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Perché non saranno i tagli a salvare le banche dalla rivoluzione digitale

Già nel 1997 Bill Gates, che allora guidava Microsoft, pronunciò la famosa profezia: “Abbiamo bisogno dei servizi bancari, ma non abbiamo più bisogno delle banche”. In altre parole: il mondo bancario, costruito da cinque secoli sulla carta (le banconote, gli assegni, le cambiali, le rate), è destinato a scomparire se il denaro diventa immateriale, bit che si muovono sulla rete.

Nulla è però davvero cambiato fino al 2008, quando si sono verificati due fattori contemporaneamente: la crisi finanziaria globale nel cuore delle banche tradizionali che ha portato a nuove regole (e che con la direttiva europea PSD2 porterà all’open banking); l’avvento degli smartphone e delle app, e quindi della possibilità di creare delle banche digitali.

E’ questa combinazione che ha dato il via al matrimonio fra finanza e tecnologia che ha preso il nome di Fintech Revolution. Migliaia di ragazzi, in qualche caso ancora adolescenti, hanno fondato startup che forniscono singoli servizi bancari in maniera più facile e a costi più bassi delle banche tradizionali. Ci sono quelle che fanno solo pagamenti, quelle che si occupano di prestiti, quelle che ti aiutano ad accumulare risparmi e quelle che ti consigliano su come investirli. Senza trucchi, senza inganni, in maniera sicura.

Parliamo globalmente di 12 mila startup che nel 2018 hanno ottenuto 111 miliardi di dollari di investimenti, più del doppio dell’anno precedente. Non si tratta solo di aziende piccole: sono già più di 40 gli unicorni, quelle valutate più di un miliardo, che macinano numeri importanti. Monzo, Revolut, Starling e N26 in Europa hanno milioni di clienti, soprattutto giovani.

Come hanno reagito, quando hanno reagito, le banche tradizionali a questa offensiva?

Continua a leggere su la Repubblica.

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