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Trasparenza vs privacy: la stretta via del buonsenso

(Via Atlantico)

Nell’ultimo quarantennio, anche in Italia è soffiato forte il vento del desiderio di trasparenza della cosa pubblica e dei pubblici atti che s’impongono ai cittadini. Tramontata, almeno in una prima fase, l’epoca dei latinorum con il quale si diceva al povero cittadino “tu firma qui e basta, anche se non capisci cosa stai firmando”, abbiamo assistito ad una trasformazione rapida dell’approccio del burocrate con il suo, se possiamo definirlo così, controllato. Dopo la caduta del Muro e la crescente richiesta di quella “glasnost” che tanti cuori e tante formazioni politiche e sociali invocavano a gran voce alla fine del secolo scorso, a tanti è apparsa improvvisamente la via maestra da seguire, come la croce di Costantino: la rete informatica mondiale, il web. Nel mondo intero si è scoperto che lo strumento universale per controllare i nostri controllori era, appunto, internet. 

Ma occorre, a questo punto, avanzare le prime critiche ad un sistema di crescente libero accesso ai dati che, almeno potenzialmente, possono arrecare danno alla riservatezza dei loro titolari (o meglio, “interessati” per usare la terminologia della vigente normativa europea).

Se, fino al primo decennio di questo secolo, il diritto alla privacy (e già qui sarebbe opportuno domandarsi perché usiamo quasi esclusivamente il termine anglosassone) non era certamente sentito dalla popolazione come bene personale prioritario, anno dopo anno e fino ad oggi possiamo dire che tutti sembrano assai interessati a tutelare la propria riservatezza, almeno in linea teorica. Oggi il termine “privacy” è ormai facente parte del parlare comune; tutti la citano, tutti la rivendicano e tutti ne prendono il rispetto da parte altrui.

Intanto, come sappiamo, le normative europee (come la General Data Protection Regulation in vigore anche in Italia dal 2018) finiscono per essere una summa non sempre organica dei lavori preparatori nei singoli Stati Ue, ma non solo. Ma le sanzioni, in caso di violazione della privacy altrui, ci sono da subito e persino milionarie (avete letto bene). Inoltre, a voler essere cattivi, il latinorum si è soltanto modernizzato. Chiunque debba oggi compilare la documentazione obbligatoria per il trattamento dei dati personali, troverà una bella serie di termini (data protection officerdata breachaccountability ecc.) di cui non è semplice capire il significato e la stessa normativa italiana non aiuta di certo a non sbagliare e non rispondere a casaccio a certi quesiti, in quanto impiega disinvoltamente quei termini inglesi. Ecco uno degli effetti collaterali di cui parlavo poc’anzi. Sempre più attenti alla privacy, benissimo. Ma anche sempre più fruitori dei servizi web che della privacy sono la negazione in nuce, proprio perché la filosofia del web è “ciò che chiunque scrive qui è liberamente disponibile al mondo intero”. 

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