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Riconoscimento facciale e sorveglianza digitale: il caso di Hong Kong

La rivoluzione deve ancora cominciare, ma il totem è già stato abbattuto. Accade il 24 agosto, a Hong Kong, in un sabato di protesta che segue a molti altri. Nel video, circolato ovunque in rete, ci sono manifestanti vestiti principalmente di nero. Si coprono il volto con maschere e indumenti, quando non bastano gli ombrelli, l’oggetto-simbolo della volontà di interporre uno strato di stoffa tra l’occhio dello Stato e il proprio spazio personale, che è uno dei grandi motori della rivolta. Un ragazzo armeggia con una flex mentre altri, con e senza tiranti, circondano elettrici un palo della luce “intelligente”.

Nella città ne sono previsti 400, di cui 350 in arrivo. Ma per i manifestanti, in lotta col governo cinese per ottenere libertà di pensiero e democrazia, sono l’incarnazione di quello sguardo del potere a cui hanno ben compreso sia indispensabile sfuggire. Perché, dicono, quei pali sarebbero dotati di tecnologie di riconoscimento facciale.

“Quello non è un lampione”, afferma un tweet virale di un manifestante, “è un lampione intelligente dotato di videocamera e tecnologia di riconoscimento facciale. Consentono di sorvegliare Hong Kong, e dunque i manifestanti. Di conseguenza i manifestanti li stanno abbattendo”. “Le informazioni dei cittadini di Hong Kong vengono già estradate in Cina, dobbiamo essere molto preoccupati”, raccontano altri all’ABC. Altro che misurare la qualità dell’aria o l’intensità del traffico, come si limitano a dichiarare le autorità di Hong Kong: quella luce significa essere costantemente monitorati e riconosciuti dagli algoritmi, prima, e dai funzionari, poi, di un regime autoritario. Per questo bisogna proteggersi, celare la propria identità in ogni modo. Per questo quel palo, apparentemente innocuo, va distrutto.

Dall’inizio della protesta contro la nuova legge sull’estradizione, i manifestanti hanno regolarmente preso d’assalto, spray alla mano, telecamere a circuito chiuso, a partire, lo scorso luglio, da quelle fuori dagli edifici governativi. Già allora avevano scelto di coprirsi il volto con mascherine e caschi, usare chat cifrate per comunicare in modo sicuro, chiedere regolarmente: “No photo”. Gli esperti dicono: lasciate a casa i cellulari. È la rivolta dell’era della sorveglianza digitale di massa, la rivolta contro lo “smart” al servizio della repressione. 

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