La Corte di giustizia dell’Unione europea è intervenuta in merito a una questione sollevata dalla…
“Documenti informatici e firme elettroniche nell’attività di impresa”. Intervista al Prof. Matteo Rescigno

Dal 1 ottobre 2011 Professore ordinario di diritto commerciale progredito presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Milano. Componente, nel 1999-2000, della Commissione per la Riforma del Diritto
Commerciale presso il Ministero della Giustizia e componente del comitato di direzione della rivista ”Analisi giuridica
dell’economia”, e del comitato di redazione della rivista “Banca, Borsa e Titoli di credito”.
Il Prof. Avv. Matteo Rescigno
Approfondendo il Suo intervento durante il convegno di presentazione dell’omonimo quaderno “Documenti informatici e firme elettroniche nell’attività di impresa”, qual è a Suo avviso nell’attuale quadro normativo il sistema di regole che disciplinano le firme e i documenti elettronici nell’attività d’impresa?
Il sistema di regole che presiedono alla disciplina dei documenti informatici e delle firme elettronica, con particolare riguardo all’attività di impresa, ha conosciuto una costante evoluzione, sia in sede regolamentare, sia nella costante elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale.
In questo quadro si collocano come scelta di vertice: (i) il principio generale della non discriminazione della firma elettronica rispetto a quella non elettronica e (ii) il principio generale della non discriminazione della firma elettronica non qualificata rispetto a quella qualificata. Per quanto spetti al diritto nazionale definire gli effetti giuridici delle firme elettroniche, una firma elettronica dovrebbe avere un effetto giuridico equivalente a quello di una firma autografa.
In collegamento con questo principio si pone anche quello di neutralità tecnologica il quale impone di non avvantaggiare una tecnologia in base alle norme, così da non condizionare il mercato andando a favorire un modello diversamente ad un altro.
Ciò posto le regole di maggior interesse riguardano il tema dell’efficacia sostanziale e probatoria dei documenti informatici. Senza voler tratteggiare le caratteristiche dei modelli di firma elettronica, la distinzione di base è quella fra firme elettroniche forti (firma elettronica avanzata, firma elettronica qualificata, firma digitare e firma con Spid) e la firma elettronica debole (firma elettronica semplice).
La traduzione giuridica di tale distinzione ha diverse declinazioni e gradazioni.
La normativa infatti prevede che mentre la firma elettronica qualificata e quella digitale possono essere utilizzate per sottoscrivere validamente tutti gli atti che devono farsi per iscritto a pena di nullità ai sensi dell’art. 1350 c.c., la firma avanzata e quella con SPID possono essere utilizzate “solo” per firmare gli atti di cui al n. 13 della norma in questione (si è detto che la firma elettronica qualificata e quella digitale siano firme addirittura “fortissime”. Tuttavia questa scelta – come si evidenza nel Quaderno sopra richiamato – potrebbe apparire non coerente con le regole generali sulla funzione della forma scritta. Se l’art. 1350, come si afferma pacificamente, mira – con la forma scritta – a invitare le parti a maggior attenzione nella stipulazione di un contratto, la distinzione fra firme forti o fortissime non sembra marcare una differenza significativa nel procedimento di formazione della volontà. Correttamente allora si è rilevato che la scelta di escludere la firma elettronica avanzata con riguardo ai primi dodici atti ex art. 1350 c.c. sia più che altro riconducibile ad un atteggiamento paternalistico del legislatore, giustificato dalla necessità di tutelare il cittadino dal rischio di concludere elettronicamente, con la firma meno sicura, atti o contratti (elettronici) di particolare rilevanza. Il che però sembra evidenziare una residua e anacronistica diffidenza sulla firma elettronica nelle sue declinazioni.
Altro profilo normativo di rilievo riguarda il dato oggettivo per cui le firme elettroniche non possono, a differenza della firma autografa assolvere alla tradizionale funzione probatoria attribuita alla sottoscrizione autografa. Infatti, a differenza della firma autografa, la firma elettronica non è mai in grado di fornire in sé la prova dell’identità del firmatario. E significativamente il legislatore ha introdotto una presunzione (relativa) di riconducibilità dell’uso del dispositivo di firma (qualificata e digitale) al suo titolare. Ne viene anche che la firma elettronica più sicura, e cioè la firma digitale (che prima si è definita, appunto, “fortissima”) non può mai essere falsa, ma, se mai, apposta abusivamente. In materia di firme elettroniche, dunque, il piano dell’analisi non è più, come per le firme autografe, quello della falsità, bensì, se mai, quello della abusività.
Infine, tema giuridicamente molto rilevante riguarda le regole che, con riferimento alla loro efficacia probatoria, concernono i documenti informatici non sottoscritti (p.es. le e-mail o la pagine web) Si discute se essi siano riconducibili alle “riproduzioni informatiche” ai sensi dell’art. 2712 c.c., con conseguente applicazione del “principio della piena prova salvo disconoscimento” oppure se essi rientrino fra i “documenti informatici” ai sensi dell’art. 20, comma 1-bis, secondo periodo, cad, con conseguente applicazione del principio della libera valutazione da parte del giudice. In un quadro non chiaro, da un lato, sembra ragionevole distinguere i documenti dichiarativi – e cioè che realizzano una dichiarazione – e non dichiarativi che riproducono una dichiarazione o rappresentano un fatto diverso da una dichiarazione. Si osserva nel Quaderno qualora il documento in questione sia un documento dichiarativo (come una e-mail), esso, anche se non sottoscritto, rientrerà nell’ambito del principio della libera valutazione del giudice. Qualora, invece, il documento in questione non sia un documento dichiarativo, esso sarà da considerarsi una riproduzione informatica ai sensi dell’art. 2712 c.c.
Questa riflessione conduce anche a segnalare che il libero apprezzamento del giudice dovrebbe tener conto delle caratteristiche del documento non sottoscritto nel valutarne la capacità probatoria.
Invece per quanto riguarda la conservazione, la circolazione e la formulazione dei documenti elettronici nel dialogo tra l’operatore economico e la controparte digitale, quali sono le più rilevanti esigenze delle imprese?
I documenti elettronici hanno, ovviamente un sistema di conservazione e circolazione del tutto differente rispetto ai documenti cartacei.
Il Quaderno ricostruisce, anche dal punto di vista normativo, il processo di conservazione dei documenti informatici, che non riguarda esclusivamente la memorizzazione su supporti informatici di tali documenti, ma più in generale tutte le tecniche, le regole e le procedure che consentono, da un lato, di preservare nel tempo l’autenticità e l’integrità dei documenti informatici e, dall’altro lato, di consentirne l’accessibilità e la reperibilità, facilitandone, se del caso, anche la collocazione nel contesto di riferimento. La conservazione è strettamente collegata al tema della dematerializzazione in via originaria o quale trasposizione informatica di un documento originale analogico (c.d. copia informatica). In entrambi casi si pone il problema di conservare il documento informatico così formato nel tempo.
In via generale atti e documenti relativi all’attività di impresa (come libri sociali, scritture contabili etc.), possono essere formati e conservati sia con modalità tradizionali (i.e., su supporti cartacei) sia con modalità informatiche con scelta rimessa agli amministratori della società, salvo il caso in cui la legge non prescriva una specifica modalità (es. la modalità elettronica, nel caso della fatturazione).
Peraltro la disciplina della conservazione di documenti informatici successivamente alla loro formazione si occupa delle apposite regole, fra le quali si segnalano le linee guida adottate dall’AgID (Agenzia per l’Italia Digitale), dettate anzitutto con riferimento alle amministrazioni pubbliche.
Uno dei temi più rilevanti riguarda il dovere degli amministratori della conservazione dei documenti informatici. Il tema fa parte del più vasto settore della adeguatezza degli assetti organizzativi amministrativi e contabili dell’impresa. Il che si traduce nella predisposizione di procedure e tecniche di conservazione dei documenti, ivi compresa la possibilità di affidarsi a un conservatore esterno: e nuovamente questo tema trova specifica disciplina in sede di AgID. Ne viene che, nelle imprese societarie, l’organo amministrativo pare chiamato a predisporre gli assetti relativi al sistema di conservazione e a valutarne l’adeguatezza, mentre all’organo di controllo spetta il compito di controllarne l’adeguatezza.
In questo ambito – fermo restando il criterio di proporzionalità – l’organo amministrativo dovrebbe effettuare tale scelta valutando l’opportunità della dematerializzazione, nonché le modalità di conservazione dei documenti informatici, anche alla luce della sussistenza di particolari rischi tecnologici che si pongono qualora l’oggetto della conservazione sia un documento informatico (es. il rischio di inaccessibilità della documentazione per obsolescenza dell’hardware/dei supporti tecnologici impiegati; rischi di malfunzionamento dei server; rischi di hackeraggio o di alterazione del documento successivamente alla sua formazione; rischi relativi alla limitata validità temporale delle firme elettroniche; etc.)
Quanto al tema della circolazione dei documenti informatici, ossia delle modalità di trasmissione dei medesimi al fine di assicurarne la conoscibilità assume precipuo rilievo il tema della posta elettronica certificata (PEC) il Quaderno evidenzia il ruolo della PEC quale strumento utilizzabile per comunicazioni agli effetti di legge, sottolineando in particolare che:
– taluni soggetti (es. coloro che sono iscritti al registro delle imprese) sono obbligati ad avere una PEC quale domicilio digitale da pubblicare in appositi registri;
– l’utilizzo della PEC consente di attestare la spedizione e la ricezione del messaggio. Il gestore del servizio del mittente procede, infatti, a rilasciare, salvo anomalie, la ricevuta di accettazione, che attesta l’avvenuto invio. Il gestore del servizio del destinatario provvede, invece, al rilascio della ricevuta di avvenuta consegna, da cui dipende l’operatività della presunzione di conoscenza ex art. 1335 c.c.
L’utilizzo della PEC presenta comunque alcuni profili problematici tuttora aperti. È, ad esempio, controverso in giurisprudenza se la presunzione di conoscenza prima richiamata possa operare anche nel caso in cui il messaggio non sia stato recapitato al destinatario in ragione della “casella piena” per fatto a lui imputabile.
a cura di
Valeria Montani