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La mossa di Meta per stare sul mercato. Cosa cambia nel fact-checking secondo Bassan
08/01/2025
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Marck Zuckerberg ha annunciato una serie di modifiche alle politiche di moderazione dei contenuti sulle piattaforme di Meta. Fra queste, la più importante riguarda la chiusura del programma introdotto otto anni fa per arginare la circolazione di notizie false su Facebook e Instagram. Una mossa per rimanere sul mercato ed evitare di essere tagliato fuori da Musk. In Europa, al momento, non cambierà molto ma la Commissione dovrà collaborare con le piattaforme. Colloquio con Fabio Bassan, docente di Roma Tre e membro del Comitato scientifico di IAIC.
Riposizionarsi accanto al futuro presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, non è più una necessità rinviabile. Neanche per Marck Zuckerberg, ha annunciato una serie di modifiche alle politiche di moderazione dei contenuti sulle piattaforme di Meta. Fra queste, la più importante riguarda la chiusura del programma introdotto otto anni fa per arginare la circolazione di notizie false su Facebook e Instagram che affida a siti di informazione e fact-checker terzi la valutazione di post apparentemente falsi al fine di etichettare quelli fuorvianti. Una mossa che “rispecchia lo spirito dei tempi” e che per Meta rappresenta un modo per “allinearsi a X, dunque a Elon Musk, che ora più che mai detta l’agenda”. A dirlo sulle colonne di Formiche.net è Fabio Bassan, docente dell’Università Roma Tre ed esperto di tecnologia.
Professore, qual è la prima ricaduta che si registrerà a seguito di questa operazione?
Verranno rese meno controllabili le dichiarazioni, rendendo il target di riferimento quello di X. Questo, negli Stati Uniti. Per l’Europa al momento non prevedo grossi cambiamenti.
Qual è secondo lei l’origine della volontà di Zuckerberg?
Farei una valutazione più allargata del contesto. Partiamo dall’attacco a Capitol Hill del 6 gennaio 2021. Facebook e Twitter all’epoca hanno oscurato l’account di Trump. Il quale poi ha adito tutte le corti Usa lamentando una violazione del primo emendamento. Le corti Usa hanno spiegato che la libertà di espressione può essere fatta valere dal cittadino (anche dal Presidente) solo contro un potere pubblico, (il governo, la PA) non anche contro un privato, quando l’utente ha accettato le condizioni che questo ha posto per l’uso della piattaforma. Nel 2021 ho scritto un libro, “Digital platforms and global law” proprio per indagare le conseguenze di questo.
Qual è stata la sua conclusione?
Che alcuni social network ormai non sono più solo imprese multinazionali, che cercano di ottimizzare i costi uniformando il diritto dei paesi in cui operano: sono veri e propri ordinamenti giuridici privati: esercitano un potere normativo (scrivono le regole cui la community deve sottostare), esecutivo (le fanno rispettare) e giudiziario (offrono strumenti per la soluzione delle controversie sia tra privati sia tra il privato e il social: ad esempio, quando oscura l’account).
E gli Stati come si possono comportare di fronte a questi colossi?
Di fronte a questi ordinamenti privati, gli ordinamenti pubblici (gli Stati, l’Ue) in alcuni casi possono negoziare le regole, in altri riescono ad imporle, in altri ancora sono costretti a subirle. È esattamente quanto accaduto nell’Ue: il Dma, che riguarda l’attività “esterna” delle piattaforme (il loro comportamento sul mercato) impone obblighi incisivi ai gatekeepers, mentre il Dsa (che riguarda il lato “interno”, del rapporto tra piattaforme e utenti) è meno intrusivo.