Massimo Proto, Ordinario di Diritto privato, è di ruolo presso l’Università degli Studi Link…
Danno da perdita della vita: la pronuncia delle Sezioni Unite
Cass. SS.UU. 22.07.2015 n. 15350 di Monica La Pietra 1. Danno da perdita della vita e danno catastrofale. Le sezioni unite si pronunciano sulla risarcibilità iure hereditatis del danno da perdita della vita, immediatamente conseguente alle lesioni derivanti da un fatto illecito[1]. La Corte precisa, innanzitutto, che esulano dal tema oggetto della rimessione le questioni relative al risarcimento dei danni derivanti dalla morte che segua alle lesioni dopo un apprezzabile lasso di tempo. Viene, infatti, sottolineata l’assenza di un contrasto nella giurisprudenza della Corte[2] sul diritto iure hereditatis al risarcimento dei danni che si verificano nel periodo che va dal momento in cui sono provocate le lesioni a quello della morte conseguente alle lesioni stesse, diritto che si acquisisce al patrimonio del danneggiato e quindi è suscettibile di trasmissione agli eredi. Con riferimento a tali fattispecie si registra , negli orientamenti giurisprudenziali, una distinzione che riguarda la qualificazione ai fini della liquidazione del danno da risarcire, che da alcune pronunce è indicato come “danno biologico terminale”[3] e da altre viene classificato come danno “catastrofale”, con riferimento alla sofferenza provata dalla vittima nella cosciente attesa della morte seguita dopo apprezzabile lasso di tempo dalle lesioni. Il danno “catastrofale”, inoltre, per alcune decisioni, ha natura di danno morale soggettivo [4] e per altre, di danno biologico psichico [5]. Per le Sezioni Unite, tuttavia, tali incertezze non creano differenze rilevanti sul piano concreto della liquidazione dei danni, in quanto anche in caso di utilizzazione delle tabelle di liquidazione del danno biologico psichico dovrà procedersi alla massima personalizzazione per adeguare il risarcimento alle peculiarità del caso concreto, con risultati sostanzialmente non lontani da quelli raggiungibili con l’utilizzazione del criterio equitativo puro utilizzato per la liquidazione del danno morale. 2. Il contrasto giurisprudenziale sulla risarcibilità del danno da perdita della vita. Con riferimento al caso di morte immediata o che segua entro brevissimo lasso di tempo alle lesioni si è venuto a creare, invece, un contrasto consapevole tra il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, che ritiene non possa essere invocato un diritto al risarcimento del danno iure hereditatis e la sentenza n. 1361 del 2014. L’orientamento risalente è racchiuso in una pronuncia della Cassazione a sezioni unite del 1925, secondo cui «se è alla lesione che si rapportano i danni, questi entrano e possono logicamente entrare nel patrimonio del lesionato solo in quanto e fin quando il medesimo sia in vita. Questo spentosi, cessa anche la capacità di acquistare, che presuppone appunto e necessariamente l’esistenza di un subbietto di diritto»[6]. Tale soluzione interpretativa si è poi mantenuta costante nella giurisprudenza della Suprema Corte [7] e ha trovato autorevole conferma nella sentenza della Corte costituzionale n. 372 del 1994 [8] e nella più recente sentenza delle sezioni unite n. 26972 del 2008[9]. Solo nel 2014 con la sentenza n. 1361[10] la terza sezione della Corte di Cassazione ha mutato orientamento, affermando che il danno da perdita della vita, diverso dal danno alla salute, come pure dal danno biologico terminale e dal danno morale terminale, cd. catastrofale o catastrofico, rileva ex se, nella sua oggettività di perdita del bene principale dell’uomo, a prescindere dalla consapevolezza che il danno ne abbia. Secondo la pronuncia citata, il risarcimento del danno non patrimoniale da perdita della vita, bene supremo dell’individuo e oggetto di un diritto assoluto e inviolabile, va garantito dall’ordinamento in via primaria anche sul piano della tutela civile. Esso rileva a prescindere dalla consapevolezza che il danneggiato ne abbia avuto, dovendo ricevere ristoro anche in caso di morte cd. immediata o istantanea, senza che assumano rilievo né la persistenza in vita della vittima per un apprezzabile lasso di tempo, né l’intensità della sofferenza dalla stessa subita per la cosciente e lucida percezione dell’ineluttabilità della propria fine. Per la Cassazione del 2014, il danno da perdita della vita viene acquisito dalla vittima immediatamente al momento della lesione mortale e, quindi, anteriormente al decesso e ha funzione compensativa, così che il relativo credito è trasmissibile iure hereditatis. 3. Le sezioni unite confermano l’orientamento tradizionale. Le sezioni unite, chiamate a comporre il contrasto, non seguono l’interpretazione della terza sezione e aderiscono all’orientamento tradizionale, ritenendo non vi siano ragioni convincenti che ne giustifichino il superamento. Per la Corte, la sentenza n. 1361 del 2014 non contiene argomentazioni decisive per superare l’orientamento tradizionale, né le contiene la sentenza n. 15760 del 2006[11] che, con affermazione avente natura di obiter dictum, ha auspicato che sia riconosciuto quale momento costitutivo del credito risarcitorio quello della lesione, indipendentemente dall’intervallo di tempo con l’evento morte causalmente collegato alla lesione stessa, in conformità con orientamenti dottrinari italiani ed europei. Secondo il Supremo Collegio, nel caso di morte cagionata da atto illecito il danno è rappresentato dalla perdita del bene giuridico “vita”, che costituisce bene autonomo, fruibile solo in natura da parte del titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente[12]. Netta è la distinzione tra i due beni, perché la morte non rappresenta la massima offesa possibile del diverso bene “salute”. Inoltre, poiché una perdita, per rappresentare un danno risarcibile, deve essere rapportata a un soggetto che sia legittimato a far valere il credito risarcitorio, nel caso di morte verificatasi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, l’irrisarcibilità deriva dalla assenza di un soggetto al quale, nel momento in cui si verifica, sia collegabile la perdita stessa e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito[13]. L’argomento, ricorda la Corte, è definito dalla dottrina “epicureo”, in quanto riecheggia le affermazioni di Epicuro contenute nella Lettera sulla felicità a Meneceo («Quindi il più temibile dei mali, la morte, non è nulla per noi, perché quando ci siamo noi non c’è la morte, quando c’è la morte non ci siamo più noi. La morte quindi è nulla, per i vivi come per i morti: perché per i vivi essa non c’è ancora, mentre per quanto riguarda i morti, sono essi stessi a non esserci»), compare già nella sentenza delle sezioni unite n. 3475 del 1925 ed è condiviso dalla sentenza della Corte costituzionale n. 372 del 1994 e dalla costante giurisprudenza successiva della Corte di Cassazione. Per la sentenza in commento risulta priva di pregio anche l’obiezione secondo cui la negazione di un credito risarcitorio della vittima trasmissibile agli eredi per la perdita della vita, seguita immediatamente o a brevissima distanza di tempo dalle lesioni subite, si porrebbe in contrasto con il comune sentire sociale. Ed invero, secondo il Supremo Collegio, la circostanza che la vita sia un bene meritevole di tutela nell’interesse della intera collettività giustifica e anzi impone che sia prevista la sanzione penale, la cui funzione peculiare è appunto quella di soddisfare esigenze punitive e di prevenzione generale della collettività nel suo complesso, senza escludere il diritto ex art. 185, 2° comma c.p. al risarcimento dei danni in favore dei soggetti direttamente lesi dal reato, ma «non impone necessariamente anche il riconoscimento della tutela risarcitoria». Le sezioni unite superano anche l’argomento definito in dottrina ”è più conveniente uccidere che ferire”, secondo cui sarebbe contraddittorio concedere onerosi risarcimenti dei danni derivanti da lesioni gravissime e negarli del tutto nel caso di illecita privazione della vita, con ciò contraddicendo sia il principio della necessaria integralità del risarcimento, sia la funzione deterrente che dovrebbe essere riconosciuta al sistema della responsabilità civile. Il rilievo secondo la Corte è solo suggestivo, non corrispondendo al vero che dall’applicazione della disciplina vigente le conseguenze economiche della privazione della vita siano per l’autore dell’illecito in concreto meno onerose di quelle che derivano dalle lesioni personali, essendo indimostrato che la sola esclusione del credito risarcitorio trasmissibile agli eredi comporti necessariamente una liquidazione dei danni spettanti ai congiunti di entità inferiore. Ma vi è di più; i giudici di legittimità osservano che secondo la giurisprudenza costituzionale il principio dell’integrale risarcibilità di tutti i danni non ha copertura costituzionale[14] e che nessuna norma o principio costituzionale impone al legislatore di prevedere che la tutela penale sia necessariamente accompagnata da forme di risarcimento che prevedano la riparazione per equivalente di ogni perdita derivante da reato, anche quando manchi un soggetto al quale la perdita sia riferibile. Il Supremo Collegio ribadisce che la progressiva autonomia della disciplina della responsabilità civile da quella penale ha comportato l’obliterazione della funzione sanzionatoria e di deterrenza [15] e l’affermarsi della funzione reintegratoria e riparatoria, tanto che si ritiene non delibabile, per contrarietà all’ordine pubblico interno, la sentenza straniera di condanna al risarcimento dei danni cd. “punitivi”[16]. La Corte osserva, poi, che la pronuncia n. 1361 del 2014, pur non contestando il principio pacificamente seguito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui i danni risarcibili sono solo quelli che consistono nelle perdite conseguenza della lesione della situazione giuridica soggettiva e non quelli consistenti nell’evento lesivo, ex se considerato, ha affermato che il credito risarcitorio del danno da perdita della vita si acquisirebbe istantaneamente al momento dell’evento lesivo, ponendosi come eccezione a tale principio della risarcibilità dei soli “danni conseguenza”[17]. Secondo la sentenza in commento l’ipotizzata eccezione alla regola, però, sarebbe di portata tale da vulnerare la stessa attendibilità del principio e, comunque, sarebbe difficilmente conciliabile con lo stesso sistema della responsabilità civile, fondato sulla necessità ai fini risarcitori del verificarsi di una perdita rapportabile a un soggetto. Infine, le Sezioni unite reputano fondato il rigetto della ulteriore domanda risarcitoria avente ad oggetto il danno esistenziale. A tal fine, richiamano le pronunce delle sezioni unite 11 novembre 2008, n. 26972, 26973, 26974 e 26975, secondo cui non sono configurabili, all’interno della categoria generale del danno non patrimoniale, cioè del danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica, autonome sottocategorie di danno. Infatti, ribadisce la Corte, se in essa si ricomprendono i pregiudizi scaturenti dalla lesione di interessi della persona di rango costituzionale, ovvero derivanti da fatti-reato, essi sono già risarcibili ai sensi dell’art. 2059 c.c., interpretato in modo conforme a Costituzione, con la conseguenza che la liquidazione di una ulteriore posta di danno comporterebbe una duplicazione risarcitoria. Viceversa, se per danno esistenziale si intendessero quei pregiudizi non lesivi di diritti inviolabili della persona, tale categoria sarebbe del tutto illegittima, posto che simili pregiudizi non sono risarcibili per effetto del divieto di cui all’art. 2059 c.c. Note [1] Con ordinanza n. 5056 del 4 marzo 2014, in Foro it., 2014, I, 719 ss., la terza sezione civile della Corte di Cassazione aveva rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle sezioni unite, avendo rilevato un contrasto consapevole tra la sentenza n. 1361 del 2014 e il precedente costante e risalente orientamento della giurisprudenza di legittimità. Sul tema in dottrina CARIOTA-FERRARA, Il momento della morte è fuori dalla vita?, in Riv. dir. civ., 1961, I, 138; GENTILE, voce Danno alla persona, in Enc. dir., XI, 1962, 670 s.; DE CUPIS, Il danno 3, II, Milano, 1979, 124; MONATERI, La responsabilità civile, in Trattato di diritto civile, dir. da Sacco, Torino, 1998, 509; PETTI, Il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale della persona, Torino, 1999, 557; BONA, Studio sul danno non patrimoniale, Milano, 2012; CASO, Il bene della vita e la struttura della responsabilità civile, in Foro it., 2014, I, 769. [2] A partire, ricorda la Corte, dalla sentenza Cass. del Regno, Sez. Un., 22 dicembre 1925, n. 3475, in Foro it., 1926, I, 328 ss. [3] Cass. n. 11169 del 1994, in Foro it. 1995, I,1852, con nota di CASO; Cass. n. 12299 del 1995,in Foro it. 1996, I, 3108, con nota di CASO; Cass. n. 4991 del 1996, ine resp. 1997, 41 con nota di NAVARRETTA; Cass n. 1704 del 1997,in . civ. 1997, I, 2841, con nota di COSTANZO; Cass. n. 24 del 2002,in . it. 2002, 1361; Cass. n. 3728 del 2002,in . civ. Mass. 2002, 455; Cass. n. 7632 del 2003, in . it. 2004, 495, con nota di BONA; Cass. n 9620 del 2003,in . civ. Mass. 2003, 6; Cass. n. 11003 del 2003,in Resp. civ. e prev. 2003, 1049, con nota di FACCI; Cass. n. 18305 del 2003,in e resp. 2004, 143, con nota di BONA; Cass. n. 4754 del 2004, in . civ. Mass. 2004, 3; Cass. n. 3549 del 2004, in . civ. 2005, 11, I, 2703, con nota di FLAMMINI; Cass. n. 1877 del 2006, in . civ. Mass. 2006, 1; Cass. n. 9959 del 2006, in . civ. Mass. 2006, 4; Cass. n. 18163 del 2007, in . civ. 2008, 3, I, 689; Cass. n. 21976 del 2007,in Giust. civ. Mass. 2007, 10; Cass. n. 1072 del 2011, in. economia assicur. (dal 2012 Dir. e Fiscalità assicur.) 2012, 1, I, 173. [4] Cass. n. 28423 del 2008, in Arch. giur. circol. e sinistri 2009, 5, 442; Cass. n. 3357 del 2010, in . civ. Mass. 2010, 2, 196; Cass. n. 13672 del 2010, in. famiglia 2011, 3, 1165 (s.m.), con nota di COCUCCIO; Cass. n. 6754 del 2011, in it. 2011, 4, I, 1035; Cass. n. 19133 del 2011,in . giur. circol. e sinistri 2012, 4, 335; Cass. n. 7126 del 2013,in . giur. circol. e sinistri 2013, 6, 603; Cass. n. 13537 del 2014, in it. 2014, 9, I, 2470 (s.m.), con nota di PARDOLESI. [5] Cass. n. 4783 del 2001, in Corriere giuridico 2001, 876, con nota di DE MARZO; Cass. n. 3260 del 2007, in della circolazione e dei sinistri 2008, 1, 46; Cass. n. 26972 del 2008, in . civ. e prev. 2009, 1, 38 (s.m.), con nota di MONATERI; Cass. n. 1072 del 2011, cit. [6] Cass. sez. un. 22 dicembre 1925, n. 3475, cit. [7] ex plurimis Cass. n. 11169 del 1994, cit.; Cass. n. 10628 del 1995, in Dir. economia assicur. (dal 2012 Dir. e Fiscalità assicur.) 1996, 259; Cass. n. 12299 del 1995, cit.; Cass. n. 4991 del 1996, cit.; Cass. n. 3592 del 1997, in . giur. circol. e sinistri 1997, 899; Cass. n. 1704 del 1997, cit.; Cass. n. 9470 del 1997,in Danno e resp. 1998, 46, con nota di PALMIERI; Cass. n. 11439 del 1997, in . civ. Mass. 1997, 2205; Cass. n. 5136 del 1998, in e resp. 1998, 46, con nota di PALMIERI; Cass. 4783 del 2001, cit.; Cass. n. 887 del 2002,in . civ. 2002, I, 589; Cass. n. 517 del 2006, in . civ. Mass. 2006, 1; Cass. n. 15706 del 2010, in padano 2011, 2, I, 215 (s.m.), con nota di SALVADORI; Cass. n. 12236 del 2012, in . civ. Mass. 2012, 7-8, 924; Cass. n. 17320 del 2012, in e Giustizia online 2012, 12 ottobre. [8] Corte costituzionale n. 372 del 1994, in Assicurazioni 1995, II, 49, con nota di GUSSONI; in Giur. it. 1995, I, 406, con nota di JANNARELLI; in Nuova giur. civ. commentata 1995, I, 406, con nota di ZIVIZ, ha escluso la contrarietà a Costituzione dell’interpretazione degli articoli 2043 e 2059 c.c. secondo cui non sono risarcibili iure hereditatis i danni derivanti dalla violazione del diritto alla vita, potendo giustificarsi, sulla base del sistema della responsabilità civile, solo le perdite derivanti dalla violazione del diritto alla salute che si verificano a causa delle lesioni, nel periodo intercorrente tra le stesse e la morte. [9] Cass. sezioni unite n. 26972 del 2008, in Resp. civ. e prev. 2009, 1, 38, con nota di MONATERI; in Riv. it. medicina legale (dal 2012 Riv. it. medicina legale e dir. sanitario) 2009, 2, 451 (s.m.), con nota di BARNI; FIORI; BONA; in Assicurazioni 2008, 4, II, 440 (s.m.), con nota di GUSSONI; ROSSETTI; in . dir. comm. 2009, 4-5-6, II, 43 (s.m.), con nota di SCOTTI. [10] Cass. n. 1361 del 2014, in Foro it. 2014, 3, I, 719 (s.m.), con nota di PALMIERI; PARDOLESI; SIMONE; CASO; MEDICI. Cfr. C.M. BIANCA, La tutela risarcitoria del diritto alla vita: una parola nuova della Cassazione attesa da tempo, in Responsabilità Civile e Previdenza, fasc. 2, 2014, pag. 493. [11] Cass. n. 15760 del 2006, in . giur. circol. e sinistri 2007, 2, 149. [12] Cass. n. 1633 del 2000, in Giust. civ. Mass. 2000, 331; Cass. n. 7632 del 2003, cit; Cass. n. 12253 del 2007, in . giur. circol. e sinistri 2007, 12, 1303. [13] Corte cost. n. 372 del 1994, cit.; Cass. n. 4991 del 1996, cit.; Cass. n. 1704 del 1997, cit.; Cass. n. 2134 del 2000, in Giust. civ. Mass. 2000, 472 ; Cass. n. 517 del 2006, cit.; Cass. n. 6946 del 2007,in Resp. civ. e prev. 2007, 9, 1850 (s.m.), con nota di CHINDEMI; Cass. n. 12253 del 2007, cit. [14] Corte cost. n. 132 del 1985, in Arch. giur. circol. e sinistri 1985, 685, in Vita not. 1985, 709, in Giur. it. 1986, I, 1, 340, in Riv. dir. internaz. 1985, 888; Corte cost. n. 369 del 1996, in it. 1997, I, 2400, con nota di VERDE, in Giur. it. 1997, I, 396; Corte cost. n. 148 del 1999, in . avv. Stato 2000, I, 277, con nota di ARENA, GUIZZI, in Amm. 2000, 16, in . civ. e prev. 2000, 82, con nota di VERZARO. [15] Ex plurimis Cass. n. 1704 del 1997, cit.; Cass. n. 3592 del 1997, cit.; Cass. n. 491 del 1999, Giust. civ. Mass. 1999, 115; Cass. n. 12253 del 2007, cit.; Cass. n. 6754 del 2011, cit. [16] Cass. n. 1183 del 2007, in di Famiglia e delle Persone (Il) 2010, 2, 547 e in italiana 2007, 12, 2724 (s.m.), con nota di TOMARCHIO, afferma che «non sono risarcibili i c.d. danni punitivi, in quanto la loro funzione sanzionatoria contrasta con i principi fondamentali dell’ordinamento interno, che assegna alla responsabilità civile una funzione ripristinatoria della sfera patrimoniale del soggetto leso». Per Cass. n. 1781 del 2012, in it. 2012, 5, I, 1449 (s.m.), con nota di DE HIPPOLYTIS, «nel vigente ordinamento, il diritto al risarcimento del danno conseguente alla lesione di un diritto soggettivo non è riconosciuto con caratteristiche punitive – restando estranea al sistema l’idea della punizione e della sanzione del responsabile civile ed indifferente la valutazione a tal fine della sua condotta – ma in relazione all’effettivo pregiudizio subito dal titolare del diritto leso, non essendo previsto l’arricchimento, se non sussista una causa giustificatrice dello spostamento patrimoniale da un soggetto all’altro. È quindi incompatibile con l’ordinamento italiano l’istituto dei danni punitivo». Cfr. anche Cass. 7613 del 2015, in Giustizia Civile Massimario 2015, secondo cui «le “astreintes” previste in altri ordinamenti (nella specie in quello belga), dirette ad attuare, con il pagamento di una somma crescente con il protrarsi dell’inadempimento, una pressione per propiziare l’adempimento di obblighi non coercibili in forma specifica, sono compatibili con l’ordine pubblico italiano, rinvenendosene nell’ordinamento statale analoghe previsioni, generali e speciali. […] L’astreinte ha una duplice funzione, coercitiva dell’adempimento e sanzionatoria in caso di inadempimento, ma non punitiva quando si aggiunga alla condanna alla consegna di una determinata res e non alla condanna risarcitoria: così, è applicabile, in Italia, il provvedimento emesso dall’Autorità di altro Stato europeo recante tale misura pecuniaria, crescente con la durata della condotta inadempiente». [17] Cfr. C.M. BIANCA, La tutela risarcitoria del diritto alla vita: una parola nuova della Cassazione attesa da tempo, cit., pag. 493: «la sentenza della Terza Sezione non contesta la massima della irrisarcibilità dei danni-eventi, fatta propria dalle sentenze del 2008, ma reputa che essa debba ammettere delle eccezioni. Un’eccezione «imprescindibile» va ravvisata proprio nel danno da perdita della vita in quanto la morte non comporta la perdita di qualche bene della vittima ma la perdita di tutto ciò che la vita racchiudeva. Non si tratta allora di verificare quali conseguenze siano derivate dal danno-evento della morte in quanto la morte pone fine alla vita della persona escludendo qualsiasi effetto ulteriore in cui la vita avrebbe potuto dispiegarsi. È quindi nella perdita della vita che si consuma il danno sofferto dalla vittima. La sentenza della Terza Sezione è basata su un’argomentazione pienamente convincente. A parere di chi scrive essa trova conferma considerando che un’«eccezione» è stata fatta dalla giurisprudenza con riguardo al danno biologico. È infatti certo che i nostri giudici riconoscono il diritto al risarcimento del danno alla persona per il fatto stesso di avere subito una lesione alla sua integrità psicofisica. La plausibile distinzione che si fa tra salute e vita non toglie che si tratta di beni essenziali della persona e che nessuna valida giustificazione può essere addotta per accordare il risarcimento del danno in presenza del fatto stesso della lesione alla salute e negarlo in presenza del fatto stesso della lesione mortale. E dunque: come il fatto stesso di subire una lesione che causa la perdita della salute dà luogo al diritto di risarcimento del danno, allo stesso modo, coerentemente, deve dar luogo al diritto di risarcimento del danno la lesione che causa la perdita della vita».
31 luglio 2015