skip to Main Content

Diritto all’oblio e norma sul copyright. Il parere di Enrico Ferraris

Enrico Ferraris è avvocato, esperto di Data protection e Information security. Cura Data Protection Authorities News, un aggregatore di notizie e comunicati stampa provenienti dalle autorità europee che si occupano di tutela dei dati.

Recentemente la Corte di giustizia europea ha stabilito che Google e i motori di ricerca non dovranno estendere il cosiddetto “diritto all’oblio” a livello mondiale. In molti hanno criticato la norma europea, perché – al di là dei casi di effettiva tutela della riservatezza personale – potrebbe mettere a rischio la libertà di accesso all’informazione e, di conseguenza, la natura stessa di Internet come archivio. Avvocato Ferraris, qual è la sua posizione?
Il diritto all’oblio riguarda proprio i casi di effettiva tutela della riservatezza personale e può essere esercitato dai cittadini quando il trattamento dei dati personali ha esaurito le proprie finalità ovvero non è più sostenuto da una base giuridica. Come specificato dal GDPR, in particolare ai Considerando 65-66, non si tratta di un diritto assoluto, dovendo essere bilanciato con altri diritti fondamentali quali quelli alla libertà di espressione e di informazione. L’ulteriore conservazione può anche ritenersi lecita “per adempiere un obbligo legale, per eseguire un compito di interesse pubblico o nell’esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento, per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica, a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici, ovvero per accertare, esercitare o difendere un diritto in sede giudiziaria”. Inoltre quello all’oblio non è un diritto universalmente riconosciuto, essendo disciplinato in modo differente nei vari paesi.

Personalmente ritengo che il diritto all’oblio, adeguatamente bilanciato da parte delle competenti Autorità Garanti con i diritti e gli interessi sopra citati, non metta a rischio né la libertà di accesso all’informazione né la natura di internet come archivio.

Nella sentenza del 24 settembre 2019 (ECLI:EU:C:2019:772) cui si fa riferimento, la Corte di Giustizia Europea ha rimarcato più volte la centralità del bilanciamento, il cui risultato, afferma, può variare da Stato a Stato anche all’interno della stessa Unione Europea. Sul punto la Corte sottolinea che, sebbene la deindicizzazione globale non sia, allo stato attuale, imposta dal diritto dell’Unione, un’autorità di controllo ovvero un’autorità giudiziaria di uno Stato membro, a seguito di bilanciamento, non essendo vietata, potrebbe ordinarla.

La scorsa settimana Google ha annunciato che non mostrerà più le anteprime degli articoli in Francia per adeguarsi alla norme europea sul copyright. Anche in questo caso, si tratta di una legge molto criticata, considerata da alcuni un “regalo” agli editori tradizionali piuttosto che un efficace strumento di regolazione del mondo digitale. Lei cosa ne pensa?
La reazione di Google alla prima legge nazionale che ha recepito la Direttiva Europea sul Copyright era largamente prevedibile: lo stesso era già successo in Germania nel 2014 in risposta ad una analoga normativa. Per quanto scontato, l’annuncio di Google ha scatenato l’ira degli editori che sono arrivati a parlare di “aggiramento della legge”, come se questa prevedesse un obbligo di pubblicazione e non un obbligo di remunerazione in caso di pubblicazione.

Personalmente ho sempre ritenuto la norma priva di senso, come si sta dimostrando: il traffico dei siti internet dei giornali dipende in larga parte dai contatti provenienti da Google e dalle altre grandi piattaforme; le stesse pagine web includono, nel codice sorgente, appositi tag per determinare il contenuto degli snippet visualizzati dagli utenti, il che dimostra l’interesse degli editori a che siano indicizzate e condivise sui social network. Come si poteva pensare che Google avrebbe acconsentito a pagare un compenso per la visualizzazione delle anteprime degli articoli che, di fatto, è vitale per gli editori?

Back To Top