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TikTok e sicurezza nazionale, il governo americano avvia un’indagine
È il momento di TikTok. Il governo americano ha avviato un’indagine per capire se l’applicazione di proprietà della cinese ByteDance costituisce una minaccia per la sicurezza nazionale. Nel mirino c’è l’acquisto di Musical.ly da parte di ByteDance del novembre 2017, per una cifra compresa fra gli 800 milioni e il miliardo di dollari, e la successiva fusione con l’analoga TikTok. Con la possibilità di creare e condividere brevi video musicali in playback, la prima era già molto popolare fra gli adolescenti di Europa e Stati Uniti e la seconda ha goduto del suo traino per superare Facebook, Instagram e Youtube per numero di download (750 milioni negli ultimi 12 mesi, secondo Sensor Tower).
Come riportato da Reuters, il Comitato americano per gli investimenti esteri, che valuta le acquisizioni straniere delle aziende Usa (due anni fa non si era occupato di Musical.ly perché è anch’essa cinese), sta esaminando l’accordo dopo le preoccupazioni espresse dal Congresso. Due, in particolare. Per i senatori Chuck Schumer e Tom Cotton è una potenziale minaccia: «Sebbene dica di memorizzare i dati degli utenti americani negli Stati Uniti, ByteDance è comunque tenuta a rispettare le leggi cinesi». In sostanza, come per i colossi delle telecomunicazioni Huawei o Zte, l’accusa è di consentire lo spionaggio governativo. Il repubblicano Marco Rubio ha invece chiesto di far luce sulla cancellazione di contenuti dall’app, come ad esempio successo con i video delle proteste di Hong Kong, nell’interesse di Pechino.
ByteDance si è difesa promettendo collaborazione al Congresso — «TikTok non ha nessuna priorità più alta di quella di guadagnare la fiducia degli utenti e dei legislatori statunitensi» —, assicurando di non operare alcuna censura su richiesta del suo governo e ricordando che l’app non è attiva in Cina (dove c’è la gemella Douyin) e non lo sarà in futuro. Sui dati, dichiara che vengono gestiti negli Usa con backup a Singapore, che i datacenter sono tutti fuori dalla Cina e che nessuna informazione è soggetta alla legge cinese. Attenzione perché la versione italiana dalla Privacy policy dice: «Conserviamo ed elaboriamo le informazioni negli Stati Uniti, a Singapore, in Giappone o in Cina». Quella americana e quella europea parlano invece solo di una possibile condivisione «con società proprietarie, affiliate o altre affiliate del gruppo». Secondo il New York Times, il governo americano ha già le prove dell’invio dei dati in Cina.
Per il Garante italiano per la Privacy Antonello Soro, sarebbe auspicabile «l’adozione di un Privacy shield europeo (accordo per gli scambi di dati a scopo commerciale, ndr) con la Cina, come quello che abbiamo con gli Stati Uniti o con il Giappone. Penso si debba insistere e che, oltre alle autorità, siano i governi a doversene fare carico».
Fonte: Corriere della Sera