La Commissione Europea ha avviato una consultazione pubblica nell’ambito dell’iniziativa GreenData4All, con l’obiettivo di raccogliere…
L’attuale estensione applicativa dell’art. 614 bis del c.p.c. Profili di analisi nel diritto comparato, nel diritto del lavoro e nel diritto civile

(Ordinanza del Tribunale di Reggio Emilia del 15 aprile 2015), avente ad oggetto una fattispecie di applicazione della tutela d’urgenza ai sensi dell’art. 700 c.p.c. relativamente ad ipotesi di ingiurie e diffamazioni su Facebook o altri Social Network. L’astreinte trova i propri equivalenti nell’ordinamento anglosassone, per mezzo del Contempt of Court, ed in quello tedesco, attraverso le Zwangsstrafen, i quali hanno portato, a seguito di diversi tentativi di trasposizione nel diritto interno, tra i quali spicca il “Progetto Carnelutti” del 1926, alla attuale previsione di cui all’art. 614 bis c.p.c., introdotto dall’art. 49 della Legge 18 giugno 2009 n. 69. Un aspetto controverso dell’applicazione delle astraintes in Italia inerisce il suo potenziale contrasto con l’ordine pubblico interno, sulla base dell’assenza, nel nostro ordinamento, della figura dei punitive damages, delineata nei sistemi di common law, così che un loro pedissequo recepimento condurrebbe alla possibilità di un aggravamento della posizione del soggetto obbligato al risarcimento, in contrasto con il principio di proporzionalità sul quale è incardinato il sistema risarcitorio civilistico. La Corte di Cassazione, con sentenza 15 aprile 2015 n. 7613, si esprime in senso contrario, stabilendo che «le astraintes previste in altri ordinamenti […] non sono incompatibili con l’ordine pubblico italiano». L’odierno quadro normativo italiano in materia, basato sul “diritto all’esecuzione forzata”, desumibile dall’art. 24 della Costituzione, il quale sancisce che tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi, si evince dal Libro III, Titolo IV, del Codice di Procedura Civile, rubricato “Dell’esecuzione forzata di obblighi di fare o di non fare”, artt. da 612 a 614 bis c.p.c., ove è possibile riscontrare, dalla rubrica dell’art. 614 bis c.p.c. , il principio dell’infungibilità delle prestazioni, benché la mancata menzione dello stesso all’interno di detta norma abbia generato non poche dispute dottrinali e giurisprudenziali.
A maggior valore del rilievo trasversale del tema affrontato, è opportuno evidenziare la questione relativa alla inapplicabilità dell’art. 614 bis c.p.c. alle controversie individuali di lavoro elencate dall’art. 409 c.p.c. . Tale esclusione, immotivata ed irrazionale, oltre che fortemente lesiva del principio di uguaglianza tutelato dall’art. 3 della Carta Costituzionale, ha dato adito al proliferare di dottrina contraria che vede nello strumento di esecuzione di cui all’art. 614 bis, qualora applicato, una tutela aggiuntiva rispetto al diritto al lavoro contemplato, oltre che dall’art. 4 della Costituzione, anche dall’art. 18 L. 20 maggio 1970 n. 300. Visto in tale ottica, l’art. 614 bis costituisce un’occasione mancata per il codice di procedura civile di garantire una tutela processuale, sul piano dell’esecuzione, ad entrambe le parti del contratto di lavoro. Le possibili ricostruzioni in merito alla coercizione indiretta del debitore presentano risvolti problematici con riferimento alla potenziale sovrapposizione con gli ordinari strumenti di tutela di cui agli artt. 1223 c.c., rubricato “Risarcimento del danno”, e 2932 c.c., rubricato “Esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto”, i quali, per taluna dottrina, passerebbero in second’ordine rispetto al mezzo fornito dall’art. 614 bis c.p.c. . In tal guisa si configurerebbe erroneamente una duplicazione delle tutele esecutive esperibili, in relazione ai danni conseguenti all’eventuale inadempimento, posto che per taluna dottrina tale empasse sarebbe superabile, ai sensi del secondo comma del predetto articolo, per mezzo di una valutazione fattuale, compiuta dal giudice, della natura delle prestazioni, in relazione al sopra richiamato principio di infungibilità, escludendo l’applicazione a tutte quelle prive di tale connotazione. A tale ricostruzione si oppone una configurazione contraria, avallata dalla giurisprudenza di merito, che postula una interpretazione sistematico–teleologica, secondo la quale, non tenendo conto in modo pedissequo del dato letterale, sarebbe possibile estendere siffatta tutela indipendentemente da un postulato di infungibilità. In questo scenario mutevole, l’analisi condotta permetterà, in ultimo, di fornire un interessante spunto di riflessione, al fine di dare un contributo alla discussione giuridica nell’ottica di una possibile, futura ed ulteriore riforma del diritto dell’esecuzione civile, prendendo anche in considerazione l’eventualità dell’introduzione nel nostro ordinamento di un istituto ispirato a quello dei punitive damages e basato sul recepimento in ambito civile del principio penalistico della funzione rieducativa della pena (rectius, in tal caso, della quantificazione del risarcimento) di cui all’art. 27 comma 3 della Costituzione.
The essay has the aim to analyze the path of the transposition into Italian law of the institute of astreintes, as indirect coercive methods aimed to obtain the fulfilment by the debtor, until the modern configuration which has led to the adoption of measures such as the one related to the “Case Facebook” (Order of the Court of Reggio Emilia, 15 April 2015), involving a case of application of the urgency protection provided by art. 700 c.p.c. relatively to hypothesis of defamation on Facebook or other Social Networking Sites. The astreintes find their equivalent in the Anglo-Saxon sort, by the contempt of court and in the German one, through the Zwangsstrafen, which led, following several transposition attempts into national law, among which stands out the “Project Carnelutti” (1926), to the current forecast referred to art. 614 bis c.p.c., introduced by art. 49 of Law 18 June 2009 n. 69. An applicative issue of the astraintes in Italy concerns its potential struggle with the internal public order based on the absence, in our legal system, of punitive damages, outlined in common law systems, so that their transposition would lead to the possibility of a worsening of the compensation obliged subject’s position, in contrast with the proportionality principle on which is based the compensation statements system. The Italian Supreme Court, by the judgment of 15 April 2015 n. 7283, expresses itself in the opposite direction, stating that “the astraintes provided in other jurisdictions […] are not incompatible with the Italian public policy”. The contemporary Italian legislative framework, based on the right to “forced execution”, which can be deduced from the art. 24 of the Constitution, which states that all may take legal action for the protection of their rights and legitimate interests, it emerges from the Book III, Title IV of the “Codice di Procedura Civile”, indexed “the enforcement of obligations to do or not to do”, Articles 612 to 614 bis c.p.c., where it is possible to find, from the address of the art. 614 bis c.p.c. , the principle of the irreplaceable performance, although the failure to mention the same rule has generated several disputes. To underline the value and the transverse projection of the theme, it is appropriate to highlight the question concerning the inapplicability of Article 614 bis c.p.c. to individual work disputes listed in art. 409 c.p.c. . This exclusion, unjustified and irrational, strongly undermines the principle of equality safeguarded by the art. 3 of the Constitutional Charter, and has given rise to the proliferation of doctrine that sees in art. 614 bis c.p.c., where applied, an additional protection with respect to the right to work contemplated by the art. 4 of the Constitution, and even by art. 18 L. 20 May 1970 n. 300. In this perspective, the art. 614 bis constitutes a missed opportunity for the code of civil procedure to ensure a executive procedural protection for both parties to the contract of employment. The possible reconstructions related to indirect debtor’s coercion have problematic aspects referring to potential overlap with ordinary protection instruments provided by Articles 1223 c.c., indexed compensation of the damage , and 2932 c.c., indexed “specific execution of the obligation to conclude a contract”, which, for certain doctrine, would be posed in second order with respect to the means provided by art. 614 bis c.p.c. . In this manner would be erroneously committed a duplication of executive safeguards in relation to the damage resulting from the breach. For certain doctrine this impasse would be overcome by the second paragraph of this Article, with a factual assessment, carried out by the Court, of the benefits nature in relation to the above-mentioned principle of irreplaceability, excluding the application to all those devoid of such connotation. To this reconstruction can be opposed a contrary configuration, endorsed by the jurisprudence, which postulates a systematic and teleological interpretation, according to which it would be possible to extend such protection independently from a postulate of irreplaceability. In this scenario the research will, at last, provide an interesting train of thought, in order to give a contribution to the debate on legal affairs in the perspective of a possible future and further reform of the civil execution law, also taking into consideration the possibility of the introduction of an institute inspired by punitive damages and based on the transposition in the civil sphere of penal principle of rehabilitation function of punishment (rectius, in this case, the quantification of damages) referred to art. 27 subparagraph 3 of the Constitution.
Sommario: 1. Misure coercitive indirette straniere – 1.1. Astreintes ed ordinamento francese – 1.2. Zwangsstrafen, Geldstrafe ed ordinamento tedesco – 1.3. Modelli di Common Law: Contempt of Court e Punitive Damages – 1.4. Profili di recepimento nel diritto italiano – 2. L’applicazione dell’art. 614 bis c.p.c. all’art.18 della legge 20 maggio 1970 n.300 – 3. L’art. 614 bis c.p.c. nell’ordinamento italiano – 3.1. Le categorie degli obblighi infungibili – 3.2. Il rapporto tra l’esecuzione processuale indiretta e l’art. 2932 c.c. – 3.3. Il limite negativo della manifesta iniquità – 3.4. Il limite dell’ordine pubblico interno: la sentenza della Corte di Cassazione n.7613 del 15 aprile 2015 – 3.5. Il caso Facebook: l’ordinanza del Tribunale di Reggio Emilia n.384 del 15 aprile 2015.
- Misure coercitive indirette straniere.
La necessità di adottare strumenti compulsori avulsi dall’ordinaria esecuzione forzata è stata, nel corso degli anni, particolarmente pregnante a livello nazionale ed internazionale. L’insufficienza dell’adozione di strumenti diretti alla tutela del creditore di stampo meramente obbligatorio è evidente prendendo in considerazione, ad esempio, la normativa posta a tutela del consumatore. In tale ambito, infatti, sebbene il singolo inadempimento può apparire di entità irrisoria, la sistematicità e l’applicazione su vasta scala di comportamenti in fraude creditoris comporta un notevole ed ingiustificato arricchimento, da un lato, nonché un indebolimento della fiducia del consumatore nei confronti della generalità degli operatori economici, dall’altro. Tale esempio risulta notevolmente utile al fine di introdurre una conclusione di stampo prettamente pubblicistico applicata nei sistemi di Common Law, i quali ad essa si sono ispirati per l’introduzione di diversi istituti a protezione del creditore ed in base alla quale si può pervenire all’assunto che le ragioni del credito siano connaturate all’esistenza stessa del rapporto obbligatorio. In altri termini, sussiste un vero e proprio interesse pubblico alla corretta esecuzione dei contratti, poiché in caso di inadempimento non viene leso soltanto l’interesse economico del creditore, bensì l’effettività complessiva dell’amministrazione della giustizia [1]. Abbracciando tale ricostruzione è stato possibile per taluni ordinamenti prevedere sistemi sanzionatori di tipo pubblicistico, se non di natura strettamente penale, con la precipua finalità di assistere le ragioni creditorie oltre il mero soddisfacimento dell’obbligazione oggetto di controversia.
I principali modelli di comparazione spaziano in ordine alla natura della tutela, civile o penale, alla struttura, sotto un profilo di stabilità temporale, alla funzione perseguita, compulsoria o sanzionatoria, all’ambito applicativo ed agli aspetti processuali, a seconda che le misure necessitino dell’iniziativa della parte lesa o siano concedibili d’ufficio, o siano suscettibili di modificabilità [2].
1.1. Astreintes e ordinamento francese.
L’istituto delle astreintes trae il suo fondamento nella funzione, essenzialmente privatistica, di garantire al creditore l’esatto e tempestivo adempimento, da parte del debitore, della prestazione oggetto dell’obbligazione.
Con un apporto novativo pari solo a quello riconosciuto nel diritto romano alla figura del pretore [3], nel 1811 il Tribunale di Cray condannò il convenuto a “compiere una pubblica ritrattazione sotto pena di dover pagare tre franchi per ogni giorno di ritardo nell’adempimento”. Da un punto di vista prettamente storico, tale pronunzia era una chiara risposta giurisprudenziale al taglio liberale accolto nel neo-emanato Code Napolèon, il quale, a detta di eminenti giuristi dell’epoca, aveva sacrificato le legittime aspettative di tutela del creditore. In termini definitori, l’astreinte è una sanzione, connotata, nei confronti della sentenza di condanna, dalla caratteristica dell’accessorietà, consistente nel pagamento di una somma di denaro proporzionata alla durata del ritardo nell’esecuzione della prestazione dovuta, ovvero alla quantità di infrazioni commesse qualora si tratti di obbligazioni a carattere continuativo. Il primo ostacolo per il pieno accoglimento dell’istituto è stato costituito dall’individuazione del suo fondamento giuridico, rinvenuto inizialmente nell’art. 1142 del Code Napolèon, con un accostamento ai dammages – intéréts da taluni ritenuto fuorviante. Il principale difetto di questa ricostruzione è costituito dalle conseguenze dell’equiparazione tra la compulsorietà delle astreintes e quella del risarcimento per inadempimento. In tale ottica non vi sarebbe nessun particolare potere deterrente, stante la quantificabilità massima nell’importo che il debitore aveva già ben chiaro sin dal principio. Inoltre, la peculiarità del criterio temporale si distacca dal concetto di danno subito dal creditore, assurgendo a criterio oggettivo avulso dall’effettivo patimento connesso al protrarsi dell’inadempimento. Potrà dunque ben accadere che, nonostante il venir meno dell’interesse alla prestazione da parte del creditore e, dunque, l’insussistenza di qualsivoglia danno ulteriore dovuto al decorrere del tempo, il debitore sia assoggettato al pagamento di un ulteriore risarcimento, giustificabile sotto un profilo soggettivo secondo il criterio tradizionale di violazione della buona fede nell’esecuzione del contratto. Nella quantificazione dell’entità del risarcimento vengono presi in considerazione profili avulsi dal rapporto contrattuale, tra i quali assumono particolare interesse le condizioni economiche del debitore, la colpevolezza nell’inadempimento e l’atteggiamento generale tenuto [4]. Un sostanziale apporto risolutivo in merito alla qualifica definitoria dell’istituto è fornito, in Francia, dalla legge 5 luglio 1972 n.626, successivamente modificata dalle leggi 16 luglio 1980 n.539, 9 luglio 1991 n.650 e 13 luglio 1992 n.644, con la quale è stata fornita una disciplina positiva. In particolare, l’attuale configurazione prevede la possibile applicazione sia in relazione a condanne non suscettibili di esecuzione forzata che con riferimento all’adempimento di obblighi di fare fungibili. In tale prospettiva risulta di particolare interesse la possibilità di concorso tra le procedure esecutive in merito alla prestazione principale e quelle inerenti l’astreinte. Da un punto di vista prettamente pragmatico, l’istituto è applicabile sia su istanza del creditore sia d’ufficio, in linea con un’ottica pubblicistica dell’interesse non solo all’adempimento ma anche all’esecuzione delle sentenze dei giudici. La caratteristica di accessorietà della condanna all’astreinte, infatti, assume particolare rilievo in tal senso se si considera la sua funzione di rafforzamento della cogenza della sentenza nella quale viene pronunciata. In tale prospettiva sarebbe ipotizzabile un contrasto tra il dichiarato intento di tutelare interessi di natura condivisibilmente pubblicistica e l’attribuzione in capo al privato dell’importo, laddove avrebbe avuto maggiore organicità la previsione del versamento a favore dello Stato della medesima somma, ma a tale rilievo è possibile obiettare che l’attribuzione del risarcimento a vantaggio del creditore rispecchia l’esigenza di monetizzare l’ulteriore nocumento patito dal creditore per il ritardato o mancato adempimento. L’astreinte, applicabile anche senza obbligo di motivazione, si connota di un profilo di indipendenza in relazione all’esecuzione in forma specifica ed al risarcimento del danno, così che risulta possibile adire l’autorità giudiziaria per ciascuno di detti rimedi. Sotto il profilo delle casistiche nelle quali è possibile ricorrere all’istituto delle astreintes appare di particolare interesse l’annoveramento delle controversie lavoristiche, di quelle in materia di diritti reali ed obbligazioni contrattuali, o ancora di obblighi di non fare continuativi, anche di natura non patrimoniale, o della consegna di cose determinate, nonché delle obbligazioni pecuniarie, mentre risulta esclusa la tutela dei diritti personalissimi e del diritto d’autore. A seguito della pronuncia discrezionale del giudice è possibile che la stessa sia oggetto di successive revisioni da parte sia dello stesso giudicante sia del giudice dell’esecuzione, nonché di impugnazione, stante la carenza dell’idoneità della misura al passaggio in giudicato.
Sulla base dell’esperienza applicativa francese hanno avuto origine, in diversi Paesi, istituti analoghi seppur difformi per alcuni aspetti peculiari. Ad esempio, a seguito della redazione da parte di un gruppo di esperti governativi della Convenzione Benelux del 26 novembre 1973, si è assistito alla ratifica da parte di Belgio, con la legge 31 gennaio 1980, dall’Olanda, con la legge 3 ottobre 1978, e dal Lussemburgo, con la legge 21 luglio 1976. In linea di massima, il recepimento da parte degli altri ordinamenti è stato parziale, poiché per quanto riguarda la necessità dell’istanza di parte al fine dell’ottenimento del provvedimento di condanna, l’insieme delle casistiche alle quali lo stesso è applicabile, nonché in fine la forma definitiva del medesimo, ciascun ordinamento ha peculiarità intrinseche con le quali è necessario operare un bilanciamento finalizzato ad un corretto recepimento.
1.2. Zwangsstrafen, Geldstrafe ed ordinamento tedesco.
L’ordinamento giuridico tedesco abbraccia l’ottica prettamente pubblicistica della tutela del creditore, trasponendo nel sistema delle Zwangsstrafen una dettagliata disciplina recante strumenti atti all’esecuzione indiretta. Nella prospettiva di rafforzare il principio per il quale non adempiere al provvedimento dell’Autorità Giudiziaria rappresenta un detrimento del prestigio e dell’autorità dello Stato, è proprio a favore di quest’ultimo che vengono attribuite le somme dovute a titolo di comminatoria per il protrarsi dell’inadempimento. Risulta particolarmente interessante rilevare come l’ampia gamma di istituti spazi dall’applicazione di una sanzione pecuniaria sino all’arresto, coprendo tutto lo spettro delle casistiche possibili in modo da realizzare un sistema esecutivo completo. In particolare, la Geldstrafe consiste in una sanzione pecuniaria da corrispondere allo Stato alla quale, in caso di ulteriore inadempimento, consegue la carcerazione del debitore inadempiente. La struttura adottata dal legislatore tedesco sottrae lo strumento dell’esecuzione indiretta alla potenziale critica operata nei confronti delle astreintes, ossia di prestarsi a possibili ingiustificati profitti per il creditore.
1.3. Modelli di Common Law: contempt of court e punitive damages
Nel diritto anglosassone la tutela per l’inadempimento del debitore è riscontrabile nell’istituto, di natura penale, del contempt of court. Esso consiste nell’applicazione di una pena detentiva e pecuniaria, in base alla gravità, discendente dall’integrazione di un vero e proprio reato previsto a difesa dell’osservanza delle sentenze di condanna a prestazioni di fare infungibili che, diversamente, risulterebbero incoercibili. Tale rimedio trae la sua origine dal sistema di equity, poiché il common law non prevedeva l’esecuzione in forma specifica bensì solo il risarcimento del danno patito dal creditore a causa dell’inadempimento. Il sistema configurabile prevede, pertanto, che il creditore adisca il giudice, il quale decide in modo discrezionale qualora ritenga l’inadeguatezza della tutela risarcitoria, per richiedere al contempo la specific performance, ossia il risarcimento del danno, e la injunction, costituente inibitoria volta ad obbligare il debitore ad adempiere, la quale, se non ottemperata, comporta l’integrazione del reato di contempt of court, letteralmente “disprezzo della corte”. A differenza del sistema tedesco, quello britannico beneficia il creditore dell’attribuzione pecuniaria derivante dalla condanna. La stretta correlazione tra l’applicazione di questo meccanismo ed il concetto di elitarietà del sistema giudiziario crea considerevoli difficoltà di esportazione del modello sopra descritto, soprattutto per la possibilità che la funzione deterrente sia disattesa nella pratica dall’indifferenza del debitore nei confronti della possibilità di incorrere nella sanzione o dal suo convincimento che, data la natura discrezionale dell’adozione del provvedimento, esso soggiaccia a meccanismi del tutto arbitrari. Tale preoccupazione, sebbene in linea di principio avulsa dalla generale fiducia nel sistema giudiziario, non è in realtà peregrina, poiché i giudici inglesi hanno in diverse occasioni perpetrato delle violazioni alla libertà di stampa, sanzionando editori e giornalisti colpevoli di aver pubblicato notizie potenzialmente lesive di procedimenti giudiziari pendenti [5].
Ulteriore strumento di coartazione indiretta è rappresentato dai punitive damages, i c.d. “danni punitivi”, che consistono nella condanna del danneggiante al risarcimento di una somma che oltrepassa, talvolta in modo sostanziale, l’ammontare dei danni patiti dal danneggiato. La funzione precipua di tale istituto sottende la volontà di potenziare la funzione deterrente della sanzione, mediante una quantificazione del pregiudizio non strettamente connessa al danno patito, bensì ad una valutazione di tipo anche sociale della condotta tenuta dal convenuto. L’applicazione dei punitive damages anche in ambito di breach of contract ha portato ad un considerevole avvicinamento alle astreintes, sebbene negli Stati Uniti ciò abbia provocato un acceso dibattito in merito alla possibile violazione del principio della salvaguardia del condannato da pene eccessive e inusitate, non ancora pienamente dissipato. La trasposizione dei danni punitivi nei sistemi di civil law risulta tanto più difficoltosa se si prendono in considerazione i principi fondamentali del processo civile, raramente improntato ad una valutazione equitativa ed inconciliabile con la natura totalmente discrezionale di tale tipo di condanna.
1.4. Profili di recepimento nel diritto italiano.
Tra i tentativi di introduzione nell’ordinamento italiano dell’astreinte di diritto francese il primo è stato il progetto “Carnelutti” del 1926, nel quale agli artt. 667, rubricato “Della pena pecuniaria per l’inadempimento di un obbligo di fare o di non fare”, e 668, rubricato “Liquidazione della pena pecuniaria”, si prevedeva che, in caso di mancata esecuzione del predetto obbligo, l’avente diritto avrebbe potuto domandare la condanna dell’obbligato al pagamento di una somma di denaro per ogni giorno di ritardo a partire dalla data stabilita dal giudice. Il secondo intervento da segnalare è il “progetto Tarzia” che, al venticinquesimo punto, trattava il tema della misura coercitiva all’interno del contenuto della relativa sentenza, escludendo il riferimento all’infungibilità delle prestazioni oggetto degli obblighi da attuare, includeva espressamente gli obblighi di consegna o rilascio, lasciando intendere l’applicabilità a quelli fungibili. In ultima battuta è da ricordare il disegno di legge, approvato il 24 ottobre 2003, che recepiva il “progetto elaborato dalla commissione del Prof. Vaccarella”, il cui art. 42, rubricato “Esecuzione indiretta”, il quale prevedeva una misura coercitiva di natura patrimoniale, doveva avere ad oggetto solo diritti derivanti da obblighi infungibili, essendo impensabile una estensione anche alle forme di esecuzione indiretta. Il susseguirsi dei tentativi di recepimento nel diritto interno degli istituti stranieri inerenti le misure coercitive indirette, sia pur non attuati e nel complesso disorganici, ha portato al proliferare di particolarismi normativi che, analizzati singolarmente, rappresentano strumenti di tutela innovativi. Tra gli esempi di maggior pregio rileva la prima applicazione dell’istituto nell’ordinamento italiano, costituita dall’art. 614 bis, introdotto dalla legge 18 giugno 2009 n.69, che opera un primo riferimento all’art. 18 della legge 20 maggio 1970 n.300, comunemente denominata “Statuto dei Lavoratori” che, introducendo la cosiddetta “reintegra”, realizzantesi mediante un ordine coercitivo, prevede, in caso di inadempimento del datore di lavoro, meccanismi di tutela di tipo coercitivo analoghi alle astreintes di diritto francese.
- L’ applicazione dell’art. 614-bis c.p.c. all’art. 18 della legge 20 maggio 1970 n.300.
L’inapplicabilità dell’istituto delle astreintes alle controversie di lavoro di cui all’art. 409 c.p.c. può in un certo qual modo dirsi, per quanto concerne la disciplina dei licenziamenti, compensata dalle previsioni coercitive dell’art. 18 L. 20 maggio 1970 n.300. La lacuna può dirsi colmata a latere praestatoris, dal momento che lo Statuto dei Lavoratori ha veicolato nella normativa sul recesso del datore di lavoro l’affermazione del principio civilistico secondo il quale quod nullum est, nullum producit effectum. La precedente legge sui licenziamenti, per quanto portatrice dell’ormai imprescindibile requisito di giustificazione del licenziamento che era mancato al Codice Civile, non teneva conto, di fatto, della retroattività connaturata all’azione di nullità: la tutela obbligatoria permetteva (e, in alcuni casi, permette ancora) una ricostituzione ex novo del rapporto di lavoro, scaricando sul lavoratore le conseguenze di un atto illegittimo. Se da un lato, dunque si può parlare di portata innovativa della reintegra sul piano lavoristico, da un punto di vista strettamente civile quella dello Statuto è la strada obbligata.
Il passaggio da illecito a invalido (e quindi annullabile) [6] del licenziamento illegittimamente irrogato conserva comunque l’alternativa alla ripresa (ex nunc nella L. 604/66, ex tunc nello Statuto) di una somma di denaro. Se nella legge del ’66 la scelta spettava al datore, lo Statuto attribuisce la decisione al lavoratore, il quale può decidere di risolvere il rapporto a fronte della corresponsione di una somma di denaro a titolo di risarcimento. È proprio in tale sanzione che si può leggere il riflesso dell’astreinte successivamente inserita nell’art. 614-bis c.p.c., dal momento che non si esclude che il Giudice possa stabilirne l’ammontare «al fine di realizzare concretamente la misura compulsoria propria della misura stessa» [7].
Non dovrebbe configurarsi come obbligo di fare infungibile l’ordine di reintegra del lavoratore illegittimamente licenziato: per quanto la dottrina richiamasse il noto principio nemo ad factum praecise cogi potest, una lettura più attenta del fenomeno evidenzia come l’applicazione del suddetto principio comportasse la possibilità di monetizzazione del licenziamento, permettendo di fatto al datore di lavoro di scegliere tra la reintegra e l’indennità. Non solo tale prospettiva più attenta agli aspetti speciali del diritto del lavoro, ma anche il principio costituzionale di effettività della tutela giurisdizionale contemplato dall’art. 24 Cost. orientano verso l’attribuzione di una maggiore forza coercitiva all’ordine di reintegra. Ciò comporterebbe, d’altro canto, la necessità di catalogare la stessa come forma di adempimento «non infungibile» [8], contrapposta alla «tensione dell’ordinamento verso l’esecuzione specifica» [9], lettura che non è ammissibile in quanto contrastante con il principio costituzionale di libertà di iniziativa economica privata: la tutela reale deve arrendersi di fronte alla forza della norma costituzionale. Per quanto la riammissione in azienda non possa costituire oggetto di imposizione nei confronti del datore di lavoro, l’efficacia deterrente accordata dalla tutela civilistica permette al lavoratore di far valere in giudizio il danno biologico chiedendone il risarcimento da un lato, produce l’obbligo per il datore di lavoro di corrispondere ugualmente la retribuzione dall’altro [10]. In sostanza, il datore di lavoro non è obbligato a riammettere in azienda il proprio dipendente con le mansioni precedentemente rivestite; è però soggetto a degli obblighi insiti nella reintegra stessa che hanno l’effetto di far desistere il datore dall’evocazione di tale libertà, essendo le conseguenze che ne deriverebbero meno convenienti della reintegra stessa. Il risarcimento eventualmente liquidato dal Giudice, poi, ammonta ad un’entità (5 mensilità minime) tale che il datore di lavoro rinuncia dall’inottemperanza alla reintegra, incorrendo in una indennità minima destinata ad essere corrisposta quand’anche il periodo di non-lavoro risulti inferiore al periodo coperto dall’indennità stessa.
Sempre l’art. 18 riflette quella forza deterrente ed afflittiva dell’astreinte prescrivendo una sanzione pecuniaria, da versare al Fondo Adeguamento Pensioni, di notevole entità, da applicarsi nel caso di inottemperanza all’ordine di reintegra del dirigente sindacale, richiamando inequivocabilmente il modello tedesco di funzione afflittiva della sanzione. La notevole entità della somma da corrispondere, pari all’importo della retribuzione per ogni giorno di ritardo, rimanda all’impostazione francese che vede nell’astreinte un istituto di efficacia più deterrente che punitiva [11]. D’altra parte, in applicazione di tale strumento di tutela, proprio in Francia è stata irrogata una sanzione pecuniaria di 50 franchi per ogni giorno di ritardo nel pagamento del risarcimento dei danni da licenziamento illegittimo [12]: l’affinità con le previsioni dell’art.18 è palese.
Per quanto, tuttavia, si possa parlare di riflesso dell’astreinte nella normativa statutaria, la disciplina in materia di licenziamento è solo in minima parte coperta dalla forza coercitiva di tale istituto, semplicemente perché vi sono delle ipotesi nelle quali l’applicazione dell’art. 18 è esclusa. Il limite primario è costituito dallo stesso ambito di applicazione di tale articolo: oltre all’annosa questione dei limiti dimensionali, l’art. 18 si applica solo ai casi di recesso datoriale nei contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Va da sé che, oltre alle categorie contrattuali subordinate che esulano da quest’ultimo, l’art. 18 non si applica ai contratti di lavoro non subordinato.
Senza contare che, nel mare magnum delle norme giuslavoristiche, per quanto la disciplina sul licenziamento costituisca la pietra miliare del rapporto di lavoro, vi sono molti aspetti dello stesso che sarebbero degni di nota. La normativa in tema di licenziamento, pur se a titolo di esempio, fotografa perfettamente, attraverso la contrapposizione tra i casi di applicazione e non dell’art. 18, l’occasione mancata che l’art. 614-bis rappresenta rispetto alla possibilità di accordare una tutela processuale aggiuntiva non solo per i lavoratori, ma anche per i datori di lavoro.
La riforma del 2009 ha comunque rappresentato, per il nostro ordinamento, un importante traguardo nell’ancora attuale tentativo di armonizzare l’istituto delle astreintes. Per quanto riguarda la normativa più strettamente lavoristica, sarebbe auspicabile, più che un generico intervento volto ad attribuire organicità, un’iniziativa al fine di introdurre uno specifico istituto nel novero degli strumenti di tutela delle parti contrattuali, di modo che le tendenze dell’impostazione franco-tedesca assumano quella caratura che permetta loro di non brillare più di luce riflessa, ma di affermarsi come strumenti rimediali effettivi.
- L’art. 614 bis del Codice di Procedura Civile nell’ordinamento italiano.
L’art. 49, comma 1, della l. 18 giugno 2009/69 inserisce all’interno del Titolo IV del Capo VI del Libro III, il nuovo art. 614 bis c.p.c., rubricato “Attuazione degli obblighi di fare infungibile o di non fare”.
Regola generale per l’applicazione dell’art. 614 bis c.p.c. è l’attuazione di obblighi di fare infungibili o di non fare a seguito dell’inadempimento, in ossequio all’art. 1218 c.c. che individua come conseguenza il risarcimento del danno.
Nel codice civile attuale non è possibile ravvisare una definizione di “obbligazione” o di “fungibilità” della prestazione. Quindi ci troviamo in presenza di un concetto normativo extragiuridico, di natura elastica, che rinvia ad una valutazione della realtà: può definirsi infungibile un bene considerato nella sua specificità e non sostituibile con un altro della stessa specie e quindi, nel caso in questione, ciò che non è realizzabile se non dal soggetto obbligato o che, comunque, non può essere adempiuto da un terzo, in luogo dell’obbligato, con identica soddisfazione dell’interesse del creditore [13]. La norma però presenta un contrasto tra la rubrica e il corpo del testo, in quanto la prima riferisce l’aggettivo qualificativo “infungibile” solo agli obblighi positivi di fare e non agli obblighi di non fare e nella seconda manca il riferimento all’infungibilità dell’obbligo. La mancata menzione dello stesso all’interno di detta norma nonostante abbia generato non poche dispute dottrinali e giurisprudenziali alcuni hanno tratto che la misura coercitiva possa essere concessa anche per coartare l’adempimento di obblighi fungibili.
Il creditore con questo strumento innovativo ha la facoltà di rivolgersi al Giudice per ottenere un provvedimento di condanna, consistente in un ordine ad adempiere e, in aggiunta, per ogni violazione ed inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione dello stesso, la prescrizione del pagamento di una determinata somma di denaro dovuta dall’obbligato [14]; qualora non fosse ottemperato l’ordine ad adempiere, la somma di denaro inserita nel provvedimento di condanna sarebbe da considerare come “titolo esecutivo”, ex art. 474 c.p.c., cioè una forma di “pressione psicologica” a carico del soggetto debitore, tale da indurlo ad adempiere spontaneamente la prestazione infungibile; la somma dovuta dall’obbligato viene determinata dal giudice, il quale tiene conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza ritenuta utile. Poiché la determinazione avviene in sede dichiarativa le contestazioni circa la congruità della somma determinata sono rimesse al Giudice dell’impugnazione ed il sindacato, poiché la sanzione pecuniaria costituisce una misura processuale esecutiva, è quello di rito e non di merito. Conseguentemente, la Corte di cassazione ha cognizione piena relativamente alla sanzione determinata dal giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata ed il lodo è sempre impugnabile ex art. 829, I, c.p.c. anche se le parti non hanno previsto l’impugnazione per errores in iudicando.
3.1. Le categorie degli obblighi infungibili.
Una prima categoria di obblighi infungibili è quella che si riferisce a rapporti nei quali sono determinanti lo status o le qualità personali dell’obbligato [15], come ad esempio: l’obbligo di una banca di ripristinare l’apertura di credito concessa al cliente e venuta meno per recesso dal contratto da parte della banca stessa [16] e l’obbligo del Conservatore dei Registri Immobiliari di cancellare la trascrizione di un sequestro dopo che lo stesso si era rifiutato di provvedere [17].
In secondo luogo sono da considerare obblighi infungibili quelli che impongono un’attività costante o prolungata, non realizzabile dall’organo esecutivo, in luogo del debitore, tenuto conto dell’impossibilità di «una intromissione autoritaria nella sfera altrui destinata a protrarsi per un periodo indefinito»[18].
Altra categoria di obblighi infungibili è quella degli obblighi di attivarsi per procurare il fatto o il consenso di un terzo come ad esempio: la promessa del fatto del terzo, figura alla quale sono anche attribuibili l’obbligo rinvenente dal preliminare di vendita di cosa altrui e l’obbligo del venditore di un immobile di far ottenere al compratore il certificato di abitabilità per il cui rilascio è competente la P. A..
In ultima analisi rinveniamo gli obblighi di dare in senso tecnico, vale a dire gli obblighi di consegnare, quando la consegna comporta, attraverso la traslazione del possesso, la modifica della situazione giuridica della cosa e degli obblighi di prestare il consenso ad attività negoziali o di compiere atti giuridici. Rientrano in questa categoria: l’obbligo di prestazione del consenso negoziale al contratto definitivo e l’obbligo, impartito al creditore convenuto, di prestare l’assenso necessario, ex art. 2882 c.c., affinché si possano ridurre le ipoteche iscritte in eccesso rispetto al creditore da garantire [19].
L’art. 614 bis c.p.c. non trova però applicazione in tutti quegli obblighi di vario contenuto tali da sfuggire all’inquadramento relativo a prestazioni specifiche per le quali abbia senso chiedere l’astreinte in aggiunta alla condanna, ossia quelle materie delle relazioni familiari in cui era necessario introdurre misure coercitive sulla scorta dei modelli europei (esempi di obblighi infungibili in tal senso sono: gli obblighi derivanti dal matrimonio di fedeltà, assistenza morale, collaborazione e coabitazione e gli obblighi che riguardano la potestà genitoriale, il dovere dei figli, ex art. 315 c.c., di rispetto dei genitori); a differenza invece degli obblighi connessi all’affidamento dei figli, sia per ciò che concerne l’obbligo di consegnare sia per ciò che riguarda l’obbligo di prendere e tenere con sé, per i quali, nonostante l’acceso dibattito dottrinale e giurisprudenziale, è possibile l’utilizzo dell’esecuzione indiretta.
L’infungibilità potrebbe però derivare «da considerazioni meramente soggettive, cioè dall’incapacità del creditore o dei creditori, per ragioni economiche, di anticipare le eventualmente ingenti somme di denaro per ottenere l’esecuzione forzata di obblighi di fare oggettivamente surrogabili» [20], come ad esempio: il perpetrarsi dell’esecuzione per espropriazione a fronte delle difficoltà nel reperimento dei beni del debitore che potrebbero essere risolte attraverso un suo obbligo di adempiere, caso in cui si realizza la cosiddetta infungibilità processuale la quale richiederebbe tempi tali da pregiudicare o creare nocumento all’interesse dell’avente diritto [21].
Per ciò che concerne, in conclusione, l’infungibilità degli obblighi negativi, meritano senz’altro di essere menzionati a titolo di esempio: l’obbligo di astenersi da attività concorrenziali da parte del cedente l’azienda, ex art. 2557 c.c.; l’obbligo di non svolgere un’attività rumorosa oltre certi limiti di orario, ex art 844 c.c.; l’obbligo di non ostacolare con comportamenti ed attività emulative l’esercizio di un diritto, ex art. 833 c.c. [22] e l’obbligo di non svolgere una certa attività in attuazione di patti parasociali, ex art. 1953 c.c..
3.2. Il rapporto tra l’esecuzione processuale indiretta e l’art. 2932 c.c.
Tra i rimedi previsti per l’adempimento del contratto preliminare troviamo l’art. 2932 c.c., rubricato come “Esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto”. Questo strumento rientra in una delle azioni esperibili nel processo civile e rappresenta la possibilità per la parte in buona fede, che legittimamente affidava nella controparte, di ottenere una sentenza costitutiva, attraverso la quale il Giudice si sostituisce alla parte inadempiente nel porre in essere il contratto definitivo.
Parte della dottrina sostiene che nell’ambito applicativo dell’art. 614 bis c.p.c. ricada anche l’obbligo di concludere un contratto [23].
Ipotesi di incompatibilità concettuale sono pertanto da rinvenirsi in relazione ad azioni, come quelle dirette ad ottenere l’adempimento dell’obbligazione contrattuale oppure a sciogliere il vincolo negoziale: nel primo caso, infatti, si è di fronte alla domanda di esecuzione in forma specifica di un’obbligazione contrattuale, ex art. 2932 c.c., che è efficace indipendentemente dalla condotta, commissiva od omissiva, del convenuto-debitore; in una simile ipotesi l’astreinte non avrebbe alcun senso, non potendosi rinvenire nel comportamento che quest’ultimo soggetto potrebbe tenere un ostacolo alla effettività del decisum giudiziale. Incompatibilità concettuale e funzionale, invece, è quella delle azioni del secondo gruppo, si pensi alla domanda di “risolubilità del contratto per inadempimento”, ex art. 1453 c.c.: se la persona che subisce l’inadempimento non ha più interesse, a causa dell’assetto negoziale, delle finalità perseguite e del tempo dell’esecuzione della prestazione, a che l’obbligazione trovi realizzazione ed eserciti, conseguentemente, l’azione di risoluzione del vincolo negoziale è evidente come perda significato richiedere la condanna ai sensi dell’art. 614 bis c.p.c.; al contrario nulla esclude che chi chieda giudizialmente l’adempimento e, in subordine, la risoluzione, ben potrà chiedere in via accessoria alla domanda principale l’applicazione della sanzione pecuniaria, come pure nulla impedisce al creditore, una volta ottenuto il provvedimento di condanna ad adempiere con annesse misure coercitive, di agire autonomamente per la risoluzione con conseguente automatica cessazione delle astreintes al momento della proposizione della nuova domanda.
La misura esecutiva indiretta è dunque l’unica alternativa al rimedio residuale del risarcimento del danno ex art. 1218 c.c., rubricato come “Responsabilità del debitore”.
3.3. Il limite negativo della manifesta iniquità.
L’art. 614 bis c.p.c. prevede il cosiddetto limite negativo della manifesta iniquità, ovverosia, il predetto articolo, prende in analisi tutte quelle fattispecie nelle quali ciò che è in discussione è la stessa condanna tenendo conto del principio cardine per il quale nessuno può essere condannato a prestazioni che siano impossibili da adempiere. Ordunque il Legislatore, nel sancire l’esclusione della misura coercitiva indiretta “se ciò sia manifestamene iniquo”, guarda decisamente con sfavore alla ulteriore coartazione derivante dalla condanna, evidenziando l’intollerabilità dell’utilizzo della misura compulsoria. Tutto questo perché parte della dottrina ritiene che sia possibile esperire altri rimedi tipici per soddisfare l’eventuale interesse del creditore, come ad esempio l’obbligo di concludere un contratto ex art. 2932 c.c.. L’iniquità deve, quindi, essere evidente ed escludere l’applicazione dell’art. 614 bis c.p.c. varrebbe ad inficiare quel diritto alla difesa, ovvero diritto all’esecuzione forzata, desumibile dall’art. 24 della Costituzione il quale sancisce che «tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi» e il principio del giusto processo, disciplinato all’art. 111 della nostra Carta costituzionale e rimessa quindi all’equità del Giudice la disamina del singolo caso concreto motivando, attraverso sue opzioni di valore, quando ritiene che il limite debba operare [24].
3.4. Il limite dell’ordine pubblico interno: la sentenza della Corte di Cassazione n. 7613 del 15 aprile 2015.
Di recente la Corte di Cassazione, con la sentenza del 15 aprile 2015 n. 7613, si è pronunciata sull’annosa questione della compatibilità con l’ordine pubblico italiano dell’istituto dell’astreinte. La Corte afferma il principio di diritto secondo il quale «le astreintes previste in altri ordinamenti dirette ad attuare, con il pagamento di una somma crescente con il protrarsi dell’inadempimento, una coercizione per propiziare l’adempimento di obblighi non coercibili in forma specifica, non sono incompatibili con l’ordine pubblico italiano», attesa la presenza, nel corpus del codice di procedura civile, di un istituto come quello di cui all’art. 614 bis c.p.c. ad essa assimilabile. Il ragionamento adottato dalla Suprema Corte è stato quello di non sconfinare nel cosiddetto arricchimento ingiustificato, evitando pertanto l’introduzione dell’istituto dei punitive damages, principale motivo dedotto dai ricorrenti, nel nostro ordinamento e di ristorare il danno-evento, cioè la lesione, deviando quello che è il modello classico del danno-conseguenza, cioè il mero risarcimento dei danni patiti.
L’aspetto interessante messo in luce con la succitata sentenza è la voluta differenza tra risarcimento del danno, astreinte e punitive damages, in quanto: il primo avrebbe funzione reintegrativa; la seconda avrebbe funzione coercitiva «non riparando il danno in favore di chi l’ha subito, ma minacciando un danno nei confronti di chi si comporterà in modo indesiderato» e i terzi mirano all’adempimento futuro di un obbligo «restando però il contenuto suo proprio quello di sanzione per il responsabile».
Quando gli Ermellini parlano di “contrarietà all’ordine pubblico” non intendono riferirla ad un concetto di diversità ma ad un profilo di liceità, stante l’assunto che l’ordine pubblico si riferisce ai principi fondamentali della Costituzione e dell’ordinamento nostrano, caratterizzanti la struttura etico-sociale della comunità in un dato periodo storico, dettando quindi una interpretazione evolutiva del sistema.
La cautela dell’ordinamento italiano nei confronti dei punitive damages si rinviene nella bipartizione tra responsabilità civile, contrattuale e/o extracontrattuale e responsabilità penale, oggettiva, in quanto, il monopolio sanzionatorio penalistico è posto in capo allo Stato, cioè al Legislatore penale che non ammette deroghe, posto che la fonte primaria del diritto penale è la legge, quindi il codice penale; questo troverebbe conferma, ad esempio, all’interno dell’art. 1223 c.c., rubricato “Risarcimento del danno”, da cui si ricaverebbe l’idea per cui l’esclusiva finalità del risarcimento sia quella di ristorare il pregiudizio subito e se gli si riconoscesse anche una funzione sanzionatoria si sconfinerebbe in un arricchimento ingiustificato.
Oltre all’art. 614 bis c.p.c., i giudici di Piazza Cavour citano misure compulsorie indirette quali: quelle previste in tema di brevetti e marchi; quelle di cui all’art. 114, comma 4, lett. e), del codice del processo amministrativo, D. Lgs. 104/2010, che ha introdotto l’istituto dell’astreinte al fine di sanzionare l’inosservanza della P. A. all’obbligo di conformarsi al giudicato; quelle di cui all’art. 140, comma 7, del codice del consumo, D. Lgs. 206/2005; quelle di cui all’art. 709 ter del codice di procedura civile.
Un ultimo riferimento va fatto all’art 96, comma 3, c.p.c., rubricato “Responsabilità aggravata”, che si colloca nell’ambito delle fattispecie inquadrabili nella cosiddetta “lite temeraria” e manifesta l’intenzione di scoraggiare l’abuso del processo preservando le funzionalità del sistema giustizia, con l’intento di deflazionare il contenzioso ingiustificato e favorendo il ricorso a strumenti di risoluzione alternativa delle controversie. La norma, infatti, non ha natura meramente sanzionatoria, traducendosi in una sanzione d’ufficio; tuttavia pare opportuno limitare l’applicabilità della disposizione a quelle condotte che siano imputabili soggettivamente alla parte a titolo di dolo o colpa grave, ovvero ad una condotta negligente che ha determinato un allungamento dei termini del processo [25] e, infatti, parte della dottrina sostiene che sebbene il summenzionato articolo non sia prettamente riparatorio non è qualificabile automaticamente come punitivo, potendo essere etichettato come “pena privata” che si contraddistingue per la mancanza di una necessaria corrispondenza tra il vantaggio pecuniario conseguito dal soggetto leso e il danno effettivamente patito [26].
3.5. Il caso Facebook: l’ordinanza del Tribunale di Reggio Emilia n.384 del 15 aprile 2015.
Un’applicazione pratica dell’art. 614 bis c.p.c. la troviamo nell’ordinanza del 15 aprile 2015 n. 384 del Tribunale di Reggio Emilia che riguarda una vicenda molto attuale, vale a dire quella dell’applicazione dell’astreinte ad un caso di ingiurie e diffamazione su Facebook, o altri Social Network, e relativa tutela d’urgenza.
Parte ricorrente ha adito il Tribunale attraverso un ricorso ex art. 700 c.p.c. “dei provvedimenti d’urgenza” che prevede quali “condizioni per la concessione”: il fondato motivo di temere l’insoddisfazione del proprio diritto, cioè il periculum in mora; un pregiudizio imminente ed irreparabile che minacci il diritto durante il tempo per farlo valere in via ordinaria; l’inesistenza di un altro provvedimento cautelare tipico idoneo; l’allegazione e la dimostrazione della verosimile fondatezza della propria domanda, cioè il fumus boni iuris.
Il Giudice ha accolto l’istanza cautelare volta ad inibire ai resistenti l’indebita pubblicazione sulla piattaforma Facebook dei post di contenuto ingiurioso e diffamatorio, ordinando ai medesimi resistenti l’immediata cessazione degli stessi, fissando inoltre, visto l’art. 614 bis c.p.c., in € 100,00 la somma di denaro dovuta dagli obbligati per ogni violazione o inosservanza dell’ordine che precede nonché per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento.
La disposizione in esame, relativa all’attuazione degli obblighi di fare infungibile o di non fare, introduce la possibilità di fissare, con il provvedimento di condanna costituente titolo esecutivo, una somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento; misura che verrà applicata, da parte del giudice, «tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile», ove ciò non sia manifestamente iniquo.
Nel caso in esame sussistono tutti i presupposti per la tutela d’urgenza ex art. 700 c.p.c.: la lesione di un diritto della personalità costituzionalmente garantito, ex art. 2, che «riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo […]», condotta che tra l’altro costituisce reato di diffamazione, ex art. 595 c. p., che punisce, chi offende l’altrui reputazione in assenza della persona offesa, con la reclusione fino ad un anno e la multa fino ad € 1032,91 (fumus boni iuris); il possibile pregiudizio che possa derivare al suddetto diritto nelle more del giudizio ordinario e, quindi, il fondato e attuale timore che il diritto sia esposto ad un pericolo grave ed irreparabile (periculum in mora); l’inesistenza nell’ordinamento di una misura cautelare tipica atta a garantire l’effettività della tutela (residualità).
La possibilità di includere tra i provvedimenti di cui all’art. 614 bis c.p.c. le pronunce cautelari e nunciatorie, compresi i decreti emessi inaudita altera parte ex art. 669 sexies c.p.c. e quelli urgenti di cui all’art. 700 c.p.c., nonché quelle possessorie, è riconosciuta dalla dottrina maggioritaria e dalla giurisprudenza, sul presupposto che i provvedimenti emessi in via cautelare, quando sono idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito, acquistano efficacia definitiva, poiché l’instaurazione del giudizio di merito è prettamente facoltativa, realizzando le finalità deflative ex art. 669 octies c.p.c. [27].
[1] V. Varano, Contempt of Court, voce Dig. Disc. Pen., p. 120 ss.; A. Frignani, L’Injunction nella common law e l’inibitoria nel diritto italiano, Milano, Giuffré, 1974; P. Pardolesi, Rimedi all’inadempimento contrattuale: un ruolo per il disgorgement?, in Riv. Dir. Civ., 1, 2003, p.717; ID., Contratto, nuove frontiere rimediali, disgorgement v. punitive damages, in Collana della II Facoltà di Giurisprudenza – Sede di Taranto, Università degli Studi di Bari – Aldo Moro, Bari, Cacucci, 2012; A. Blomeyer, Zivilprozessrecht. Vollstreckungsverfahren, Berlino-Heidelberg-New York, 1975, p.440 ss.; M. Taruffo, L’attuazione esecutiva dei diritti: profili comparatistici, in Riv. Trim. dir. e proc. civ., 1988, p.142 ss.; S. Guinchard, T. Moussa, Droit et pratique des voies d’execution, Parigi, 2000; R. Perrot, La coercizione per dissuasione nel diritto francese, in Riv. Dir. proc., 1996, p.658.
[2] A. Mondini, L’attuazione degli obblighi infungibili, Milano, Giuffré, 2014, p. 21; J. I. H. Jacob, La giustizia civile in Inghilterra, Bologna, 1987, p.183 ss; D. B. Dobbs, Contempt of Court: A survey, in 56 CorLr, 1971, p.183 ss.; C. Cremonini, An Italian Lawyer Looks at Civil Contempt – From Rome to Glastombury, in 3CJQ, 1984, p.133 ss.; V. Varano, op. ult. cit., p.117 ss.; A. Zuliani, L’astreinte (o comminatoria o coercitoria o misura coercitiva), relazione diffusa nell’incontro di studio organizzato dal CSM sul tema della riforma delle norme sul rito civile introdotta dalla legge n.69/2009, tenutosi in Roma, 28-30 aprile 2010; A. Crivelli, Penalità di mora, astreintes, figure consimili, in I danni risarcibili nella responsabilità civile, I, Il danno in generale (a cura di Cendon P.), Utet, Torino, 2005, p.461.
[3] G. Borrè, Esecuzione forzata degli obblighi di fare o di non fare, Napoli, Jovene, 1966, p.21
[4] C. Trapuzzano, Le misure coercitive indirette, Padova, Cedam, 2012, p.29; L. Marazia, Astreintes e altre misure coercitive per l’effettività della tutela civile di condanna, in Riv. esec. forz., II, Utet, Torino, 2004, p.333; A. Dondi, L’Astreinte endoprocessuale, in Riv. Dir. Proc. Civ., 1981, p.524.; B. Capponi, Astreintes nel processo civile italiano?, in Giust. Civ., II, 1999, p.157; L. J. Costantinesco, Il metodo comparativo, in Sist. Giur. Comp, I, 2 (a cura di Procida, Mirabelli, Di Lauro A.), Giappichelli, Torino, 2000; F. Benatti, Correggere e punire dalla law of torts all’inadempimento del contratto, Giuffré, Milano, 2008.
[5] V. Varano, Contempt of Court, in Processo e tecniche di attuazione dei diritti (a cura di S. Mazzamuto), Napoli, Jovene, 1989, p.429; P. Fava, Punitive damages e ordine pubblico: la Cassazione blocca lo sbarco, in Corr. giur., 2007, p.498.; U. Mattei, Il modello di common law, in Sist. giur. comp. (a cura di Procida, Mirabelli, Di Lauro A.), 3a ed, Giappichelli, Torino, 2010; F. De Stefano, L’esecuzione indiretta: la coercitoria via italiana alle “astreintes”, in Corr. del merito, V, 12, 2009, p.1181.
[6] A. Freni, G. Giugni, Lo Statuto dei Lavoratori, Commento alla legge 20 maggio 1970, n.300, Milano, Giuffrè, 1971, p. 69; T. Padovani, Ordine di reintegrazione del lavoratore e art. 388 cpv., c.p., in Dir. lav., II, 1975, p.33; A. Alessandri, Il problema delle misure coercitive e l’art. 388 c.p., in Riv. it. dir. e proc. pen., 1981, p. 154 ss.; M. Napoli, Il diritto del lavoro tra conferme e sviluppi, Giappichelli, Torino, 2006, p.188 ss.; M. Tatarelli, Il licenziamento individuale e collettivo, Padova, Cedam, 2006, p. 43 ss.; M. Meucci, Risarcimento di danno, reintegra e opzione per l’alternativa economica, in caso di licenziamento invalido, in Riv. Crit. Dir. Lav., 1999, p.757.
[7] M. A. Iuorio, G. Fanelli, La penalità di mora nel diritto italiano, in B. Capponi (a cura di), L’esecuzione processuale indiretta, Milano, IPSOA 2011, p. 91; cfr. F. Santagada, Commento al D. lgs. 1 settembre 2011, n.150, in R. Martino, A. Panzarola, Commentario delle riforme del processo civile dalla semplificazione dei riti al decreto sviluppo, Torino, Giappichelli, 2013, p. 142.
[8] U. Minneci, Coercibilità dell’ordine di reintegra del lavoratore illegittimamente licenziato, Il Lavoro nella Giurisprudenza, n. 101/1997, p. 798.
[9] A. Riccardi, Tutela reale versus tutela obbligatoria tra ideologia e tecnica, Argomenti di Diritto del Lavoro diretti da Mattia Persiani e Franco Carinci, n. 6/2007, p. 128.
[10] C. Trapuzzano, Le misure coercitive indirette – come indurre il debitore ad adempiere, Milano, CEDAM, 2012, p. 59; P. Albi, Stabilità del posto di lavoro e accezione “debole” del rapporto di lavoro, in Lav. e dir., 2007, 4, p. 554; S. Muggia, Risarcimento del danno per mancata esecuzione della reintegrazione. Il commento, in Il Lavoro nella giurisprudenza, 2009, pp.1239-1242; A. Proto Pisani, Aspetti processuali della reintegrazione nel posto di lavoro, in Foro it., 1982, V, c. 117 e ss.; ID., Appunti sulla tutela di condanna, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1978, pp. 1156-1157; E. Ghera, L’esecuzione diretta e indiretta nel diritto del lavoro, in Processo e tecniche di attuazione dei diritti (a cura di Mazzamuto S.), II, Napoli, Jovene, 1989, p.1077; A. Vallebona, Tutele giurisdizionali e autotutela individuale del lavoratore, Padova, Cedam, 1995; ID., La misura compulsoria per la condanna incoercibile, in Mass. Giur. lav., 2009, p. 568.
[11] M. A. Iuorio, G. Fanelli, La penalità di mora nel diritto italiano, in B. Capponi (a cura di), L’esecuzione processuale indiretta, Milano, IPSOA 2011, pp. 92-93; O. Mazzotta, I licenziamenti, Milano, Giuffrè, 1999, p.500; M. G. Ziliotti, La disciplina dei licenziamenti individuali e collettivi, a cura di Galatina, Torino, Giappichelli, 1993, p. 22 ss.; M. G. Garofalo, Art. 18, lo Statuto dei Lavoratori, in Commentario diretto da G. Giugni, Milano, Giuffrè, 1979, p. 299; C. Mandrioli, L’esecuzione specifica dell’ordine di reintegrazione nel posto di lavoro, in Riv. dir. proc., 1975, p. 9 ss.
[12] Cass. Francese 29.05.1990 e 20.12.1993; sul punto, cfr. A. Mondini, L’attuazione degli obblighi infungibili, Milano, Giuffré, 2014; B. Capponi, L’esecuzione processuale indiretta, Milano, IPSOA, 2011; C. Trapuzzano, Le misure coercitive indirette – come indurre il debitore ad adempiere, Milano, CEDAM, 2012.
[13] Ghiretti, Genericità e fungibilità nell’obbligazione, in Riv. dir. comm., 1974, I, p. 257: C. Consolo, F. Godio, Art. 614 bis – attuazione degli obblighi infungibili di fare o di non fare, in Commentario del Codice di Procedura Civile diretto da L. P. Comoglio, C. Consolo, B. Sassani, R. Vaccarella, VII, I, artt. 602 – 669quaterdecies, Milano, UTET, 2013; G. Balena, La nuova pseudo-riforma della giustizia civile, in Giusto proc. civ., Napoli, ESI, 2009, p. 800; ID., Istituzioni di diritto processuale civile. Vol. III: i processi speciali e l’esecuzione forzata, II, Cacucci, Bari, 2016; G. BONILINI, Pene private e danno non patrimoniale, in Le pene private (a cura di Busnelli F. D. e Scalfi G.), Giuffrè, Milano, 1985.
[14] M. Bove, La misura coercitiva di cui all’art. 614 bis c.p.c., in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., Giuffrè, Milano, p. 781 ss.; F. D. Busnelli, Verso una riscoperta delle «pene private»?, in Resp. civ. e prev., 1984, p. 26.; B. Capponi, Alcuni problemi su contraddittorio e processo esecutivo – alla luce del nuovo art. 111 della Costituzione, in Riv. esec. forz., 2001, p.28; C. Castronovo, Il risarcimento del danno in forma specifica come risarcimento del danno, in Processo e tecniche di attuazione dei diritti (a cura di Mazzamuto S.), I, Jovene, Napoli, 1989, p. 481.
[15] R. Partisani, Fungibilità e infungibilità nelle diverse specie di obbligazioni, in Trattato delle obbligazioni (diretto da Franzoni), I, Torino, 2004, p. 1503; E. T. Liebman, Le opposizioni di merito nel processo di esecuzione, 2a ed., Sefi, Roma, 1936; F. P. Luiso, Diritto processuale civile. Vol. III: il processo esecutivo, Milano, Giuffrè, 2015; C. Mandrioli, L’azione esecutiva, Milano, Giuffrè, 1955; ID., L’esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, in Noviss. dig. it., Torino, UTET, 1957, p. 766; ID., Corso di Diritto Processuale Civile, ediz. minore. Vol. III: l’esecuzione forzata, i procedimenti speciali, l’arbitrato, la mediazione e la negoziazione assistita, Torino, Giappichelli, 2016.
[16] Trib. Catania, ord. 18 gennaio 2004, in Giur. comm., 2005, II, p. 64
[17] Trib. Torino, ordinanza 2 luglio 2010, in Giur. it., 2011, p. 1123
[18] Petti, Commento a Trib. Cagliari, ord. 19 ottobre 2009, in I contratti, 2010, 682: la fattispecie affrontata dal Giudice sardo è quella relativa alla richiesta di un provvedimento cautelare assistito dalla condanna ex art. 614 bis c.p.c. per un obbligo di riattivare una linea telefonica e di mantenerla in piena efficienza evitando il ripetersi di disservizi, obbligo che è stato ritenuto infungibile «non potendo la riattivazione delle linee telefoniche ed il mantenimento del servizio avvenire senza la necessaria e duratura cooperazione del debitore, nella duplice veste di gestore della rete ed operatore telefonico».
[19] Trib. Bari, 10 maggio 2011, n. 365, in Dejure, voce Procedimento cautelare in materia civile – Provvedimento – in genere
[20] A. Proto Pisani, Appunti sulla tutela di condanna (trentacinque anni dopo), in Foro it., 2010, V, 257 ss.; E. Zucconi Galli Fonseca, Le novità della riforma in materia di esecuzione forzata, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2010, p. 201 ss.
[21] S. Mazzamuto, Le comminatorie di cui all’art. 614 bis c.p.c. e il concetto di infungibilità processuale, in Europa e dir. priv., Giuffrè, 2009, p. 947 ss.; A. Chizzini, Dell’esecuzione forzata degli obblighi di fare o non fare, commento all’art. 614 bis, in La riforma della giustizia civile, Commento alle disposizioni della legge sul processo civile n.69/2009, Torino, Giappichelli, 2009, p.176; C. Mandrioli, Sulla correlazione necessaria tra condanna ed eseguibilità forzata, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1976, p. 1342; C. Mandrioli, A. Caratta, Come cambia il processo civile, Torino, Giappichelli, 2009; F. Tedioli, Osservazioni critiche all’art. 614 bis cod. proc. civ., in Nuova giur. civ. comm., 2013, 2, p. 78.
[22] Trib. Varese, ord. 17 febbraio 2011, in Dejure – Sentenze di merito
[23] C. Consolo, Una buona “novella” al c.p.c.: la riforma del 2009 (con i suoi artt. 360 bis e 614 bis), va ben al di là della sola dimensione processuale, in Corr. giur., IPSOA, 2009, fasc. 6, 741 ss.; V. F. Cipriani, M. G. Civinini, A. Proto Pisani, Una strategia per la giustizia civile nella XIV legislatura, in Foro it., V, 2001, c. 81; S. Patti, voce Pena Privata, in Dig. disc. priv., sez. civ., XIII, Torino, UTET, p. 349; A. Saletti, Commento all’art. 614 bis, in Commentario alla riforma del codice di procedura civile, a cura di A. Saletti e B. Sassani, Torino, UTET, 2009, p.100.
[24] A. Mondini, L’attuazione degli obblighi infungibili, Giuffrè, 2014; L. Montesano, Condanna civile e tutela esecutiva, Napoli, 1965, p.5 ss.; P. Cendon, Pena privata e diffamazione, in Pol. del dir., Bologna, Il Mulino, 1979, p. 149; G. Chiovenda, Istituzioni di diritto processuale civile, 2a ed, Napoli, Jovene, 1960; S. Satta, L’esecuzione forzata, in Tratt. Dir. Civ., a cura di G. Vassalli, Torino, UTET, 1952, p. 207; R. Scognamiglio, Il risarcimento del danno in forma specifica, in Riv. trim. dir. proc. civ., I, 1957, p. 201; ID., voce Indennità (dir. civile), in Enc. dir., XXI, Milano, Giuffrè, 1971, pp. 99-593.
[25] Trib. Terni, 17 maggio 2010; Trib. Varese, 27 maggio 2010 e Trib. Verona, 28 febbraio 2014, reperibile online sul sito www.iusexplorer.it .
[26] N. Sciaratta, La Cassazione su astreinte, danni punitivi e (funzione della) responsabilità civile, in www.dirittocivilecontemporaneo.com, Anno II, Numero III; V. M. Trimarchi, voce Caparra (dir. civile), in Enc. dir., VI, Milano, Giuffrè, 1960, p.191; G. Vassalli, La mancata esecuzione di un provvedimento del giudice, Torino, UTET, 1938; A. Carratta, C. Mandrioli, Diritto processuale civile. Vol IV: L’esecuzione forzata, i procedimenti sommari, cautelari e camerali, Torino, Giappichelli, 2016.
[27] A. C. Cuofano, L’astreinte (art. 614 bis c.p.c.) applicato ad un caso di ingiurie su Facebook: l’analisi dell’ordinanza del Tribunale e dell’istituto, in www.camminodiritto.it, 13 maggio 2015