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Bellezza, diritto e intelligenza artificiale: nuove sfide per l’arte digitale. Intervista alla Prof.ssa Cira Grippa

Cira Grippa è ricercatrice di Diritto commerciale nel Dipartimento Jonico in “Sistemi giuridici ed economici del Mediterraneo: società, ambiente, culture”, dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro, sede di Taranto.

È docente di Diritto delle imprese e di Diritto commerciale delle Nuove Tecnologie nei corsi di studio di Giurisprudenza e di Scienze giuridiche dell’immigrazione, i diritti umani e l’interculturalità del Dipartimento Jonico e Coordinatrice dell’unità di ricerca dell’Università degli Studi di Bari nell’ambito del PRIN PNRR 2022 “Il diritto alla bellezza tra istanze di protezione e inclusione”.

L’intervista alla Prof.ssa Cira Grippa si inserisce nel convegno “Diritto alla bellezza e innovazione tecnologica: l’arte alla prova dell’intelligenza artificiale”, svoltosi il 7 maggio 2025 presso il Dipartimento Jonico dell’Università di Bari. L’incontro rientra nell’ambito del PRIN PNRR 2022 Il diritto alla bellezza tra istanze di protezione e inclusione, coordinato dal Prof. Fabio Dell’Aversana, responsabile scientifico del progetto e docente presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli. Il convegno ha approfondito le implicazioni giuridiche, estetiche e culturali dell’intelligenza artificiale applicata all’arte, offrendo una riflessione sui nuovi paradigmi creativi e sulle sfide legate alla tutela delle opere digitali.

La Prof.ssa Cira Grippa

 

Professoressa Grippa, nel Suo intervento introduttivo ha posto l’accento sul “senso del bello nell’era digitale”: quali riflessioni sono emerse durante il convegno riguardo al cambiamento della percezione estetica nella società tecnologica contemporanea?

I sorprendenti sviluppi dell’innovazione tecnologica stanno promuovendo e determinando una nuova cultura della “bellezza”, reinterpretandone i canoni, di già difficile ritrovamento e interpretazione e rinnovandone la percezione. Della materia si è occupata la neuroestetica che, qualificando la bellezza un’esperienza astratta, ha sondato la relazione tra la percezione del bello, la sua elaborazione emotiva da parte dell’individuo e l’input visivo derivante dall’utilizzo e fruizione delle tecnologie digitali.

Di fatto, il settore dell’arte, intesa qui discrezionalmente come forma di produzione del bello, è un formidabile e privilegiato laboratorio di innovazione tecnologica, di sperimentazione e contaminazione di pratiche e saperi.

Il settore dell’arte si confronta con le opportunità offerte dal mondo digitale, dalla robotica, dall’intelligenza artificiale, dalla combinazione della robotica con l’intelligenza artificiale. Gli

artisti contemporanei esplorano la bellezza in modi che sfidano i canoni tradizionali della creazione artistica, favorendo esperienze che contribuiscono all’innovazione del sistema culturale e che rendono il concetto di bellezza ancora più complesso e sfaccettato.

L’affermazione e la diffusione di nuovi strumenti tecnologici e di nuove prassi determinano e allo stesso tempo riflettono il cambiamento nel nostro modo di interpretare l’arte, attestano una diversa sensibilità e promuovono un approccio interattivo con ciò che può essere inteso espressione del “bello”, e che contribuisce a stabilire nuove situazioni di soddisfazione sensoriale, comunque ascrivibili alla ricerca del benessere di ognuno.

Il ricorso alle nuove tecnologie da parte dell’artista o la tecnologia stessa che “fa” arte (fenomeno cosiddetto della computer generated art) rappresentano situazioni che riguardando i temi delle nuove modalità di creazione delle opere segnano un’importante fase storica di rinnovamento per l’arte e richiedono l’elaborazione di nuovi canoni di interpretazione dell’arte, connessi allo sviluppo di nuovi canoni di creazione dell’arte.

Le opere AI-generated segnano un passaggio dalla “intelligenza delle mani” dell’artista all’intelligenza artificiale. La rottura rispetto agli schemi tradizionali di creazione artistica è determinata da una serie di possibili ragioni: la sperimentazione pura; la ricerca del virtuosismo tecnico in grado di creare un abbaglio estetico; la mera prova di simulazione o di replicabilità della creatività umana; i tentativi di  fusione tra le competenze scientifiche della robotica, l’intelligenza artificiale e le velleità/competenze artistiche dei tecnici.

In un quadro molto ampio di fenomeni legati al settore artistico, il dialogo aperto e continuo dell’arte con l’innovazione tecnologica determina un cambiamento della percezione estetica ma anche un cambiamento della considerazione dell’opera, dell’artista e, quindi, in ultimo, dell’arte stessa. E ciò di riflesso rispetto alla considerazione del momento storico che viviamo, attraversato dal movimento del “transumanesimo”, nella prospettiva, secondo alcuni distopica, di un’evoluzione inorganica della specie umana, cui è sottesa la riflessione del rapporto tra uomo e macchina, nel quale è in gioco l’ambito e la misura della creatività umana.

Probabilmente l’apprezzamento della complessità di tali problematiche è dipendente dalla narrazione che si vuole assumere (e cui si vuol partecipare) circa i temi delle opportunità e vantaggi vs rischi e danni connessi all’utilizzo delle nuove tecnologie (in special modo dell’intelligenza artificiale). L’arte può essere parziale ma significativa espressione di tali narrative.

 

Il convegno ha proposto una visione multidisciplinare tra diritto, filosofia e arte. Quanto è emersa, secondo Lei, la necessità di un dialogo stabile tra queste discipline per affrontare le sfide poste dall’Intelligenza Artificiale nel campo artistico?  

L’assunto fondamentale che ha favorito il dibattito nel convegno è che l’innovazione tecnologica non costituisca solo un accadimento tecnico-scientifico, ma, piuttosto, un processo sociale di sorprendenti dinamicità, complessità e struttura.

L’arte alla “prova” dell’intelligenza artificiale, nello specifico, è un tema suggestivo di grande attualità sul quale, sempre più, stanno ragionando, insieme, giuristi, filosofi, esperti di robotica e intelligenza artificiale e studiosi delle discipline legate al mondo delle arti e dello spettacolo, oltre che istituzioni e organizzazioni dedite alla conservazione, alla valorizzazione e alla tutela del patrimonio culturale.

Ciò conferma la necessità di dialogo tra diverse discipline che convergono sul tentativo di analisi, comprensione, interpretazione di un fenomeno, quello dell’arte, intimamente connesso all’uomo e alle molteplici forme di intuizione della sua coscienza.

La domanda secca che ci si pone è se la produzione non umana di arte possa essere considerata arte o piuttosto un “prodotto” derivato dalle conoscenze e dalle elaborazioni della macchina ma determinate dall’input dell’uomo, così riducendo l’AI generated art a nuova tecnica di produzione di oggetti ed elaborati.

Filosofia e diritto sono chiamati ad impostare il dialogo multidisciplinare evocato nel convegno assumendo l’arte ora come interlocutrice ora come materia di confronto e connessione. Come noto è fondamentale, se non primario, il contributo che la filosofia ha reso sulla sintesi del rapporto tra arte e bellezza, soprattutto nel ritrovamento di un valore autonomo del “bello” meritevole di una riflessione teorica specifica, sempre coinvolta dalla centralità dell’uomo e dalle sue prerogative in termini di creatività e ispirazione.

Il diritto si inserisce con metodo e rigore nella comprensione dei fenomeni e nella rivisitazione tecnica dei processi ordinamentali, reagisce agli avvenimenti e, al contempo, ne formula la possibile prevenzione, come è chiamato a fare con riguardo ai temi implicati dalla trattazione del rapporto tra arte e intelligenza artificiale, sui suoi sviluppi, sul ruolo che l’intelligenza artificiale rivestirà nella società.

 

 Nel corso dei lavori si è parlato molto di opere algoritmiche e Intelligenza Artificiale generativa: quali sono stati, a Suo avviso, i contributi più significativi emersi in merito alla tutela giuridica di queste nuove forme di creazione?

La creazione di un’opera da parte dell’intelligenza artificiale si inserisce anzitutto nel contesto ampio e pervasivo dell’impatto dell’intelligenza artificiale con l’uomo e con la sua dimensione privata, sociale e lavorativa, mentre pende l’interrogativo sul suo ruolo, se la stessa costituisca un arricchimento per l’umanità o, piuttosto, un impoverimento delle nostre capacità, o, ancora, un rischio esistenziale, considerato che è sempre più ampio l’insieme di funzioni che possono essere espletate dalle tecnologie intelligenti come le decisioni automatizzate (ad esempio, tra tante, nella valutazione dell’affidabilità di un cliente nella richiesta di un finanziamento), il controllo negli ambienti di lavoro e negli spazi pubblici, il riconoscimento biometrico, la predizione sui comportamenti dei singoli o di gruppi di individui, la guida autonoma dei veicoli e, in genere, il governo delle macchine-robot.

La questione specifica della titolarità dei diritti di proprietà intellettuale sulle opere dell’ingegno prodotte “autonomamente” dall’intelligenza artificiale divide la dottrina: rimane centrale la verifica del contributo umano e della sua entità nel processo creativo.

Il diritto d’autore protegge l’opera in ragione della creatività dell’apporto umano che soddisfa gli standard di novità e originalità, ma nel dinamico e fluido panorama dell’intelligenza artificiale generativa, ci troviamo davanti a una tecnologia che sta ridefinendo le frontiere della creatività e dell’innovazione e che dovrà necessariamente argomentare sugli spazi di tutela delle opere generate dall’intelligenza artificiale e riconoscere, con una certa forzatura, o quantomeno in una prospettiva ancora tutta da argomentare, una sorta di “personalità artistica” della macchina.

A monte dell’attribuzione e del riconoscimento della qualità di autore in capo all’intelligenza artificiale, bisognerà probabilmente impegnare una riflessione su alcuni temi che precorrono la possibile soluzione giuridica e che riguardano il rapporto circolare tra il concetto di creatività e IA, tra il concetto di autenticità e le opere artistiche dell’IA, tra il concetto stesso di arte e intelligenza artificiale. E a tale ultimo proposito avanzare l’ipotesi che le opere prodotte dai sistemi di intelligenza artificiale siano espressione di un’arte “derivata” rispetto alla quale è necessaria la considerazione delle concrete modalità attraverso cui si esplicano i processi creativi dell’intelligenza artificiale.

L’opera algoritmica sarebbe, in tal senso, il risultato, il prodotto di uno sdoppiamento: l’uomo rimarrebbe l’artefices (in quanto imputa i dati, quantomeno quelli iniziali) e la macchina elabora la creazione, “simulando” una intuizione.

La disciplina della proprietà intellettuale tutela l’opera che rivela carattere creativo, o l’invenzione che non risulti in modo evidente dallo stato della tecnica. Secondo un principio ricordato da Umberto Eco nella sua Combinatoria della creatività, nessun prodotto o risultato, per quanto creativo, può mai essere considerato nuovo o originale in senso assoluto.

La creatività è, in sostanza, ars combinatoria, per cui qualsiasi processo definito creativo richiede sempre manipolazione e la combinazione, appunto, di elementi materiali o concettuali preesistenti. Nulla di più vero con riferimento al funzionamento dell’intelligenza artificiale che richiede tipicamente l’accesso a e l’utilizzo di enormi quantità di dati che alimentano gli algoritmi. E allora la computer generated art si rivelerebbe “semplicemente” una particolare tecnica di produzione di opere, una forma di ars combinatoria, in una prospettiva di ricostruzione del fenomeno che sposta l’attenzione sulla fattura dell’opera e sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale come parte integrante del processo creativo. In questa prospettiva (riduzionista), l’intelligenza artificiale avrebbe un ruolo meramente complementare, in quanto la stessa non sarebbe in grado di generare arte, ma solo di riprodurla.

Le domande sottese alle manifestazioni dell’arte creata dall’intelligenza artificiale riguardano, quindi, la qualità dell’opera generata, se, e in quali termini, “nuova” o derivata perché frutto di un processo di rielaborazioni di dati; e il ruolo della macchina, se mero strumento di lavoro dell’uomo o “soggetto” creatore autonomo e indipendente dall’uomo (e quindi dal suo creatore).

La sembianza di creazioni intellettuali delle opere generate dall’intelligenza artificiale richiama un critico confronto con l’intero sistema antropocentrico della proprietà intellettuale, che, a questo punto, dovrebbe essere sovvertito nei suoi principi e nella sua interpretazione sulla base di un “approccio formale e oggettivo” che accordi la protezione autoriale alle creazioni algoritmiche.

In verità, l’intelligenza artificiale propone, nella sua attività di “produzione artistica”, un duplice ordine di problemi: il primo, già individuato, della tutela delle sue “opere” (così come delle sue “invenzioni”); il secondo riguardante, invece, la tutela di tutto il patrimonio di opere al quale i sistemi di intelligenza artificiale attingono e dal quale apprendono.

Ma la trattazione di tali tematiche esige la verifica e la “misura” della creatività autonoma delle opere dell’intelligenza artificiale, così come una possibile riflessione sul significato dei termini “creazione” e “generazione”, quest’ultimo richiamato nella definizione di AI generated art.

Precisamente, infatti l’atto della creazione è un atto che si richiama al singolo individuo, alle sue specifiche capacità, innate e non, e, in questo senso, la creatività sarebbe prerogativa assoluta dell’uomo, mentre il “generare” richiama sempre ad una dimensione relazionale. Nel nostro caso di specie, appunto, la relazione uomo-macchina.

 

Il tema dei non fungible token (NFT) e della digitalizzazione delle opere ha suscitato un forte interesse. Che tipo di prospettive sono state delineate durante il convegno in merito alla valorizzazione e protezione del patrimonio culturale digitale?

Un forte impulso alla considerazione di tutte le esperienze che segnalano una prospettiva di sviluppo delle tecniche giuridiche di protezione dei beni oggetto di privativa deriva propriamente dalle nuove modalità di creazione e circolazione del “bello” testimoniate, anzitutto, dai non fungible token, divenuti, tra l’altro, sinonimo di arte digitale o di crypto-arte e molto noto nel settore del collezionismo.

La crypto-arte attinge dagli ambiti più complessi ed evoluti dell’innovazione tecnologica, dall’informatica alla crittografia, dai Big data all’intelligenza artificiale e in termini descrittivi e immediati costituisce la risultante dei processi di digitalizzazione di un’opera fisica o anche di creazione di un’opera digitale. Per questo essa non può essere compresa senza il riferimento agli “elementi” che ne caratterizzano l’essenza e la consistenza, ovvero, appunto, la tecnologia blockchain, ma anche, appunto,  i non fungible token e gli smart contract.

Come noto, i non fungible token sono una particolare tipologia di asset, la cui affermazione e diffusione contribuiscono a riflettere il cambiamento nel nostro modo di interpretare l’arte, determinato dall’utilizzo delle nuove tecnologie e attestato da una diversa sensibilità e da un approccio interattivo con ciò che può essere inteso espressione del “bello”.

Da un punto di vista meramente descrittivo il non fungible token è un contenitore digitale, un file,  che conserva l’immagine di un’opera che viene registrata in una piattaforma e che diventa una sorta di certificato di autenticità digitale del bene che resta unico e diventa trasmissibile. La creazione di un non fungible token da parte dell’artista si svolge direttamente sulla blockchain e dall’analisi delle piattaforme di cripto-arte, che denotano un vivo interesse e una maggiore accessibilità agli investimenti in beni artistici, è poi possibile individuare il mercato delle opere d’arte tokenizzate, ovvero dei non fungible token che rappresentano, anche in via frazionaria, un’opera d’arte fisica sottostante; e il mercato delle cripto-opere d’arte, ovvero dei non fungible token rappresentativi di un’opera essa stessa nativa digitale.

Da un punto di vista strettamente giuridico si evidenziano come insoluti quesiti basilari e rilevanti, ovvero quale sia il significato stesso del possesso di un’opera fisica o nativa digitale rappresentata dal non fungible token, del suo valore di scambio e della sua circolazione. Anche in una prospettiva, affatto marginale, che vede operativamente convergere, per poi divergere sul piano degli interessi, figure molteplici e di varia natura, ovvero autori/artisti, fruitori dell’opera d’arte, collezionisti e anche investitori.

Di rilevante importanza è la prospettiva della dimensione in cui matura l’esperienza di acquisto del non fungible token, che è cosa ben diversa dall’acquisto dell’opera d’arte in sé, “solo” virtualmente rappresentata dal non fungible token. Non è, infatti, la proprietà dell’opera che muoverebbe l’acquirente (fruitore/collezionista), ma la titolarità di un “diritto di vantarsi” (bragging right), ovvero il diritto, assicurato dal non fungible token acquistato, di riconoscersi proprietario non di un bene fisico ma di un certificato di proprietà digitale dell’opera.

In termini più generali, l’intero fenomeno dei non fungible token si connette a quello della digitalizzazione delle opere d’arte che può incrementare le attività culturali di formazione, di didattica, di conservazione e accesso al patrimonio culturale artistico, alla fruizione delle esposizioni museali e può innescare un circolo virtuoso di apprezzamento e godimento dell’arte in tutte le sue manifestazioni, appagando il piacere estetico di una platea sempre più ampia di soggetti che sperimentano e apprezzano la dimensione virtuale dell’arte.

 

Guardando al futuro, quali sono, secondo Lei, i principali spunti emersi dal convegno di Taranto che potrebbero orientare la ricerca giuridica e istituzionale nel campo della bellezza digitale e dell’arte tecnologica?

La ricerca deve rispondere alla necessità di interpretazione e misurazione dell’impatto dell’innovazione tecnologica sull’arte e, per tal via, in termini più generali,  sulla tutela del patrimonio artistico-culturale, ciò presupponendo una riflessione condivisa sul significato etico ed estetico delle tecniche creative digitali e delle opere algoritmiche, rispetto alle quali è incerta la natura, l’identificabilità, il valore, la tutela.

Tali direttrici di ricerca contribuiscono non solo a risistemare l’area tematica su cui insistono gli istituti della proprietà intellettuale e del diritto d’autore, ma anche ad assicurare la protezione del diritto alla bellezza e la promozione di un modello culturale inclusivo favorito dall’apprezzamento e godimento dell’arte in tutte le sue possibili manifestazioni.

Ne è esemplificazione la fruizione virtuale delle opere d’arte digitalizzate che aumenta la visibilità delle opere, la valenza comunicativa e la loro riconoscibilità, favorendo la diffusione e la globalizzazione dei contenuti culturali e attivando un processo che potremmo definire di moltiplicazione di bellezza.

 

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