Giovedì 10 luglio 2025, presso la sede di Unistudio & Gambino Academy a Verona e…
La disciplina dei dati al servizio dell’ambiente: riflessioni comparatistiche. Intervista al Prof. Olindo Lanzara

In occasione del XXVIII Colloquio dell’Associazione Italiana di Diritto Comparato (AIDC), dal titolo “Comparative Law in the Age of Disorder” e svoltosi a Palermo dal 29 al 31 maggio 2025, abbiamo avuto il piacere di intervistare il Professor Olindo Lanzara, esperto di Diritto Privato Comparato e docente presso l’Università degli Studi di Salerno. La sua relazione, intitolata “Geometrie variabili: la disciplina dei dati in soccorso della tutela ambientale”, ha esplorato il potenziale del diritto dei dati come strumento giuridico innovativo per affrontare le sfide poste dalla salvaguardia ambientale, offrendo prospettive originali e multidisciplinari su un tema di crescente rilevanza.
Il Professor Olindo Lanzara è Professore Associato di Diritto Privato Comparato presso il Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università degli Studi di Salerno, dove insegna corsi come Diritto Privato Comparato e Diritto Comparato dei Dati e dell’Intelligenza Artificiale. Ha ottenuto l’Abilitazione Scientifica Nazionale come ordinario nel settore del diritto comparato e contribuisce attivamente alla ricerca e all’insegnamento in ambito giuridico.
Negli ultimi anni, il Professor Lanzara ha coordinato importanti progetti di ricerca, tra cui ricerche sulla responsabilità medica (medical malpractice) e sulla gestione dei dati personali. È membro del comitato scientifico del Laboratorio didattico e di ricerca “Made in Italy” e coordinatore del Comitato di Redazione della rivista giuridica “Comparazione e Diritto Civile”.
In qualità di docente del progetto di ricerca Jean Monnet – Erasmus+, ha contribuito allo sviluppo di studi sull’educazione digitale e sul consenso al trattamento dei dati, con un focus specifico sulle implicazioni giuridiche in un contesto europeo.
Il Prof. Olindo Lanzara
La Sua relazione delinea un paradigma inedito nell’ordinamento contemporaneo: quello delle “interconnessioni” tra protezione dei dati personali e tutela ambientale. Quale fondamento teorico sorregge questa convergenza apparentemente eterogenea?
La convergenza tra protezione dei dati e tutela ambientale trova il proprio fondamento epistemologico nella teoria dell’eterogenesi dei fini di Wilhelm Wundt, che illumina come finalità inizialmente circoscritte possano dischiudersi, per dinamiche latenti o contingenze impreviste, a esiti ulteriori rispetto all’intenzione originaria. Nel nostro caso specifico, i principi cardine del GDPR – minimizzazione, limitazione della conservazione, trasparenza e accountability – si rivelano strumenti sussidiari nella tutela di beni collettivi quali l’ambiente e l’equilibrio ecologico. Questa dialettica tra intenzionalità normativa e ricadute sistemiche manifesta un nesso sotterraneo ma eloquente: la protezione del dato, lungi dall’essere monodimensionale, genera nella sua attuazione rigorosa effetti benefici che travalicano la sfera digitale per incidere sulla sostenibilità dei processi tecnologici.
In che modo i principi del Regolamento europeo possono concretamente tradursi in strumenti di razionalizzazione ecologica dell’infrastruttura digitale?
L’architettura normativa del GDPR disegna, quasi inconsapevolmente, un modello ecologico della protezione dei dati. Ad esempio, il principio di minimizzazione può fungere da paradigma per la gestione sostenibile dell’infrastruttura digitale, suggerendo la riduzione dell’accumulo indiscriminato di dati come strategia per alleggerire il carico ambientale del sistema. Analogamente, l’imposizione di limiti temporali alla conservazione dei dati si declina come forma di gestione ecologica della memoria digitale, contrastando la tendenza all’iperaccumulo. Il principio di finalità ostacola in radice la proliferazione dei dati, impedendo forme di accumulazione ridondante che richiederebbero infrastrutture sempre più energivore. I diritti degli interessati -cancellazione, opposizione, limitazione del trattamento – possono trasformarsi in leve giuridiche di decongestione digitale, ove il controllo individuale sul dato diviene strumento di sostenibilità tanto personale quanto sistemica.
La Sua analisi evidenzia una tensione strutturale tra il paradigma di crescita digitale e gli imperativi della transizione ecologica. Come può il diritto mediare questa apparente contraddizione?
La struttura dell’economia digitale, fondata sull’estrazione, centralizzazione e monetizzazione dei dati personali, presenta analogie profonde con i modelli estrattivi dell’economia industriale novecentesca. Questa affinità apre uno spazio di riflessione critica sulla frizione strutturale tra l’infrastruttura del capitalismo dei dati e gli obiettivi di neutralità climatica. Il diritto può mediare tale contraddizione attraverso una reinterpretazione ecologicamente orientata del GDPR, che fornisce strumenti normativi preziosi per una sostenibilità integrata. Non si tratta di piegare il diritto alla protezione dei dati a finalità ecologiche estranee, ma di riconoscere un potenziale ecologico latente.
Quale ruolo può assumere il diritto comparato nella costruzione di un framework normativo globale che coniughi innovazione tecnologica e responsabilità ambientale?
Il diritto comparato si rivela non solo strumento ermeneutico privilegiato, ma autentica linfa vitale per una regolazione globale condivisa, capace di generare prassi concrete. Il GDPR continua ad affermarsi come riferimento su scala globale, configurandosi quale arsenale normativo flessibile ed al contempo può essere strumento di regolazione ambientale indiretta. La strada che ci attende ritengo sia quella di un diritto reattivo ma saldo, fluido ma fondato, che sappia coniugare la velocità della tecnologia con l’immutabilità dei valori fondamentali, costruendo la prossima generazione del diritto alla protezione dei dati: un corpus normativo ispirato dalla responsabilità che accompagna l’alba dell’intelligenza computazionale.
Quali limiti incontra questa ricostruzione teorica che vede nel GDPR uno strumento di tutela ambientale indiretta?
La ricostruzione teorica proposta incontra diversi limiti significativi che meritano attenta considerazione. Innanzitutto, emerge una tensione intrinseca tra alcuni obblighi del GDPR e gli obiettivi di sostenibilità ambientale. Le disposizioni relative alla sicurezza del trattamento, pur fondamentali per la tutela dei dati, comportano costi ambientali non trascurabili: tecniche come la cifratura avanzata, la pseudonimizzazione o la duplicazione dei dati per scopi di resilienza infrastrutturale determinano un incremento dell’impronta energetica. Inoltre, la necessità di verificare empiricamente l’effettiva portata di questi effetti indiretti rappresenta un limite metodologico cruciale. Manca ancora un apparato di misurazione standardizzato che consenta di quantificare con precisione i benefici ambientali derivanti dall’applicazione rigorosa dei principi del GDPR. Gli ostacoli principali includono i costi di implementazione, la resistenza del mercato, le complessità tecniche nella misurazione dell’impatto ambientale e la necessità di bilanciare efficienza operativa e sostenibilità. Il bilanciamento tra conservazione e minimizzazione richiede un approccio basato sul rischio, valutando caso per caso la necessità effettiva di conservazione dei dati, il che può generare incertezze applicative. Infine, la creazione di un framework normativo futuro che integri efficacemente “privacy by design” con requisiti di sostenibilità ambientale fin dalla progettazione dei sistemi richiede una collaborazione interdisciplinare ancora in fase embrionale, che coinvolga informatica e scienze ambientali per sviluppare metriche di sostenibilità digitale e standard tecnici appropriati.