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L’oblio oncologico: profili di diritto comparato. L’intervista al Prof. Olindo Lanzara

In occasione dell’evento “L’oblio oncologico e il vademecum del Garante Privacy” tenutosi il 15 gennaio u.s., abbiamo avuto l’opportunità di intervistare il Prof. Olindo Lanzara, esperto di Diritto Privato Comparato e docente presso l’Università degli Studi di Salerno. Il suo intervento, dal titolo “L’oblio oncologico: profili di diritto comparato”, ha affrontato tematiche di grande rilevanza sociale e giuridica, fornendo spunti di riflessione sul bilanciamento tra tutela della dignità personale, protezione dei dati e le sfide dell’autonomia contrattuale.
Il Professor Olindo Lanzara è Professore Associato di Diritto Privato Comparato presso il Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università degli Studi di Salerno, dove insegna corsi come Diritto Privato Comparato e Diritto Comparato dei Dati e dell’Intelligenza Artificiale. Ha ottenuto l’Abilitazione Scientifica Nazionale come ordinario nel settore del diritto comparato e contribuisce attivamente alla ricerca e all’insegnamento in ambito giuridico.
Negli ultimi anni, il Professor Lanzara ha coordinato importanti progetti di ricerca, tra cui ricerche sulla responsabilità medica (medical malpractice) e sulla gestione dei dati personali. È membro del comitato scientifico del Laboratorio didattico e di ricerca “Made in Italy” e coordinatore del Comitato di Redazione della rivista giuridica “Comparazione e Diritto Civile”.
In qualità di docente del progetto di ricerca Jean Monnet – Erasmus+, ha contribuito allo sviluppo di studi sull’educazione digitale e sul consenso al trattamento dei dati, con un focus specifico sulle implicazioni giuridiche in un contesto europeo.
I suoi interessi di ricerca spaziano dal diritto delle persone e della famiglia alla teoria generale del diritto comparato, dalla protezione dei dati personali alla responsabilità civile. Il Professor Lanzara è autore di numerosi studi scientifici, tra cui monografie e articoli, ed è un partecipante attivo in conferenze e seminari nazionali e internazionali.
Il Professor Olindo Lanzara
Qual è l’obiettivo principale della legge 193 e quale contesto normativo la sostiene?
Il diritto all’oblio oncologico viene ricondotto dalla legge 193 all’attuazione di diverse previsioni costituzionali e sovranazionali riguardanti i diritti della persona, la tutela della vita familiare e la protezione dei consumatori.
Già dal titolo della legge si coglie l’obiettivo perseguito: “prevenire le discriminazioni”.
E sulla prevenzione delle disuguaglianze credo si misuri il livello di democrazia di un ordinamento.
Come la protezione dei dati personali si intreccia con il concetto di dignità della persona fragile?
La protezione dei dati personali costituisce sempre più una componente centrale delle democrazie, nella misura in cui garantisce che l’innovazione, l’iniziativa economica, l’attività pubblica non violi – con un indebito sfruttamento dei dati – la dignità della persona, soprattutto dei soggetti la cui fragilità rischia di renderli nudi di fronte al potere dello Stato, del mercato, della tecnica.
Dunque, il tema di oggi si lega all’esigenza di tutelare l’intimità dell’individuo, che nella prospettiva tradizionale, emerge come diritto soggettivo, fondato su un paradigma proprietario, poiché si sostanzia nel diritto di escludere gli altri dalle proprie vicende private (jus excludendi alios).
La nozione di privacy, come risaputo, ha poi gradualmente mutato pelle: senz’altro diritto, ma anche potere di ogni individuo di decidere se e in che misura condividere una parte di sé con gli altri.
Del resto, l’oblio – nasce come naturale evoluzione del concetto di privacy.
E proprio in quest’ambito, si è prodotta un’opera minuziosa di ricerca del punto di equilibrio fra diritti e interessi contrapposti: il diritto all’oblio e il dovere della memoria, la libertà di essere lasciati in pace ed il diritto di cronaca.
Quali aspetti specifici della legge 193 si collegano al diritto all’oblio sancito dal GDPR?
Muovendo dall’art. 17 del GDPR occorre prendere atto della natura multiforme del diritto all’oblio.
Ed il diritto all’oblio oncologico ne rappresenta evidentemente una declinazione; ecco perché si condivide il nesso che lo stesso legislatore ha posto tra tale diritto e la tutela dei dati personali – come è dimostrato dall’affidamento al Garante per la protezione dei dati personali del compito di vigilanza sull’applicazione della legge.
Per certo, il sintagma “oblio oncologico” è senza dubbio efficace ed evocativo sul piano del linguaggio comune.
Il minimo comune denominatore rispetto all’oblio è la rappresentazione attuale di sé.
A ben riflettere, la legge 193 sembra aver riconosciuto il diritto assoluto del paziente, non soltanto negli ambiti disciplinati dagli artt. 2-4, ma in ogni aspetto in cui possa manifestarsi la sua personalità.
Spingendoci probabilmente oltre il contenuto della legge, può dirsi come nessuno può pretendere informazioni sulla malattia oncologica di una persona, se non nei casi previsti dalla l. n. 193/2023 e nei limiti temporali specificati anche per effetto del decreto del Ministro della salute 22 marzo 2024 a cui la legge rinvia.
Correttamente il legislatore estende il divieto di informazioni alla trattativa finalizzata ad ogni tipologia di contratto.
Non può escludersi, del resto, che la conoscenza della pregressa malattia oncologica possa influire, in astratto, anche sul processo formativo di contratti diversi da quelli specificamente indicati e, in particolare di contratti ad esecuzione continuata o periodica, in cui le condizioni personali del contraente possono incidere, ad esempio, sull’esattezza o puntualità dell’adempimento delle obbligazioni, o sulla solvibilità.
Quali spunti ci offrono le esperienze normative di altri Paesi europei?
Impiegando appunto la lente della comparazione giuridica, posso fornire alcune brevi considerazioni dal carattere non marcatamente municipale poiché diversi Stati europei hanno introdotto disposizioni normative al riguardo.
Il primo Paese a provvedere è stata la Francia, nel 2016, con l’introduzione dell’articolo L. 1141-5 del Code de la santé publique.
La norma prevede che, tramite un accordo nazionale stipulato tra lo Stato e vari soggetti interessati nella regolamentazione della materia, vengono stabilite le condizioni e i termini oltre i quali le persone affette da una patologia oncologica non possono subire un aumento delle tariffe assicurative o l’esclusione della copertura assicurativa.
L’accordo prevede l’estensione delle misure a malattie diverse dal cancro, in particolare alle malattie croniche (quali, per esempio, l’epatite C e l’HIV), qualora i dati scientifici dimostrino la capacità dei trattamenti di limitarne gli effetti in modo significativo e duraturo.
Per molti aspetti ispirata al modello francese è la legislazione belga in ambito assicurativo, introdotta nel 2019.
In sintesi, si prevede che le persone che soffrono o abbiano sofferto di un cancro di qualsiasi tipo e che intendano stipulare un’assicurazione per mutui ipotecari o prestiti alle imprese debbano dichiarare tale condizione.
Tuttavia, all’impresa di assicurazione è vietato, dopo il decorso di un periodo di 8 anni dalla fine del trattamento con esito positivo e in assenza di ricadute, prendere in considerazione tale patologia per determinare lo stato di salute attuale dell’assicurato.
Anche l’Olanda ha riconosciuto il diritto, in ambito assicurativo, con un decreto del 2 novembre 2020.
Nel 2023 la Spagna ha adottato il Real Decreto-ley n. 5 secondo cui in nessun caso si può negare l’accesso alla contrattazione, stabilire procedure di contrattazione diverse da quelle normalmente utilizzate dall’assicuratore, imporre condizioni più onerose o discriminare una persona che ha sofferto di una patologia oncologica.
Quali difficoltà applicative emergono dalla legge italiana e quali margini di miglioramento possiamo considerare?
E’ da chiedersi se la legge 193, per il fatto di riferirsi in via esclusiva alle sole malattie oncologiche, possa andare incontro a censure per violazione del principio di eguaglianza e, più nello specifico, del divieto di istituire irragionevoli disparità di trattamento.
In ogni caso, la legge 193 si distingue però per organicità e per avere riguardo a una pluralità di settori di intervento.
Gli ordinamenti stranieri concentrano principalmente i loro sforzi sull’esigenza di consentire agli ex-pazienti oncologici l’accesso ai servizi bancari e assicurativi; la l. n. 193/2023 appare decisamente più ampia sul piano delle fattispecie; ricomprende nel suo ambito applicativo, le procedure di adozione di minori di età, nonchè il contesto lavorativo e professionale.
Il quadro brevemente descritto spinge anche ad interrogarsi sul contratto tra pari, categoria desueta oppure no?
Sarebbe in questo senso, interessante chiedersi quale sia lo stato di salute dell’autonomia contrattuale.
Nonostante una tradizione improntata al noto principio, la disciplina in esame sembra recepire la necessità della ricerca di un punto di equilibrio tra solidarismo e ragioni del mercato, tra i concetti di compenso, margine economico e prezzo di scambio, da un lato, e necessaria protezione della persona, dall’altro.
La libertà di stipulare contratti con un certo contenuto liberamente concordato tra le parti trova dunque un limite rappresentato dall’impossibilità di abusare della condizione di fragilità della persona.
Di qui la necessità di correttivi, in assenza dei quali il mondo giuridico rischierebbe di coincidere con il mondo economico e con i suoi automatismi.
In questo senso, si potrebbe allora pensare che l’autonomia privata sia compressa per esigenze di “giustizia contrattuale”, formula suggestiva che nella sua genericità richiama l’attenzione dell’interprete su concetti di ordine etico, ideologico, oltre che giuridico.
L’uso della locuzione “giustizia contrattuale” esprime dunque il primato dei valori etici.
In sostanza, lottare per la giustizia nel contratto significa lottare per potenziare la disciplina dei vizi della volontà, per creare nuovi rimedi per la mancanza di libertà, di informazione, di partecipazione, di correttezza e lealtà nella fase precontrattuale.
Occorre cioè proteggere il contraente “reso fragile dalla patologia e dalla insufficienza della sua informazione”.
Non a caso, le conclusioni del convegno sono affidate al Prof. Stanzione, che ha dato un contribuito determinante alla progressiva protezione dei soggetti deboli in senso ampio, con i suoi autorevoli scritti sulla dilatazione della nozione di capacità.
Qui, il problema esegetico fondamentale è incentrato sulla disamina della “clausola”, che potrebbe testimoniare l’abuso di potere contrattuale della parte più forte.
Si tratta, in concreto, di colpire quelle sole clausole che alterino l’equilibrio economico del contratto.
Ne discende che il rimedio si pone a stretto ridosso dell’interesse.
Il legislatore ha optato per la nullità parziale, a carattere relativo, delle clausole stipulate in violazione del divieto. La struttura è quella della c.d. nullità di protezione: legittimazione in capo al solo contraente avente interesse all’impugnazione; rilevabilità ex officio, che denota l’accentuazione della tutela nei confronti del contraente leso.
Presenta una certa singolarità, il fatto che la nullità sia fatta derivare dalla contrarietà non già a norme imperative, bensì dai «principi» di cui le stesse norme costituiscono espressione.
Questo riferimento ai principi conferma la conclusione in favore della natura assoluta del diritto soggettivo all’oblio oncologico ed impone un’interpretazione massimamente estensiva del divieto di utilizzazione delle informazioni.
Certo si potrebbe dire che non è chiaro come provvedere all’integrazione del contenuto contrattuale.
Occorrerà fare riferimento alle fonti integrative della disciplina del contratto e, in particolare all’equità (art. 1374 c.c.).
Il giudice dovrà fare ricorso all’equità c.d. correttiva, che comporterà l’adattamento del contenuto del contratto, nelle parti dichiarate nulle, ad esempio, mediante la sostituzione dell’importo dei costi e dei premi con quelli praticati in contratti dello stesso tipo, ma stipulati con soggetti diversi da ex pazienti oncologici.
C’è ancora da aggiungere che il rimedio della nullità relativa non copre, l’intero spettro di tutela, posto che tale rimedio presuppone che un contratto, per quanto iniquo, sia stato stipulato.
Nulla è invece previsto, per l’ipotesi in cui al paziente guarito venga opposto un rifiuto immotivato alla stipulazione o al rinnovo.
L’unico rimedio sembra allora essere quello risarcitorio per responsabilità extracontrattuale, che pone, tuttavia, numerosi problemi di carattere probatorio.
Qualora, infatti, il medesimo servizio sia stato poi ottenuto da altro operatore del settore (in ipotesi, a condizioni più vantaggiose di quelle rifiutate), si potrebbe sostenere che alcun danno sia stato concretamente patito sul piano economico e che possa essere preteso unicamente il danno non patrimoniale da lesione del diritto all’oblio oncologico (art. 2059 c.c.), per la cui liquidazione dovrà farsi ricorso all’equità (art. 1226 c.c.).
In definitiva, il quadro complessivo che emerge presenta talune difficoltà di natura applicativa, che gli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali potranno attenuare, valorizzando il ruolo dell’equità e della prova presuntiva.
In questo senso, utile al riguardo è il vedemecum del Garante, anche per l’apporto in termini di diffusione e di consapevolezza di tutte le facoltà e i diritti riconosciuti.
Orientare il contratto (la legge 193 fa questo), vuol dire orientare il mercato verso certi valori, verso una prospettiva assiologica (quella appunto di combattere le discriminazioni) che rappresenta la base politico culturale comune della tradizione giuridica occidentale.
Connettere il contratto a valori pubblicistici è senz’altro opera meritoria. Il contratto vive nella storia; e quindi il contratto è in senso ALTO politica. Ecco perché mi sento di dire che non si può avere un legislatore incerto.
Sto ripensando, in senso provocatorio, all’opportunità di una espressa previsione sull’obbligo legale di contrarre.
C’è in sostanza la necessità di edificare una visione che si preoccupi non solo della volontà, ma del risultato voluto. Di converso, si corre il rischio che Scialoja chiamava arbitrio della giurisprudenza.