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La Mobile Revolution tra privacy e copyright

(via formiche.net) L’intervento di Alberto Gambino, Presidente dell’Accademia Italiana del Codice Internet e Pro-Rettore dell’Università Europea di Roma, durante la roundtable “Mobile Revolution and Markets Dynamics in the Digital Ecosystem: What’s Next?” organizzata da Formiche presso il Parlamento Europeo il 28 novembre 2017
 
 

Ad oggi occorre interrogarsi sull’adeguatezza delle tutele copyright all’ecosistema digitale e alle sfide delle nuove tecnologie in generale; così come appare necessario indagare se il sistema attuale sia in grado di offrire quel bilanciamento tra l’interesse degli autori/editori e quello generale, a garanzia dell’effettività e della pluralità dei diritti di ciascuno.

Per fare questo è possibile prendere le mosse da alcune valutazioni sugli attori coinvolti nell’odierno scenario in materia che, senza pretese di esaustività, potrebbero essere individuati nelle i) società di telecomunicazioni, ii) piattaforme, iii) sistemi hardware, iv) sistemi software, v) utenti finali.

Ciascuno di essi svolge un ruolo vitale per la tenuta dell’ecosistema digitale e conseguentemente divengono protagonisti della disciplina dell’accesso all’informazione, in particolare quella contenuta nella rete delle reti: Internet. La funzione da essi svolta spesso poi diviene interscambiabile, diacronica, sicuramente complessa a tal punto che anche al giurista è richiesta una interdisciplinarietà tale da coinvolgere diversi saperi, ivi inclusi quelli di carattere più strettamente scientifico.

Guardando infatti anche solamente ad alcuni dei soggetti citati, è di palmare evidenza che taluni prerequisiti di conoscenza debbano essere attinti alle materie ingegneristiche (società di telecomunicazioni e piattaforme quali elementi infrastrutturali) e informatiche (sistemi hardware e software come portali di accesso al fisico e virtuale al mondo digitale).

Ciò posto, è dunque inevitabile che il nostro ordinamento si sia occupato più approfonditamente di alcuni di questi soggetti o di alcuni particolari profili loro relativi. È ad esempio il caso della disciplina del Diritto d’autore applicabile al titolare del software, sul quale in passato si è registrato un acceso dibattito riguardo al tipo di tutela necessitata e che ha visto prevalere le teorie nord-americane volte a consentire, tramite il Diritto d’autore piuttosto che con brevetto, un immediato enforcement verso l’uso indebito dell’invenzione.

Un altro aspetto di cui il legislatore ha ritenuto doveroso occuparsi è quello della tutela della concorrenza che, ultimamente, ha ceduto il campo all’antitrust, ovvero la tutela della concorrenza parametrata al mercato nel suo complesso e non più, quindi, nell’ottica del singolo imprenditore. Secondo l’approccio tradizionale della regolamentazione antitrust i benefici dell’utente finale, in termini sia economici che qualitativi, sono tanto maggiori quanto minori sono le barriere al mercato, potendo egli optare tra più offerte e selezionare il prodotto più confacente alle esigenze personali.

Tuttavia, lo scenario descritto in premessa impone una riflessione sulla bontà di questo approccio e la sua perdurante efficacia, riflessione elaborata dalla stessa Commissione Europea che recentemente è stata impegnata in importanti procedure di verifica di abuso di posizione dominante. Stando alle osservazioni della Commissione, potrebbe essere sanzionabile il comportamento della piattaforma che, d’accordo con l’utente finale possessore del device, offra a costi ridotti una serie di servizi collegati allo stesso device e un accesso preferenziale al motore di ricerca utilizzato. Nel quadro or ora descritto, però, non v’è traccia della considerazione che l’inibizione di un simile comportamento potrebbe avere con riguardo all’utente finale – consumatore: da giurista e Presidente di un’Accademia che studia proprio questi temi, infatti, ritengo che una simile decisione non solo precluderebbe l’accesso all’informazione nei termini in cui oggi lo conosciamo, ma probabilmente ne aumenterebbe anche i costi.

La soluzione che si potrebbe percorrere per sciogliere il problema, dunque, si basa sull’applicazione analogica del principio applicato al c.d. caso Microsoft, un principio ormai risalente a circa dieci anni fa ma che rimane ancora attuale: il principio dell’interoperabilità. Nel caso in questione il principio dell’interoperabilità verrebbe declinato nel senso di sfruttare la combinazione tra utenti finali, device e piattaforme, in grado così di creare più offerte disponibili e senza mettere in uno stato di primazia una singola piattaforma.

È la data-driven industry stessa che impone un simile ragionamento, fondandosi proprio sui sistemi mobili integrati e piattaforme aperte, indispensabili a favorire le economie shared, a loro volta funzionali ad incrementare l’innovazione tecnologica. Presupposto di questo nuovo paradigma è che l’integrazione tra prodotti e servizi poggi su sistemi e applicazioni open e che i codici sorgente dei software utilizzati – anziché rimanere segreti – vengano condivisi e sulla base di questi siano elaborate nuove e più promettenti soluzioni. Si tratta di un paradigma perfettamente compatibile con il sistema dei diritti della proprietà intellettuale: attraverso le licenze aperte, infatti, si autorizza in via preventiva l’uso, il riuso e il perfezionamento del sistema operativo, con l’unico obbligo di consentire l’interoperabilità con altre applicazioni, di riconoscere la paternità delle modifiche introdotte, di assicurare che gli usi successivi avvengano nel rispetto delle medesime condizioni.

Si tratta, in definitiva, di un paradigma che rimette l’utente finale – consumatore, al centro delle preoccupazioni dell’antitrust: quello che si ritiene debba essere l’obiettivo principe dell’Istituzione europea competente per materia.

Chi ha partecipato al Parlamento europeo alla tavola rotonda sulla Mobile Revolution. Le foto

 
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