attraverso un’azione retrospettiva inidonea a favorire la necessaria e naturale evoluzione del diritto.
Recidere il nesso che lega il potere amministrativo alla sua legittimazione favorirebbe l’espandersi di quella pericolosa sfiducia che, da tempo, purtroppo, soprattutto le parti meno abbienti delle società industrializzate nutrono verso le istituzioni democratiche.
Si indebolirebbe, altresì, l’inviolabilità del diritto di difesa, costituzionalmente sancito, in quanto il complesso tecnicismo che connota l’algoritmo costringerebbe, sistematicamente, il cittadino, che si ritiene leso dall’atto amministrativo robotizzato, a doversi avvalere di un consulente tecnico, con un inevitabile aumento dei costi difensivi, che, purtroppo, non tutti, com’è noto, possono sostenere.
Di qui, il paradosso di subire un potere delegittimato, dal quale sarebbe difficile difendersi.
Chi è responsabile della scelta finale quando l’intelligenza artificiale viene utilizzata per elaborare decisioni amministrative?
E’ opportuno premettere che l’art. 28 della Costituzione sancisce la responsabilità dei funzionari e dei dipendenti, estendendola allo Stato e agli enti pubblici. E ciò a riprova, quindi, della indefettibilità dell’azione umana anche rispetto alle attività amministrative automatizzate, nel segno della necessaria imputazione dell’attività amministrativa.
Tuttavia, non possiamo ignorare che la pubblica amministrazione, in genere, non crea l’algoritmo e non ha, sovente, la capacità di validarlo, la stessa infatti ricorrendo, solitamente, al mercato o, in alcuni casi, ad un’amministrazione specializzata. In tali ipotesi, l’algoritmo, quindi, non verrà ideato dall’amministrazione interessata, che, quindi, agirà postulando opzioni non riconducibili alla sua volontà, la quale, in tal modo, non esprimerà il volere dell’istituzione, bensì rifletterà scelte consumate da altri, al di fuori, quindi, del perimetro amministrativo.
Tutto questo non solo condizionerà l’identificazione del responsabile, che non può esaurirsi nel solo confine dell’amministrazione, quanto inciderà sulla titolarità dello stesso potere reso.
E’, quindi, ineluttabile che l’amministrazione conosca e comprenda la tecnica usata, in ragione proprio del principio di conoscibilità e comprensibilità dell’algoritmo, che così viene ricondotto nel recinto del diritto amministrativo e, in particolare, assoggettato alle sue regole generali, tra le quali, principalmente, annoverare l’imparzialità, la proporzionalità e la trasparenza.
In caso contrario, la scelta amministrativa automatizzata smarrirebbe la sua natura di atto, divenendo un mero prodotto, per molti versi, concepito al di fuori del circuito amministrativo.
Crede che l’uso crescente dell’IA possa negare giustizia?
Narrava Bertold Brecht che: <<A Los Angeles davanti al giudice che esamina coloro che vogliono diventare cittadini degli Stati Uniti venne anche un oste italiano. Si era preparato seriamente ma a disagio per la sua ignoranza della nuova lingua durante l’esame della domanda: che cosa dice l’ottavo emendamento? Rispose esitando: 1492.
Poiché la legge prescrive al richiedente la conoscenza della lingua nazionale, fu respinto. Ritornato dopo tre mesi trascorsi in ulteriori studi ma ancora a disagio per l’ignoranza della nuova lingua, gli posero la domanda: chi fu il generale che vinse nella guerra civile? La sua risposta fu: 1492.
(Con voce alta e cordiale). Mandato via di nuovo e ritornato una terza volta, alla terza domanda: quanti anni dura in carica il presidente? Rispose di nuovo: 1492. Orbene il giudice, che aveva simpatia per l’uomo, capì che non poteva imparare la nuova lingua, si informò sul modo come viveva e venne a sapere: con un duro lavoro. E allora alla quarta seduta il giudice gli pose la domanda: quando fu scoperta l’America? E in base alla risposta esatta, 1492, l’uomo ottenne la cittadinanza>> (L’esame per ottenere la cittadinanza o il giudice democratico, in B. Brecht, Poesie, II (1934-1956), Torino 2005, 1062 ss.).
Veniva assicurata, così, la giustizia del caso concreto, che solo un uomo, che soffre, può garantire