Edoardo Giardino è avvocato e professore associato nonché abilitato alle funzioni di professore ordinario di…
Intervista al Prof. Massimo Franzoni, “Francesco Galgano Maestro non conformista”
Il Professor Massimo Franzoni, laureato con lode presso l’Università di Bologna nel 1979, è un eminente accademico nel campo del diritto civile. Da oltre tre decenni, ricopre il ruolo di professore universitario presso la Facoltà di Giurisprudenza di Bologna, contribuendo con la sua esperienza alla disciplina delle Istituzioni di Diritto Privato e al Diritto civile.
Oltre all’attività accademica, ha diretto la Scuola di specializzazione delle professioni legali di Bologna e ha contribuito a corsi di perfezionamento in diverse specializzazioni legali. È un membro attivo in vari collegi docenti dei dottorati di ricerca, oltre a far parte del comitato di bioetica dell’Università.
Il Prof. Franzoni è un avvocato cassazionista con studio a Bologna. Vanta una solida esperienza professionale, ha svolto ruoli di amministrazione in imprese pubbliche e società quotate, contribuendo a progetti significativi come il Processo Civile Telematico presso il Ministero di Grazia e Giustizia. Ha anche partecipato a commissioni per la regolamentazione dei contratti dei consumatori.
Considerando la vastità degli interessi accademici e la profonda comprensione dei fenomeni socio-culturali, come si potrebbe delineare l’influenza di Francesco Galgano oltre il campo del diritto?
Sicuramente Galgano ha fatto parte di quella categoria di intellettuali che, come si diceva nel secolo scorso, erano persone di cultura. Negli ultimi scritti ha bene evidenziato che il sapere non nasce dalla specializzazione estrema, ma dalla capacità di coniugare il particolare al contesto generale. Solo in questo modo è possibile godere di una vera e propria visione di insieme e capire la funzione di una figura giuridica o la vera portata di un concetto e degli interessi sottesi. Per avere una visione generale delle cose anche la sola disciplina giuridica, per quanto ampia può non essere sufficiente. Per questo Galgano completava le sue riflessioni con la comparazione giuridica, con uno sguardo all’economia, talvolta alla filosofia, talaltra alla sociologia. Era un suo stilema l’inquadramento storico nella rilettura delle diverse figure giuridiche, senza del quale sarebbe stato facile la inutile fuga nella dogmatica. Così ad es., è accaduto nella riflessione sul negozio giuridico. Ancora: il principio della conservazione degli effetti del contrato, presente nel c.c. del ’42, spiegato nei termini del favore per la circolazione della ricchezza, quale occasione per creare ulteriore ricchezza, è molto più vicina alla teoria del moltiplicatore di Keynes piuttosto che ad un’astratta tutela dell’affidamento altrui. Certo negli effetti finali le due concezioni portano allo stesso risultato, ma ben diverso è il percorso per raggiungerlo e il primo è molto più convincente.
Quali sono state le principali peculiarità nell’approccio didattico e nell’orientamento accademico di Francesco Galgano che hanno reso possibile l’identificazione e lo sviluppo dei talenti emergenti tra i suoi allievi?
L’approccio didattico di Galgano era molto concreto e altrettanto positivistico. La concretezza nasceva nel dare per presupposto che il diritto serve per risolvere conflitti, talvolta anche bagatellari. Il fine del diritto, quindi, è pratico, anche se richiede l’acume di chi si muove con disinvoltura nel modo dei concetti. La stretta osservanza del metodo induttivo era privilegiato, poiché è più adatto a spiegare per fini didascalici più che quello deduttivo seguito dal codificatore, ma anche da chi ha scritto saggi dal carattere delle “Dottrine generali del diritto civile”. In ogni caso l’astrattezza di queste ultime non consentiva, né aveva lo scopo, di spiegare la funzione e gli interessi sottesi al contratto, alla proprietà, all’impresa e così via. Galgano è stato un profondo giuspositivista: il sistema si costruisce a partire dalle norme giuridiche interpretate sistematicamente, non già da un dogma impiegato per desumere il precetto di quelle stesse norme. Nel tempo, il sistema delle fonti del diritto si è molto arricchito in senso verticale e in senso orizzontale, ma questo non ha richiesto un cambiamento nel paradigma da impiegare. Semmai, nell’interpretazione della legge, ad un giuspositivismo astratto che fondava l’ermeneutica nel puro sillogismo, se ne è aggiunto un altro che vede essenziale l’osservazione del precedente giurisprudenziale, inteso come espressione di un diritto vivente da considerare per chi è chiamato ad applicare una certa norma. Precedente non vincolante, naturalmente, ma da impiegare attentamente anche in un ordinamento di civil law.
Come si è manifestata la capacità di Francesco Galgano di anticipare e comprendere in anticipo tematiche e sviluppi che in seguito sarebbero diventati fondamentali nel campo giuridico e intellettuale?
Probabilmente è stata una conseguenza dell’osservazione dei fenomeni e delle tendenze su area vasta, come si dice all’attualità. Così, ad es., il ruolo delle norme di fonte comunitarie che hanno introdotto la nullità del contratto per contrasto ai principi comunitari della concorrenza, poteva essere desunta direttamente dalle norme del Trattato, prima ancora che la l. antitrust introducesse la nullità testuale. Allo stesso modo, il suo libro sulla Storia del diritto commerciale, che è diventato La globalizzazione nello specchio del diritto, non ha rappresentato soltanto un cambio di titolo, ma ha voluto dire che un tema che fino ad un certo punto si poteva leggere con certe lenti, da un certo momento è diventato un fenomeno diverso. Le lenti diverse hanno consentito di vedere cose differenti o per il cambiamento della loro struttura o per la metamorfosi dovuta alla diversa funzione svolta in un diverso contesto.
In che modo l’abilità di Francesco Galgano nel navigare tra la complessità giuridica e le dinamiche socio-culturali ha contribuito a valorizzare l’Università di Bologna e ad arricchire il panorama intellettuale nel secolo scorso?
Incomincio con il ricordare che l’ultimo scorcio del secolo breve ha visto nascere una prima rivista editata tra il 1979 e il 1984, con il titolo di “Problemi della transizione”, pubblicata da Pratiche Editore di Parma, della quale Galgano è stato tra i fondatori. Era una rivista trimestrale di cultura e politica, oggi diremmo di carattere interdisciplinare, nella quale dialogavano economisti, politologi, architetti, giuristi, letterati, storici e sociologi. Quella rivista voleva indagare sui temi della politica con le lenti e con la professionalità dei loro direttori e, naturalmente, non solo di loro. Non è facile trovare una rivista corrispondente ai giorni nostri, probabilmente non c’è alcuna corrispondenza, data la totale diversità di contesto. In quella sede Galgano immaginava la transizione al socialismo, ad esempio, nelle istituzioni, senza la rottura data dal fatto rivoluzionario ed attribuiva un certo ruolo in questo processo alle cooperative.
C’è poi la fondazione di una seconda rivista, Contratto e impresa, pubblicata da Cedam e ora da Wolter Kluwer. Questa rivista ha interessato più direttamente il modo dei giuristi e ha rappresentato una vera novità nel panorama di quegli anni e degli anni a venire. L’idea di Galgano che aveva riunito un gruppo di giuristi di diversa provenienza territoriale e culturale, ma che si incontrava e discuteva con regolarità, era di abbandonare la prospettiva di una astratta volontà del legislatore, per approdare ad un precetto tendenzialmente condiviso, poiché risultato dell’applicazione costante e ripetuta, frutto di decisioni giudiziali prese su casi simili. Dall’astratta volontà del legislatore a una volontà concreta, poiché risultato della prassi. Insomma siamo alle origini di quella tendenza che avrebbe portato in tempi più recenti a ridurre considerevolmente i confini tra civil law e common law e addirittura a porsi il problema del precedente, come fonte del diritto anche nel sistema continentale. Questo risultato sarebbe stato ottenuto in un dialogo fra dottrina e giurisprudenza: proprio questo era il sottotitolo della rivista Contratto e impresa.
Quali tratti distintivi della personalità e del metodo di insegnamento di Francesco Galgano hanno permesso di superare i limiti disciplinari e di trasmettere una visione olistica e interdisciplinare tra i suoi allievi?
Per Galgano, Diritto civile e Diritto commerciale erano soltanto partizioni accademiche; il sapere giuridico è unitario sul modello dell’unitarietà del codice civile italiano. Il suo Trattato di diritto civile, che vede ora la 4ª ed., tuttora edito da Cedam, in realtà è la trattazione dell’intero diritto privato, comprensivo del tradizionale civile e commerciale. In questo si riassume il suo atteggiamento nel pensare unitariamente al diritto e nell’immaginare unitariamente la cultura, diffidando dello specialismo e del frazionamento dei saperi. Se si vuole questa è un’eredità importante lasciata ai suoi allievi e praticata da quel gruppo di direttori della rivista Contratto e impresa che ha sempre conservato la compattezza originaria, nonostante il tempo trascorso e con esso le diverse stagioni del diritto.
Potrebbe delineare alcuni degli aspetti meno conosciuti ma altrettanto rilevanti dell’eredità intellettuale lasciata da Francesco Galgano e il suo impatto duraturo sul panorama accademico italiano?
Le riunioni della direzione e della redazione (molto allargate) della rivista erano occasioni culturali davvero uniche. Il valore di questa esperienza è andato ben oltre l’esigenza di pubblicazione della rivista. Quelle riunioni sono state l’occasione per formare i giovani studiosi di allora su metodi di analisi e su temi di ricerca che caratterizzarono la rivista nel panorama della cultura giuridica italiana. Dal dialogo molto stretto fra i direttori, guidati dalla maestria di Galgano, chi partecipava aveva l’impressione di essere in un laboratorio di idee unico nel panorama nazionale. È da queste riunioni che sono nati molti contributi poi pubblicati sulla rivista, che molte cause patrocinate da qualche direttore diventavano l’occasione per conoscere nuovi spazi che il diritto avrebbe occupato o dei quali non si era avuta notizia in precedenza. Da quelle riunioni i partecipanti portavano con sé l’idea che il diritto era anche il risultato dell’esame di un caso, giacché quel caso era l’occasione per una riflessione di più largo respiro da saggiare in sede scientifica e sistematica. In questo modo i giovani studiosi si formavano all’idea di un diritto ben diverso da quello dogmatico o derivante da una certa tradizione rivisitata. Di un diritto molto più ancorato alla concretezza dell’impresa in senso economico, che, con il contratto, ne traduce la rilevanza giuridica. In ultima istanza, quel gruppo di studiosi predicava già un diritto fortemente storicizzato e legato al movimento della storia sociale dell’economia, con un occhio tutto particolare alla costituzione. È ancora da quelle riunioni che i giovani studiosi di allora scoprivano la nuova frontiera aperta dalle clausole generali: non soltanto l’ordine pubblico e il buon costume, ma anche la correttezza, la buona fede in senso oggettivo, il danno ingiusto. Scoprivano, quindi, che il precetto normativo non è sempre precompreso nella fattispecie a struttura analitica, ma può essere il risultato di un concorso di attività fra legislatore e interprete. E capivano che, in questi casi, la certezza del diritto doveva essere ricercata nella “conoscenza della realtà”, non già nella ricerca della scienza propria della fattispecie normativa. In altri termini, la certezza del diritto, in questi casi, doveva essere favorita con lo studio dei precedenti giudiziari, come espressioni di un diritto condiviso, quindi ricco di legittimazione, poiché già impiegato nella soluzione di precedenti conflitti, quindi capaci di indirizzare il nuovo interprete nella soluzione di casi analoghi.
Con il tempo, anche grazie a Contratto e impresa, la tecnica della massimazione delle sentenze è cambiata, e per far emergere la ratio decidendi, ha incominciato ad esporre il fatto che ha visto decidere la lite.
In che modo il pensiero di Francesco Galgano continua a influenzare le nuove generazioni di giuristi e studiosi, mantenendo viva la sua eredità intellettuale nell’ambito accademico e professionale?
Quel gruppo legato alla rivista Contratto e impresa, ispirato da Galgano, proponeva un’idea diversa di concepire il diritto, poiché nei fatti ridisegnava il rapporto fra ius (Antigone) e lex (Creonte). Il giuspositivismo di stampo kelseniano vedeva nella lex la massima espressine dello ius, al punto che il ruolo dell’interprete risultava, quantomeno, subordinato: di quest’avviso erano anche gli illuministi di derivazione francese. Stando così le cose, di fronte all’emergenza di un problema sociale, il lavoro, l’ambiente, la tutela della persona, la risposta può essere soltanto politica, da processare all’interno del sistema dei partiti, quel sistema che Costantino Mortati chiamava la “costituzione materiale”. L’idea di quel gruppo era che spesso legge e partiti non riuscivano a dare una risposta effettiva. In molte situazioni la risposta a quelle emergenze è stata data dalla macchina giudiziaria, ossia dalla tecnica. Con una sapiente attività ermeneutica, mossa all’interno di un articolato sistema delle fonti del diritto, il giudice aveva dato risposta a un problema, seguendo un ragionamento che, quantomeno sul piano del convincimento, avrebbe potuto valere anche in un successivo giudizio, con oggetto identico o simile, ma con parti diverse. Ancora i tempi non erano maturi per ragionare nei termini e con la logica della “interpretazione costituzionalmente orientata”, ma quella era il traguardo al quale saremmo arrivati. Allora non si menzionava ancora il “diritto vivente”, quale completamento concettuale del “diritto vigente”, ma la svolta era stata compiuta. Ora orientata deve essere anche l’interpretazione delle norme interne verso il diritto di fonte dell’Unione europea e anche questo è diventato un dato acquisito.
La formazione del giurista del III millennio si costruisce nel metodo e con i contenuto di un Maestro che non è mai stato dogmatico e neppure conformista. Certo Galgano non ha visto fino in fondo la rivoluzione informatica, la digitalizzazione, internet e neppure ha potuto constatare l’impatto dell’intelligenza artificiale e dei big data nella vita quotidiana. Ma la curiosità che caratterizzava la sua ricerca, l’attrazione verso una mondo fatto ad un tempo di economia e di diritto e l’idea di una certa autonomia del diritto dalle esigenze del contingente, possono ancora essere considerate come utili Linee guida, per decifrare la complessità di quella che Luciano Floridi chiama Infosfera e che Alessandro Baricco menziona come The game.