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Sistemi integrati di servizi digitali: il caso Google-Android

di Mariateresa Maggiolino* Le trasformazioni tecnologiche e i cambiamenti economici incidono profondamente sulle dinamiche competitive e, di conseguenza, non lasciano indifferenti i soggetti che nel mondo si occupano di disciplina della concorrenza.

Così nell’era della rivoluzione digitale e dell’industria 4.0 l’attenzione della Commissione Europea non poteva non appuntarsi sulle piattaforme digitali, come Google.

L’investigazione da ultimo avviata riguarda il mondo della telefonia mobile – un mondo in costante e veloce espansione. Mediamente meno costosi dei personal computers e certamente più maneggevoli, gli smart phones consentono di collegarsi a Internet a chiunque ovunque si trovi. Di più, attraverso le app, gli smart phones offrono servizi personalizzati, esattamente ritagliati sui bisogni di ognuno di noi.

Ma a tutti non sarà sfuggito come Android, il sistema operativo di Google per telefoni cellulari, e le diverse Google App, da Google search, a Gmail, a YouTube, siano tutti software offerti a prezzi nulli, a differenza dei prodotti e servizi offerti da Apple a prezzi ben diversi da zero.

Di conseguenza, viene spontaneo chiedersi come Google possa mantenere un business fiorente a queste condizioni. Ebbene, la risposta non è diversa da quella che siamo già soliti ascoltare: vendendo pubblicità da associare alle app e raccogliendo i dati degli utenti per poi venderli o riutilizzarli al fine di migliorare i suoi prodotti.

Non deve dunque stupire se coloro che, come Google, scelgono di operare all’interno di un sistema aperto e a prezzi nulli mirino ad ampliare sempre di più la base dei propri utenti e, con essa, il numero di occhi disponibili agli inserzionisti, nonché le fonti dei dati.

È in questo complesso contesto che si innesta l’interesse della Commissione per gli accordi – i c.d. MADA – con i quali Google imporrebbe ai produttori di cellulari interessati a utilizzare Android di preinstallare Google Search e il browser Google Chrome e di impostare Google Search come motore di ricerca predefinito sui loro dispositivi.

Inoltre, la Commissione ha deciso di sottoporre a scrutinio anche gli accordi AFA per effetto dei quali i produttori si impegnerebbero a non vendere, nei territori per i quali è stato sottoscritto il MADA, dispositivi che utilizzano varianti di Google Android, c.d. fork.

In particolare, la Commissione teme che tali accordi neghino ai consumatori una scelta più ampia di servizi e di applicazioni mobili e inibiscano l’innovazione degli  agenti economici impossibilitati a ottenere una base utenti paragonabile a quella di Google.

D’altra parte, tra i tanti argomenti sviluppati a sostegno della propria politica, il colosso americano evidenzia come anche in costanza dei suddetti accordi i consumatori siano invero liberi di installare nel corso di qualche minuto altre app e di come gli assetti di default possano essere facilmente modificati.

Ma sarà poi vero che i consumatori non si abituano a quanto trovano già installato sul proprio cellulare? E sarà vero che questi cellulari sono in effetti capaci di contenere, oltre a quanto pre-installato, anche le alternative che i singoli utenti potrebbero voler scaricare?

A questo punto non resta che attendere l’esito dell’indagine europea. Anche in questa circostanza l’esito del procedimento dipenderà dai dati empirici che la Commissione e Google sapranno offrire.

*Professore Università Bocconi

20 dicembre 2016

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