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Il futuro dell’Intelligenza artificiale, secondo uno dei padri del deep learning

“Vorrei fornire alle macchine una qualche forma di buon senso, visto che oggi sono veramente stupide”. A denigrare le abilità dell’intelligenza artificiale non è una persona qualunque. Anzi, potremmo definirla il suo genitore: Yann LeCun è infatti uno dei tre inventori del deep learning (insieme a Geoff Hinton e Yoshua Bengio, tutti premiati nel 2019 con il Turing Award). Docente alla New York University, Yann LeCun è anche chief scientist di FAIR (Facebook Artificial Intelligence Research), la divisione del social network dedicata alla ricerca nel campo dell’intelligenza artificiale.
Non dovrebbe sorprendere che anche il suo inventore consideri stupida l’intelligenza artificiale. Nonostante gli straordinari risultati ottenuti (tra cui l’emblematica vittoria contro il campione mondiale di Go), come altro definireste una macchina che ha bisogno di visualizzare centinaia di migliaia di gatti per imparare a riconoscerne uno, quando a un bambino di quattro anni basta vederne un paio? Il punto, allora, è capire come le AI possano fare il prossimo passo sulla scala evolutiva.
Ed è proprio ciò su cui Yann LeCun sta lavorando: “Anche se in alcune aree è capace di performance superumane, l’apprendimento supervisionato (il metodo usato oggi per addestrare la maggior parte degli algoritmi di deep learning, nda) ha dei limiti: bisogna usare un sacco di dati, bisogna indicare alla macchina quando sta sbagliando e ci saranno comunque dei punti ciechi che la porteranno a commettere degli errori”, racconta lo scienziato francese a Esquire, durante un incontro a Parigi organizzato da Facebook. “Geoff, Yoshua ed io siamo sempre stati interessati all’idea di un apprendimento che consentisse alla macchina di imparare da sola come funziona il mondo, lasciando che sia lei a scoprire le varie strutture”.
È l’apprendimento non supervisionato, in cui si danno in pasto alla macchina migliaia di foto o di video e si lascia che sia lei, da sola, a dare un senso a ciò che analizza, senza la guida dell’uomo. Per Yann LeCun, è questa la versione algoritmica di ciò che definiamo buon senso: una delle caratteristiche più importanti dell’essere umano, che gli consente di individuare la soluzione a problemi mai affrontati prima sfruttando le esperienze pregresse.
“Gli uomini, ma anche gli animali, imparano moltissimo attraverso la semplice osservazione, senza alcuna indicazione e accumulando un’enorme mole di conoscenza già da bambini o da cuccioli. Ci piacerebbe riprodurre tutto questo anche nelle macchine, mostrando loro un’infinità di video di YouTube senza fornire nessuna indicazione e supervisione, nella speranza che diventino capaci di riconoscere, per esempio, un elefante al primo colpo o quasi”, prosegue LeCun. “Al momento, l’incapacità delle macchine di imparare senza una supervisione è il più grande limite del deep learning”.
Il modo in cui oggi gli algoritmi apprendono, infatti, ha ben poco a che fare con l’intelligenza. Per insegnare a riconoscere un gatto, è necessario mostrare loro centinaia di migliaia di immagini di gatti, segnalando ogni volta se hanno indovinato o sbagliato a individuarli. Dopo un lunghissimo addestramento a base di tentativi ed errori, l’algoritmo impara finalmente a distinguere un gatto; ma se volessimo insegnare loro a riconoscere una lince dovremmo ricominciare da capo.