Il Presidente del Garante per la protezione dei dati personali, Pasquale Stanzione, e il Direttore…
La legge toscana. La Corte sul suicidio assistito: ma per i medici non è un obbligo

*Direttore scientifico di DIMT e Presidente socio fondatore di IAIC
L’enfasi sul “diritto di morire” può facilmente trasformarsi in una sorta di “dovere morale di morire” a fronte dei costi dell’assistenza
Uno dei punti cruciali in cui la legge toscana ha invaso le prerogative del Parlamento riguarda la fase della prestazione assistenziale al suicidio assistito. Su questo punto, occorre chiarire subito che la Corte costituzionale nella sentenza 242/2019 non ha dato alcuna indicazione, anzi ha affermato con chiarezza che non esistono obblighi per i medici e, come ovvia conseguenza, non esistono obblighi per il servizio sanitario di cui i medici rappresentano l’architrave. La Corte si limita a escludere la punibilità dell’aiuto al suicidio nei casi considerati, rimanendo «affidato alla coscienza del singolo medico scegliere se prestarsi, o no, a esaudire la richiesta del malato» (sono parole della Corte).
La legge toscana disattende totalmente tale indicazione e richiede – con fredda nomenclatura burocratica – che l’erogazione del trattamento di suicidio medicalmente assistito “deve” essere supportato dal medico, salvo poi a precisare che tale assistenza è su base volontaria. Si ha dunque ben chiaro cosa dice la Corte ma allo stesso tempo se ne forza il contenuto finendo con l’apprestare un vero e proprio protocollo “sanitario” del suicidio assistito. In particolare, il testo regionale assegna all’azienda sanitaria locale il compito di assicurare supporto tecnico, farmacologico e assistenza sanitaria necessari per la preparazione all’autosomministrazione del farmaco letale.
Tale dettato normativo del Consiglio regionale toscano esorbita dalle proprie competenze territoriali e interpola il dettato della Corte, la quale – anche qui occorre ricordarlo – non ha generato un nuovo diritto e cioè un diritto all’assistenza sanitaria in caso di suicidio per motivi di malattia ma, come detto, ha escluso in taluni casi la punibilità.
Si tratta di situazioni del tutto particolari, se non eccezionali, e tali devono restare onde evitare che si dia luogo a una sorta di secondo binario parallelo, rispetto a quello terapeutico e palliativo, verso gli stati di malattia grave o, comunque, alla fase della vita che si avvicina al momento della morte. Il tema è fondamentale e proprio su questo il Parlamento sta discutendo in Senato. Il ruolo del Servizio sanitario in materia di assistenza al suicidio del paziente non può dunque travalicare i confini segnati dalla Corte Costituzionale.
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