di Giusella Finocchiaro e Laura Greco Sommario: 1. Premessa 2. Gli ostacoli; 2.1.…
Nuovi orientamenti Agcom nella regulation by litigation: definizione di obblighi e prezzi nei mercati non regolamentati ex ante
di Gilberto Nava e Valerio Mosca Abstract: The authors assess the capability of NRAs to impose, within the dispute resolutions procedures set forth by Art. 20 of the Framework Directive 2002/21/EC (as implemented by Art. 23 of the Italian Communications Code), obligations to undertakings, having their legal basis in the general principles and objectives of the regulation and concerning services for which specific ex ante obligations (e.g. cost-oriented price, non-discrimination, etc.) are not provided by the NRA. A specific assessment will be dedicated to the definition of a “fair and reasonable” price for the concerned service and to the economic criteria which could be adopted in the definition of such price. In addition, it will be highlighted how, based on recent decisions of the Italian NRA, the resolution of disputes between operators is increasingly used for regulatory purposes (so called “regulation by litigation”), so that the effects of the final decision, even if binding only for the parties involved in the proceeding, could be extended beyond the limits of the dispute and influence the regulatory context of the whole market. Sommario: 1. La rilevanza dei principi e degli obiettivi generali nella risoluzione di controversie tra operatori; 2. Obblighi per le imprese derivanti dal principio generale di tutela della concorrenza; 3. Relazione tra i principi di tutela della concorrenza e ulteriori norme del CCE; 4. Fissazione di un prezzo equo e ragionevole al fine di garantire il rispetto degli obiettivi di tutela della concorrenza; 5. Prezzo orientato al costo e prezzo equo e ragionevole; 6. Prassi decisionale dell’Autorità in relazione alla fissazione di un prezzo nell’ambito di procedimenti contenziosi ex art. 23 CCE; 7. Criteri di quantificazione del prezzo equo e ragionevole. Nel quadro normativo in materia di comunicazioni elettroniche, la risoluzione delle controversie tra operatori da parte dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom), ai sensi dell’art. 23 del Codice delle Comunicazioni Elettroniche (CCE, D.Lgs. n. 259/2003) [1], costituisce uno strumento essenziale per assicurare alle imprese del settore la definizione di questioni contenziose in tempi ragionevolmente rapidi [2] e, soprattutto, da parte di un soggetto pubblico dotato delle conoscenze e competenze tecniche appropriate per un settore, quale quello delle comunicazioni elettroniche, caratterizzato da una rilevante complessità tecnologica e da una specifica regolamentazione di dettaglio [3]. In particolare, il crescente utilizzo di tale procedimento contenzioso da parte delle imprese [4] mostra un significativo ampliamento degli ambiti e dei mercati nei quali l’Autorità è chiamata ad intervenire per contrastare presunte violazioni di obblighi regolamentari. A tale riguardo, nel presente elaborato si intende esaminare come l’art. 23 CCE ed il vigente quadro normativo possano consentire all’Autorità di stabilire, in sede di risoluzione di controversie tra operatori, specifici obblighi (consistenti anche nell’imposizione di prezzi o altre condizioni economiche) che trovano la propria fonte nei principi e obiettivi generali del settore e che riguardano servizi per i quali non sono stati previsti obblighi ex ante ai sensi degli artt. 46-50 CCE [5] ma sono, di norma, forniti sulla base di contratti stipulati tra gli operatori. Tale analisi verrà svolta con particolare riferimento alla più recente prassi decisionale dell’Autorità, che sembra indirizzata ad utilizzare il procedimento contenzioso previsto dall’art. 23 CCE con una portata sempre più ampia e con finalità regolatorie che orientino i comportamenti negoziali e commerciali, pur se in maniera non vincolante, anche degli altri attori del mercato non direttamente coinvolti nel procedimento [6]. Si evidenzierà inoltre che l’architettura regolamentare disegnata dal legislatore comunitario, nonché le evoluzioni legislative, giurisprudenziali e dottrinali relative all’istituto del contenzioso tra operatori ai sensi dell’art. 23 CCE, hanno smentito il teorema secondo cui l’ambito di intervento delle Autorità nazionali di regolamentazione debba essere confinato all’interno dei mercati regolati ex ante ai sensi dell’art. 19 CCE e che, tutt’al più, possa essere riferito soltanto alle controversie relative agli obblighi già imposti in sede regolamentare e di vigilanza [7]. La giurisprudenza comunitaria e nazionale che verrà di seguito esaminata si è orientata in realtà nel riconoscere alle Autorità di regolamentazione poteri di intervento crescenti – sia in ambito contenzioso che d’ufficio – nell’ottica di garantire il perseguimento degli obiettivi di promozione della concorrenza, sviluppo dell’innovazione e protezione del consumatore anche nei mercati esenti da una regolamentazione ex ante. Allo stesso tempo l’Autorità, pur con qualche incertezza, ha mostrato di non volere recedere dal proprio ruolo di custode super partes dei diversi mercati anche attraverso la “regolamentazione del caso specifico”. 1. La rilevanza dei principi e degli obiettivi generali nella risoluzione di controversie tra operatori L’art. 23, comma 1, CCE stabilisce che l’Agcom è competente a dirimere controversie fra imprese che forniscono reti o servizi di comunicazione elettronica “avente ad oggetto gli obblighi derivanti dal Codice”. La norma non fornisce specificazioni in merito alle norme la cui violazione può formare oggetto del procedimento (nonché della decisione finale dell’Autorità), ma è comunque pacifico che rientrano in tale ambito gli obblighi stabiliti a livello legislativo e dalle delibere dell’Agcom e – secondo un’interpretazione estensiva sostenuta dall’Autorità e confermata dal giudice amministrativo – quelli relativi a rapporti contrattuali tra imprese vertenti su questioni regolamentari [8]. Sono invece estranee al campo di applicazione dell’art. 23 CCE le controversie relative a questioni civilistiche o contrattuali su cui non incidono profili regolamentari [9]. Tale considerazione discende, tra l’altro, dal fatto che la regolamentazione stabilita dall’Autorità integra ex lege i contratti bilaterali tra operatori e determina l’inefficacia della clausola contrattuale contraria [10]. In termini molto generali, è possibile distinguere gli ambiti di intervento dell’Autorità in tre macrocategorie: il rifiuto di un operatore di negoziare e/o di offrire l’accesso o l’interconnessione sulla base di una presunta assenza di requisiti soggettivi dell’impresa richiedente o di presupposti oggettivi dei servizi richiesti che possano configurare l’esistenza di un diritto all’accesso o all’interconnessione; la mancanza di un accordo in fase negoziale oppure nel corso dell’esecuzione del contratto in merito ad elementi essenziali (ad esempio il prezzo) della fornitura di servizi disponibili sul mercato oppure già scambiati tra le parti; le modalità di attuazione di norme primarie o, più frequentemente, di obblighi regolamentari ex ante (ad esempio obbligo di non discriminazione) oppure a tutela del consumatore o delle dinamiche competitive (ad esempio portabilità del numero). L’analisi dei precedenti in materia di risoluzione di controversie mostra, in particolare, che l’Autorità è stata riluttante ad intervenire (e le imprese a presentare apposite istanze) nella fissazione di obblighi regolamentari relativi a servizi o mercati per i quali gli operatori avevano stipulato dei contratti ma che non erano soggetti ad una regolamentazione ex ante. Sono, infatti, molteplici i mercati per i quali l’Autorità non ha ritenuto, in particolare a partire dal secondo ciclo di analisi dei mercati rilevanti ai sensi dell’art. 19 CCE, di dover imporre specifici obblighi alle imprese poiché, ad esempio, ha concluso che il mercato non fosse suscettibile di regolamentazione ex ante (in quanto non risultavano soddisfatti in maniera cumulativa i tre criteri previsti al punto 2 della Raccomandazione della Commissione del 17 dicembre 2007) oppure perché ha ritenuto che vi fossero condizioni competitive sufficienti e non imprese dotate di significativo potere di mercato (si rinvia al par. 3 per una più ampia analisi della questione). Il fatto che tali mercati non siano specificamente regolamentati non vuol dire tuttavia che essi siano lasciati alla completa autonomia commerciale e/o contrattuale degli operatori. Oltre a specifiche norme settoriali (ad esempio in materia di tutela del consumatore), infatti, assumono una specifica rilevanza i principi ed obiettivi generali stabiliti dagli artt. 4 e 13 CCE. Questi ultimi, infatti, vincolano l’attività delle imprese e dell’Autorità nell’intero settore delle comunicazioni elettroniche e, quindi, si applicheranno anche nell’ambito dei procedimenti di risoluzione di controversie tra operatori, nonché nell’ipotesi in cui non vi sia una delibera dell’Autorità che ne declini il contenuto in relazione ad un determinato servizio o mercato [11]. Tale conclusione deriva in primo luogo dal vigente contesto normativo. Già lo stesso art. 23 CCE, al terzo comma, stabilisce infatti che “nella risoluzione delle controversie l’Autorità persegue gli obiettivi di cui all’articolo 13” [12]. Ancor più esplicito appare l’art. 42, comma 5, CCE, il quale prevede che “l’Autorità può intervenire in materia di accesso e interconnessione, se necessario di propria iniziativa ovvero, in mancanza di accordo tra gli operatori, su richiesta di una delle parti interessate. In questi casi l’Autorità agisce al fine di garantire il conseguimento degli obiettivi previsti all’articolo 13, sulla base delle disposizioni del presente Capo e secondo le procedure di cui agli articoli 11, 12, 23 e 24”. Tale norma stabilisce dunque che, in materia di accesso e interconnessione (in cui rientrano gran parte dei rapporti commerciali tra operatori), debbano essere rispettati i principi ed obiettivi generali della regolamentazione richiamati dagli artt. 4 e 13 CCE e che, soprattutto, l’Autorità può essere adita dalle imprese ai sensi dell’art. 23 CCE al fine di garantirne il rispetto ed accertarne eventuali violazioni. L’ampiezza di tale norma è tale da aprire scenari che fino ad oggi non sembrano essere stati percorsi dall’Autorità (né dagli operatori) e che, soprattutto, potrebbero costituire un significativo stimolo alla cd. “regulation by litigation”, ossia all’utilizzo da parte dell’Autorità dello strumento “contenzioso” non solo per dirimere una controversia, ma anche per indicare obblighi e vincoli che possano essere, di fatto, rilevanti per l’intero mercato. 2. Obblighi per le imprese derivanti dal principio generale di tutela della concorrenza Uno specifico rilievo assumono il principio generale di “promuovere lo sviluppo in regime di concorrenza delle reti e servizi di comunicazione elettronica” (art. 4, comma 3, lett. e) CCE) ed il corrispondente obiettivo di garantire “che non abbiano luogo distorsioni e restrizioni della concorrenza nel settore delle comunicazioni elettroniche” (art. 13, comma 4, lett. b) CCE). Tale principio di promozione della concorrenza non va interpretato restrittivamente in termini meramente programmatici o di ispirazione per l’attività dell’Autorità ma, al contrario, è idoneo a costituire la base giuridica di una pluralità di specifici obblighi in capo alle imprese del settore. È infatti evidente che, anche a prescindere da specifici interventi di regolamentazione ex ante dell’Autorità (ad esempio, attraverso un’analisi di mercato), i vincoli di natura concorrenziale sono violati da una serie di condotte quali: imposizione di prezzi all’ingrosso che comprimono i margini di un operatore, condizioni economiche discriminatorie, condotte finalizzate a sottrarre in maniera anticompetitiva clienti finali ad un concorrente, mancata fornitura di informazioni essenziali per la fornitura di servizi ai clienti finali, condotte escludenti che potrebbe essere poste in essere da un operatore di rete che intenda ostacolare l’ingresso in un mercato di un fornitore di servizi che ha richiesto l’accesso o l’interconnessione alla rete. Va chiarito che tali obblighi di natura concorrenziale riguardano la generalità del settore delle comunicazioni elettroniche e, quindi, con riferimento all’ambito di applicazione dell’art. 23 CCE, sia i mercati nei quali non è intervenuta una regolamentazione ex ante, sia quelli in cui, invece, l’Autorità ha imposto determinati obblighi all’operatore avente significativo potere di mercato. Tuttavia, mentre in questo secondo caso i principi generali stabiliti dal CCE sono generalmente già declinati dagli specifici obblighi fissati dall’Autorità, nel caso di mercati o servizi non regolamentati ex ante sarà proprio attraverso il contenzioso tra operatori che gli obiettivi di promozione della concorrenza possono, da un lato, essere richiamati dalle imprese quale norma che si ritiene violata e, dall’altro, essere utilizzati dall’Autorità per stabilire obblighi e vincoli regolamentari che diano concreta attuazione ai suddetti principi generali. Va altresì considerato che nelle controversie tra operatori la decisione finale ha effetto solo nell’ambito del procedimento e, quindi, tra le parti dello stesso. Ciò non esclude tuttavia che essa possa assumere indirettamente una valenza più ampia, rappresentando un punto di riferimento per le altre imprese del mercato e portando queste ultime ad adeguarvisi autonomamente, anche per evitare che nuovi procedimenti contenziosi vengano avviati nei loro confronti. Proprio tale efficacia indirettamente estesa all’intero mercato di riferimento rappresenta la caratteristica peculiare della “regulation by litigation” e, peraltro, risulta sempre più evidente negli interventi dell’Autorità ai sensi dell’art. 23 CCE [13] (cfr. par. 6, infra). Consideriamo inoltre che la decisione del Regolatore che accerta la violazione di una norma regolamentare da parte di un operatore può rappresentare un qualificato punto di riferimento per il giudice civile competente a decidere in merito alle azioni di risarcimento dei danni connessi all’inosservanza della normativa di settore [14]. Si evidenzia infine che, a seconda delle circostanze del caso di specie, l’applicazione dei principi generali di promozione della concorrenza può determinare ulteriori effetti positivi nel mercato, ad esempio sotto il profilo dei benefici riconosciuti agli utenti finali in termini di incremento dei servizi offerti sul mercato, diminuzione del prezzo dei servizi al dettaglio oppure miglioramento delle modalità e tempistiche di fornitura[15], nonché incoraggiando lo sviluppo di nuovi modelli di business o favorendo l’ingresso nel mercato di nuovi soggetti. 3. Relazione tra i principi di tutela della concorrenza e ulteriori norme del CCE Il rispetto degli obblighi generali di natura concorrenziale è in certi casi direttamente richiamato da ulteriori norme, anche con espresso riferimento al potere dell’Autorità di intervenire ai sensi dell’art. 23 CCE. L’esempio probabilmente più rilevante è costituito dall’art. 41 CCE che, al primo comma, impone agli operatori di reti pubbliche di comunicazione di offrire l’accesso e l’interconnessione agli operatori che lo richiedono (anche se titolari di un’autorizzazione alla fornitura di servizi di comunicazione e non già all’installazione e fornitura di reti [16]) nel rispetto degli obiettivi generali di promozione della concorrenza [17]. In questo caso, il richiamo a tali principi si sostanzia nel divieto di porre in essere condotte che, anche solo di fatto, si traducano nel diniego di concedere l’accesso o l’interconnessione. Rientrano quindi in tale divieto condotte quali la proposta di condizioni tecniche o economiche discriminatorie e/o insostenibili (che realizzino, ad esempio, un’abusiva compressione dei margini), nonché l’adozione di tattiche dilatorie nel corso della negoziazione. Inoltre, l’obbligo di concedere l’accesso e l’interconnessione a condizioni concorrenziali va posto in diretta correlazione con il successivo art. 42, comma 5, CCE in particolare laddove prevede che l’Autorità possa intervenire in sede di risoluzione di controversie tra operatori proprio per garantire il rispetto degli obiettivi generali sopra indicati. Anche alcune delibere dell’Autorità richiamano espressamente la possibilità per le imprese di adire l’Autorità ai sensi dell’art. 23 CCE per contrastare condotte anticoncorrenziali in mercati nei quali sono state ritenute insussistenti le condizioni per stabilire una regolamentazione ex ante (ad esempio perché non sono stati individuati operatori aventi significativo potere di mercato oppure si è ritenuto che non vi fosse la necessità di ristabilire l’equilibrio concorrenziale attraverso specifiche misure). È il caso, ad esempio, del mercato della raccolta da rete mobile e del mercato della fornitura all’ingrosso di segmenti di linee affittate su circuiti interurbani (cd. segmenti trunk), nei quali l’Autorità ha enfatizzato la possibilità di essere adita in sede di controversie tra operatori al fine di esercitare il proprio ruolo di vigilanza e garanzia delle condizioni concorrenziali nel mercato, pur in assenza di specifici obblighi ex ante [18]. Anche nei mercati in cui sono stati imposti alcuni obblighi agli operatori aventi significativo potere di mercato, l’Autorità ha ritenuto opportuno precisare che, per quanto riguarda gli aspetti su cui non incide la regolamentazione ex ante, resta comunque aperta la possibilità di tutelare i propri interessi attraverso un procedimento di risoluzione delle controversie, anzi costituisce il percorso privilegiato auspicato dall’Autorità [19]. Tali esempi sono significativi in quanto dimostrano che lo strumento della risoluzione di controversie tra operatori è finalizzato non solo a dirimere qualsiasi tipo di contenzioso di natura regolamentare tra operatori, ma anche ad assicurare una generale vigilanza nel settore delle comunicazioni elettroniche a fronte di possibili condotte illegittime degli operatori anche nei mercati nei quali l’Autorità ha riconosciuto, in via generale, la sussistenza di sufficienti condizioni concorrenziali [20]. In questo senso, il procedimento di cui all’art. 23 CCE assume anche una sorta di valenza deterrente, poiché costituisce uno strumento che, in un periodo ragionevolmente breve e con la possibilità di esporre le proprie ragioni dinanzi ad un soggetto terzo competente in materia, consente ad un operatore di far valere le proprie ragioni in maniera certamente più efficace e rapida rispetto, ad esempio, ad un procedimento giudiziario [21] oppure ad una denuncia all’AGCM, ovviamente soggetta ai rigorosi vincoli previsti dalla disciplina antitrust. La rilevanza dei principi ed obiettivi generali del settore nell’ambito dei procedimenti “contenziosi” di cui all’art. 23 CCE, anche in mercati privi di regolamentazione ex ante, trova conferma nelle premesse della Direttiva “quadro” n. 2002/21/CE [22]. Inoltre, anche la giurisprudenza comunitaria ha ormai riconosciuto ampia facoltà di intervento alle autorità nazionali per garantire l’applicazione ed il rispetto dei principi ed obiettivi generali della regolamentazione. Ad esempio, nella sentenza C-192/08 TeliaSonera del 12 novembre 2009, par. 60, la Corte di Giustizia ha evidenziato che l’art. 5, comma 4, della Direttiva “accesso” n. 2002/19/CE (corrispondente all’art. 42, comma 5, CCE) “impone il conferimento alle autorità nazionali di regolamentazione di un’autonomia di intervento, giacché esso dispone che le suddette autorità possono segnatamente intervenire di propria iniziativa per garantire il rispetto degli obiettivi fissati all’art. 8 della direttiva «quadro», e ciò senza definire o limitare le modalità di tale intervento”. Nell’ambito del medesimo procedimento, il potere dell’Autorità di intervenire anche in sede di controversia tra operatori è stato posto in evidenza dall’Avvocato generale Dámaso Ruiz-Jarabo Colomer [23]. Tale intervento della giurisprudenza UE è particolarmente significativo in quanto evidenzia gli ampi confini regolamentari entro i quali l’Autorità può pronunciarsi ai sensi dell’art. 23 CCE – costituiti dai principi ed obiettivi generali del settore delle comunicazioni elettroniche -, chiarendo al contempo che l’applicazione degli stessi non trova (almeno in via generale) specifici limiti ed è quindi estesa anche ai mercati nei quali non sia intervenuta una regolamentazione ex ante [24]. Da ultimo, anche l’Autorità sembra ormai ammettere la possibilità di prendere in considerazione gli obiettivi ed i principi generali di cui agli artt. 4 e 13 CCE anche come parametro e base giuridica per la fissazione di determinati obblighi in capo alle imprese nell’ambito dei procedimenti contenziosi instaurati dalle imprese. In particolare, nella Delibera n. 111/11/CIR del 2 settembre 2011 (definizione della controversia Fastweb/Telecom Italia relativa al prezzo del servizio di raccolta da rete mobile verso numerazioni non geografiche (NNG) con addebito all’utente chiamato), l’Agcom ha sostenuto, facendo leva sull’art. 42, comma 5, CCE, proprio la possibilità di utilizzare i principi generali di tutela della concorrenza al fine di garantire il rispetto degli obblighi in materia di accesso ed interconnessione. L’Autorità ha infatti sottolineato che “tale norma [i.e. l’art. 42, comma 5, CCE] attribuisce dunque all’Autorità il potere di perseguire, in materia di interconnessione e accesso, gli obiettivi dell’attività di regolazione in funzione concorrenziale anche attraverso lo strumento della risoluzione delle controversie tra operatori (c.d. “regulation by litigation”)”. 4. Fissazione di un prezzo equo e ragionevole al fine di garantire il rispetto degli obiettivi di tutela della concorrenza Per garantire l’effettiva tutela dei diritti degli operatori, nella decisione finale adottata dall’Autorità i principi e obiettivi regolamentari fatti valere nel procedimento dovranno essere necessariamente dotati di un contenuto specifico che si adatti alla concreta fattispecie. A tale riguardo, l’art. 23 CCE ed il “Regolamento concernente la risoluzione delle controversie tra operatori di comunicazione elettronica” (adottato con Delibera n. 352/08/CONS del 25 giugno 2008) non prevedono specifici limiti relativi al contenuto della decisione finale (con riferimento, ad esempio, agli aspetti – economici, commerciali, tecnici, etc. – che possono essere definiti in tale sede), che è semplicemente indicata come “diretta a dirimere la controversia” e, quindi, a pronunciarsi sull’obbligo di natura regolamentare oggetto del procedimento stesso. Anche la Corte di Giustizia, al par. 60 della sentenza C-192/08 TeliaSonera, ha riconosciuto che l’art. 5, comma 4, della Direttiva “accesso” n. 2002/19/CE (corrispondente all’art. 42, comma 5, CCE) conferisce alle autorità di regolamentazione un potere di intervento finalizzato a garantire il rispetto degli obiettivi di cui all’art. 13 CCE “e ciò senza definire o limitare le modalità di tale intervento”. Va tuttavia considerato che una decisione finale che si limiti ad accertare una violazione regolamentare o l’esistenza di un generico obbligo in capo ad un’impresa (senza tuttavia dettarne le specifiche modalità tecniche ed economiche) rischierebbe di non garantire una piena ed effettiva tutela dell’interesse dell’operatore istante. Una decisione che stabilisca un obbligo “generico”, infatti, potrebbe poi richiedere lo svolgimento di una successiva negoziazione tra le imprese interessate al fine di stabilirne le modalità applicative, e tale situazione potrebbe consentire all’operatore a cui sia stato imposto un obbligo di adottare condotte dilatorie o che, di fatto, impediscano la piena soddisfazione della controparte (soprattutto nel caso in cui vi sia un forte squilibrio tra il potere contrattuale e di mercato tra le parti stesse). Per questo motivo si ritiene che, in sede di risoluzione di controversie tra operatori, anche i principi generali stabiliti dagli artt. 4 e 13 CCE (nonché gli altri obiettivi fissati a livello normativo e regolamentare, ad esempio in materia di tutela dei consumatori, mobile number portability, etc.) dovranno tradursi in obblighi specifici e determinati, da modellarsi in base al concreto caso di specie [25]. Tale conclusione vale in particolar modo con riferimento alla fissazione delle condizioni economiche di un servizio (oltre che alle sue concrete modalità applicative), per le quali vi è l’esigenza di evitare il sorgere di possibili dubbi o interpretazioni contrastanti, ad esempio, sulla misura del prezzo effettivamente applicabile al servizio oppure dei protocolli di rete da adottare [26]. Nelle controversie vertenti su mercati e servizi non regolamentati ex ante, tuttavia, la fissazione di un prezzo trova un apparente ostacolo nell’assenza di specifici vincoli e criteri in capo alle imprese. In realtà, anche in tali mercati non regolamentati le imprese sono chiamate a rispettare vincoli di prezzo che derivano direttamente dai principi e obiettivi generali della regolamentazione e che, come visto, sono direttamente applicabili anche nei mercati non regolamentati ex ante. Dunque, qualora un operatore ritenga che tali principi generali ed i relativi obblighi di prezzo siano stati violati da un proprio concorrente, esso è legittimato a richiedere all’Autorità non solo l’accertamento della presunta violazione ma anche la fissazione del prezzo (o comunque delle condizioni economiche) del servizio che rispetti i suddetti principi e obblighi generali. A voler negare, invece, la legittimazione dell’Autorità ad imporre obblighi di prezzo derivanti direttamente dai principi ed obiettivi della regolamentazione, si giungerebbe all’inaccettabile conclusione di negare la tutela effettiva degli interessi degli operatori in relazione a servizi e mercati non regolamentati ex ante, lasciando al contempo inapplicati i fondamentali obblighi di natura concorrenziale a cui, al contrario, l’intero settore delle comunicazione dovrebbe essere informato. In particolare, ciò pregiudicherebbe l’equilibrio concorrenziale di mercati molto rilevanti (ad esempio, quello della raccolta da rete mobile verso le diverse tipologie di numerazioni) e, inoltre, ne risulterebbero svantaggiate soprattutto le imprese (spesso di dimensioni ridotte) che si ritrovano ostacolate da possibili condotte anticoncorrenziali di operatori aventi maggiore potere contrattuale o di mercato. Ciò non significa che ogni richiesta di fissazione di un prezzo equo e ragionevole sia legittima, bensì che l’Autorità ha la competenza, l’esperienza e gli strumenti per contemperare i diversi principi ed obiettivi che deve perseguire e valutare quindi la necessità di un proprio intervento. Il crescente numero delle decisioni adottate consentirà di comprendere gli indirizzi applicativi in merito alla fondatezza della richiesta di fissazione di un prezzo equo e ragionevole nonché i criteri che dovranno guidare sia le parti istanti che i soggetti resistenti nella gestione del procedimento, cosi come di eventuali tentativi di componimento bonario del contenzioso. Nei successivi paragrafi indicheremo alcuni criteri, frutto dell’analisi dell’evoluzione regolamentare comunitaria e nazionale, che potranno costituire utili strumenti per la fissazione del prezzo equo e ragionevole. 5. Prezzo orientato al costo e prezzo equo e ragionevole Con riferimento alla fissazione di un prezzo in sede di risoluzione di controversie tra operatori, vi è comunque una netta distinzione tra il prezzo che discende dagli artt. 4 e 13 CCE (e che, alla luce dei diversi obblighi ivi previsti, anche di natura concorrenziale, può essere indicato come “equo e ragionevole”) ed il prezzo orientato al costo di cui all’art. 50 CCE. Quest’ultimo, infatti, può essere imposto dall’Autorità esclusivamente attraverso una specifica delibera ed a valle di un’analisi di mercato, previa designazione di un’impresa avente significativo potere di mercato e accertando che una determinata misura è necessaria per ristabilire l’equilibrio concorrenziale del mercato [27]. In linea generale, non sembra dunque possibile che una decisione ai sensi dell’art. 23 CCE possa modificare quanto stabilito dalla suddetta delibera dell’Agcom, o imporre a sua volta un obbligo di prezzo orientato al costo (o altri obblighi di cui agli artt. 45-50 CCE) in carenza della previa analisi del mercato e consultazione degli attori del mercato. Ciò non esclude comunque la possibilità per l’Autorità di intervenire in sede contenziosa in tali mercati già regolamentati, ad esempio al fine di accertare la violazione di un obbligo ex ante da parte dell’impresa avente significativo potere di mercato, oppure per chiarire l’applicazione di determinati obblighi già imposti. Al contrario, la fissazione di un prezzo equo e ragionevole non richiede lo svolgimento di una preventiva analisi di mercato (secondo le modalità previste dagli artt. 18 e 19 CCE), sia perché i corrispondenti principi di cui agli artt. 4 e 13 CCE sono direttamente applicabili all’intero settore delle comunicazioni elettroniche (cfr. par. 1 supra), sia perché l’analisi di mercato rappresenta il presupposto per l’imposizione dei diversi e più penetranti obblighi di cui agli artt. 46-50 CCE. Dunque, il vigente quadro normativo non impedisce all’Autorità di stabilire – laddove adita da un operatore interessato – il prezzo equo e ragionevole di un servizio per il quale non vi sia stata una preventiva analisi di mercato svolta secondo le raccomandazioni e le linee direttrici comunitarie. A tale conclusione ha di recente aderito anche l’Autorità che, nella già richiamata Delibera n. 111/11/CIR, ha espressamente rigettato la posizione dell’operatore resistente ritenendo “non fondate le argomentazioni […] in base a cui l’Autorità non potrebbe fissare condizioni economiche di interconnessione, se non a valle di un procedimento regolamentare di analisi di mercato”. Tale considerazione può assumere specifica valenza con riferimento agli obblighi in capo agli operatori di rete di fornire accesso e interconnessione alla propria rete (artt. 41 e 42 CCE), dal momento che essi si applicano a prescindere dalla sussistenza delle condizioni per lo svolgimento di un’analisi di mercato e successiva imposizione di regolamentazione ex ante. Dunque, l’Autorità potrebbe essere legittimamente chiamata a definire il prezzo di un servizio di accesso o interconnessione fornito da un operatore che non sia stato notificato come avente significativo potere di mercato. Anche tale possibilità è stata sostanzialmente confermata dalla già richiamata sentenza C-192/08 TeliaSonera [28]. 6. Prassi decisionale dell’Autorità in relazione alla fissazione di un prezzo nell’ambito di procedimenti contenziosi ex art. 23 CCE L’Autorità in passato ha già risolto alcune controversie tra operatori mediante la determinazione delle condizioni economiche del servizio oggetto di contestazione ma, in questi casi, la necessità di tale determinazione del prezzo derivava non tanto dall’applicazione dei principi di cui agli artt. 4 e 13 CCE (al fine cioè di giungere ad un prezzo concorrenziale, equo e ragionevole), bensì da fattori ulteriori. In particolare, nella controversia fra Wind e Vodafone in materia di condizioni economiche applicate al servizio di terminazione su rete mobile, conclusasi con Delibera n. 14/06/CIR del 15 marzo 2006, l’Autorità, oltre ad accertare l’obbligo di Vodafone di applicare il prezzo della terminazione orientato al costo anche per le chiamate originate da rete mobile di Wind, ha altresì stabilito il corrispondente prezzo di terminazione delle chiamate su rete mobile di Wind (a quel tempo operatore non avente significativo potere di mercato) originate da rete mobile di Vodafone. In questo caso, l’esigenza di determinare tale secondo prezzo in capo ad un operatore non notificato discendeva da “ovvie ragioni di minimale equilibrio contrattuale” tra le parti. Anche nella Delibera n. 16/06/CIR del 4 maggio 2006 (relativa alla controversia tra Telecom Italia e Fastweb in materia di tariffe di interconnessione inversa), l’Autorità ha ammesso la possibilità di definire il prezzo del servizio di interconnessione applicato da un operatore non avente significativo potere di mercato (ossia Fastweb), ma in una situazione in cui era stato quest’ultimo a richiedere l’accertamento del proprio diritto ad applicare condizioni economiche diverse da quelle dell’operatore notificato Telecom Italia [29]. Rileva inoltre la Delibera n. 40/09/CIR del 9 luglio 2009 (relativa alla controversia tra Telecom Italia e Fastweb in materia di collegamenti ISDN) [30], in cui l’Autorità ha provveduto a determinare le condizioni economiche di fornitura all’ingrosso di collegamenti ISDN (pur in assenza di obblighi di orientamento al costo) attraverso la definizione di uno sconto sul prezzo retail dei medesimi collegamenti ISDN. Un significativo cambio di rotta (o meglio, chiarimento di un orientamento già parzialmente avviato) si è avuto con la Delibera n. 111/11/CIR, adottata al termine di un procedimento contenzioso instaurato da Fastweb nei confronti di Telecom Italia e avente ad oggetto la presunta violazione degli obblighi generali di tutela della concorrenza richiamati dagli artt. 41 e 42 CCE nella fissazione da parte di Telecom Italia del prezzo del servizio di raccolta da rete mobile verso numerazioni non geografiche (NNG) con addebito all’utente chiamato. In tale decisione, infatti, l’Autorità ha accertato che “l’applicazione di un prezzo di raccolta eccessivo e sproporzionato” da parte di Telecom Italia conducesse ad una distorsione concorrenziale del relativo mercato rilevante e ponesse a rischio il conseguimento di quel vantaggio che deve essere garantito nella fornitura dei servizi di interconnessione ai sensi dell’art. 4, comma 3, lett. f), CCE. In considerazione di ciò, è stato concluso che “si ritiene di strategica rilevanza un intervento dell’Autorità in materia di raccolta da mobile e che solo l’applicazione di un prezzo equo e ragionevole sia in grado di garantire il raggiungimento di quegli obiettivi di concorrenza tra operatori e massimo vantaggio agli utenti finali indicati dagli artt. 13 e 4 del Codice”. La Delibera n. 111/11/CIR è interessante anche perché essa mostra una sempre maggiore consapevolezza dell’Autorità ad utilizzare lo strumento della risoluzione di controversie tra operatori anche per finalità regolatorie che oltrepassano i confini del procedimento contenzioso. È probabilmente a questo scopo che l’Autorità ha ritenuto opportuno di dover illustrare vere e proprie “linee guida” per la quantificazione del prezzo equo e ragionevole (potenzialmente applicabili da parte di altre imprese – vedi infra -) e di rivolgersi direttamente “all’attenzione del mercato e dei suoi operatori” al fine di evitare una possibile lettura erronea delle modalità applicative della decisione. Tuttavia, quasi a voler evitare che la propria decisione potesse essere considerata come una vera e propria fonte regolamentare per l’intero mercato nonché forse per scongiurare il rischio di auto-vincolarsi pro futuro a questi criteri, l’Autorità ha ritenuto di dover precisare che “il fatto che la definizione, nell’ambito della presente controversia, di un prezzo della raccolta da mobile, ottenuto come somma del costo della terminazione rilevante e del succitato mark-up, non configura un legame funzionale, pro-futuro, tra prezzi di raccolta e prezzi di terminazione”. Inoltre, con tale considerazione, l’Autorità ha voluto evitare che, attraverso una delibera ai sensi dell’art. 23, quindi emanata non a seguito di un’analisi di mercato, si affermasse in maniera generalizzata un principio che potesse ricollegare il prezzo equo e ragionevole di un servizio ad un prezzo orientato al costo (ossia quello della terminazione mobile). Ciò denota che, in certi casi, l’Autorità mostra ancora incertezza nell’adottare un chiaro ed univoco indirizzo rispetto ai criteri delle proprie decisioni, con il rischio di non orientare il mercato verso meccanismi di self-regulation e di indurre comportamenti opportunistici e la proliferazione di contenziosi interoperatore, effetti non certo coerenti con i principi di efficienza dell’azione amministrativa e di buon andamento della Pubblica Amministrazione. Più esplicitamente, invece, l’Autorità si era rivolta a tutte le imprese del mercato nella Delibera n. 124/10/CIR del 17 dicembre 2010 (adozione di misure cautelari nell’ambito della controversia Telecom Italia / Teletu in materia di procedure per il trasferimento delle utenze di rete fissa) [31]. 7. Criteri di quantificazione del prezzo equo e ragionevole Una delle questioni cruciali nell’imposizione di un prezzo equo e ragionevole è costituita dall’individuazione dei criteri sulla base dei quali quantificare il suddetto prezzo. È evidente, infatti, che i principi ed obiettivi generali stabiliti dagli artt. 4 e 13 CCE non indicano, per loro natura, criteri dettagliati per la determinazione del prezzo stesso ma, tutt’al più, da essi è possibile dedurre alcuni parametri entro i quali quantificare il prezzo equo e ragionevole. Ad esempio, è evidente che non vi potrà essere un’effettiva concorrenza nel mercato qualora un servizio all’ingrosso venga fornito ad un prezzo uguale o superiore rispetto al prezzo del corrispondente servizio al dettaglio oppure quando un servizio è oggetto di sussidio incrociato da parte di operatori verticalmente integrati. Inoltre, con riferimento agli impatti negativi nei confronti dei consumatori, il prezzo di un servizio offerto da un operatore potrà essere considerato irragionevolmente elevato qualora esso limiti l’utilizzo del servizio stesso da parte dei consumatori-utenti oppure costituisca un ostacolo allo sviluppo o alla diffusione di un servizio innovativo. L’applicazione di questo criterio potrebbe rivelarsi estremamente “qualitativo” rispetto a parametri maggiormente misurabili, ma l’Autorità è dotata di adeguati strumenti e competenze (dalle analisi di mercato alle indagini conoscitive, dai Libri Bianchi, ai Tavoli tecnici di implementazione fino alle segnalazioni dei consumatori) per monitorare efficacemente il mercato, cogliere le sue costanti evoluzioni ed intervenire tempestivamente ponderando i diversi interessi rilevanti. Nell’ordinamento vi sono inoltre ulteriori modelli di quantificazione del prezzo e, in particolare, l’analisi delle delibere dell’Autorità (non solo in sede di risoluzione di controversie tra operatori) mostra un ampio ventaglio di possibili criteri da utilizzare, per cui sarà importante verificare quale di essi si possa maggiormente adattare al caso di specie, soprattutto in termini di informazioni disponibili. Si evidenzia comunque che, in alcuni casi, alcune indicazioni relative al modello da seguire per giungere al prezzo equo e ragionevole sono fornite dalla stessa regolamentazione dell’Autorità. Nel procedimento di cui alla Delibera n. 111/11/CIR, ad esempio, l’Autorità ha definito il prezzo equo e ragionevole del servizio di raccolta verso numerazioni non geografiche con addebito al chiamato sulla base di quanto stabilito nei considerando della Delibera n. 65/09/CONS (che peraltro aveva ritenuto non suscettibile di analisi di mercato il servizio di raccolta da rete mobile) [32]. In applicazione del criterio ivi indicato, l’Autorità aveva stabilito che il prezzo del servizio di raccolta dovesse essere pari al prezzo di terminazione più un mark up, individuato tenendo conto, tra l’altro, della remunerazione dei costi relativi a servizi accessori e dei principi di equità e ragionevolezza. In assenza di punti di riferimento normativi, l’analisi della prassi decisionale dell’Autorità mostra un certo ricorso al benchmark internazionale, la cui rilevanza è stata già riconosciuta sia in sede di risoluzione di controversie tra operatori (come mostra la Delibera n. 14/06/CIR [33]), sia nella definizione di obblighi ex ante (quale criterio utilizzabile per definire il prezzo transitorio del servizio bitstream fino alla successiva determinazione del prezzo orientato al costo) [34]. Discorso diverso riguarda le modalità con le quali il benchmark internazionale potrà essere concretamente applicato (ad esempio utilizzando il “miglior” prezzo oppure una media dei “migliori” tre prezzi), visto che, a seconda delle circostanze, tale questione può anche dipendere dalle informazioni disponibili e dalla tipologia di prezzo da quantificare. Il modello di benchmark potrebbe in teoria essere preso in considerazione anche in relazione alle condizioni economiche applicate in Italia per servizi analoghi o per il medesimo servizio fornito da altri operatori. Questo procedimento, tuttavia, andrebbe utilizzato con estrema cautela dal momento che, a meno che non sia svolta una specifica analisi in merito, non si può escludere a priori che i prezzi applicati nel mercato da operatori terzi (non coinvolti dal procedimento di risoluzione della controversia) siano anch’essi eccessivi e non del tutto coerenti con il quadro regolamentare. In questo caso, si rischierebbe quindi di quantificare un prezzo come equo e ragionevole quando esso, in realtà, riflette le distorsioni del mercato poiché, ad esempio, non vi sono stati incentivi alla competizione interoperatore a causa dei modelli di tariffazione all’utente finale. Un ulteriore modello che può essere utilizzato, soprattutto per la quantificazione del prezzo di un servizio all’ingrosso, è quello del retail minus, attraverso il quale, a partire da un prezzo al dettaglio, viene definito il corrispondente prezzo all’ingrosso in maniera tale da assicurare un adeguato margine e remunerazione delle attività per il soggetto che opera nel mercato intermedio [35]. Questo modello di definizione di un prezzo all’ingrosso è stato più volte utilizzato dall’Autorità (in particolare nelle fasi di transizione rispetto all’introduzione di un servizio innovativo oppure nella fissazione di nuovo modello di costo) e può rappresentare per alcuni servizi un modello di definizione di un prezzo equo e ragionevole abbastanza semplice e rapido nella sua implementazione, consentendo all’Autorità di gestire una fase di transizione verso una diversa definizione di un prezzo, sia ai sensi dell’art. 50 CCE che verso un modello maggiormente competitivo. Si ritiene infine che la determinazione di un prezzo equo e ragionevole possa portare ad esiti distorsivi e paradossali qualora si tenga in considerazione anche della media storica dei prezzi applicati in passato tra le parti del procedimento (come invece ha fatto l’Autorità nella Delibera n. 111/11/CIR): in questo modo, infatti, si potrebbe arrivare a determinare un prezzo equo e ragionevole più elevato nei casi in cui il fornitore del servizio abbia imposto nel passato prezzi più alti, rispetto ai casi nei quali, viceversa, esso abbia praticato prezzi più bassi, premiando quindi in maniera irragionevole proprio il soggetto che ha applicato per un tempo più lungo condizioni economiche non ragionevoli. Al di là dei pregi e dei difetti dei diversi modelli proposti e della possibile ponderazione nell’applicazione congiunta di essi, è opportuno evidenziare che l’Autorità dovrà rapidamente definire, nel crescente esercizio dei poteri attributi dall’art. 23 CCE, criteri univoci applicabili ai diversi mercati interessati affinché, da un lato, gli operatori possano essere indotti, in modo virtuoso, ad adottare meccanismi di self-regulation e, dall’altro, le attuali “sacche” di extraprofitti ingiustificati che non sono oggetto di regolamentazione ex ante possano essere rimosse a beneficio dell’evoluzione competitiva del mercato e del benessere dei consumatori. ____________ Note: [*] Il presente articolo, pur essendo frutto di un’analisi congiunta e condotta in stretta collaborazione tra entrambi gli autori, è stato redatto da Gilberto Nava per i par. da 1 a 3, e da Valerio Mosca per i par. da 4 a 7. Le riflessioni contenute nel presente articolo derivano, tra l’altro, dall’analisi dei provvedimenti adottati fino ad oggi dall’Autorità, non potendosi tuttavia escludere che la futura evoluzione dei mercati possa portare a conclusioni differenti. [1] L’art. 23 CCE costituisce il recepimento dell’art. 20 della direttiva “quadro” n. 2002/21/CE. Il comma 1 di tale disposizione è stato da ultimo emendato dalla Direttiva 2009/140/CE, che ha introdotto le seguenti modifiche: (i) le controversie oggetto del procedimento possono sussistere non più solo tra imprese che forniscono reti o servizi di comunicazione elettronica, ma anche tra queste ultime e le altre imprese che beneficiano di obblighi in materia di accesso o interconnessione; (ii) il termine di quattro mesi per la definizione della controversia può essere superato in casi eccezionali. Tali emendamenti sono contenuti anche nello schema di decreto legislativo di modifica al CCE posta in consultazione dal Ministero dello Sviluppo Economico nel dicembre 2011, in attuazione della delega di cui all’art. 9 della Legge n. 217/2001 (Legge Comunitaria 2010). [2] Il termine di quattro mesi per lo svolgimento del procedimento è comunque considerato di natura ordinatoria (si veda, inter alia, Sent. Tar Lazio, sez. III-ter, 14 dicembre 2006, n. 14517) e non è raro che una controversia venga definitiva dall’Autorità anche dopo 6-12 mesi dalla presentazione dell’istanza introduttiva. [3] Per l’analisi degli aspetti generali della risoluzione delle controversie tra operatori (con particolare riguardo alla sua natura giuridica di strumento contenzioso, paragiurisdizionale o amministrativo, nonché agli aspetti procedurali di cui al Regolamento adottato dall’Agcom con Delibera n. 352/08/CONS), si vedano: E.L. CAMILLI – M. CLARICH, I poteri quasi giudiziali delle autorità indipendenti, in Arbitri dei mercati, a cura di M. D’Alberti – A. Pajno, Il Mulino, 2010, pag. 107 ss.; A. LEONE, La risoluzione delle controversie tra operatori, in Diritto delle comunicazioni elettroniche, a cura di F. Bassan, Giuffrè, 2010, pag. 273 ss.; F. DONATI, L’ordinamento amministrativo delle comunicazioni, Giappichelli, 2007, pag. 207 ss.; G. PESCE, Tutela giurisdizionale avverso i provvedimenti amministrativi e sanzionatori e soluzioni non giurisdizionali per la definizione delle controversie tra imprese, in Il Codice delle Comunicazioni Elettroniche, a cura di M. Clarich e G.F. Cartei, Giuffrè, 2004, pag. 405 ss.; M. CLARICH, L’attività delle autorità indipendenti in forme semicontenziose, in I garanti delle regole, a cura di S. Cassese e C. Franchini, Il Mulino, 1996, pag. 41 ss. Con particolare riferimento alla giurisprudenza che ha esaminato la natura giuridica del procedimento di risoluzione di controversie tra operatori, si vedano in particolare la Sent. Cass., Sez. I, 20 maggio 2002, n. 7341 (secondo la quale “l’ordinamento anzitutto non conosce un tertium genus tra amministrazione e giurisdizione […] non vi è nel sistema costituzionale una figura di paragiurisdizionalità a sé stante” e “risulta pertanto decisivo, in adesione alla dominante dottrina, ad escludere la natura giurisdizionale, o paragiurisdizionale, se con tale termine si intende richiamare la predetta fonte giudiziaria del provvedimento, la sottoposizione della decisione dell’organo pubblico, comunque adottata, al vaglio di un giudice nei termini della domanda introduttiva del giudizio di controllo che ha negato la natura di procedimento paragiurisdizionale”) e la Sent. Tar Lazio, sez. III-ter, 14 dicembre 2006, n. 14517 (secondo cui l’Autorità, nell’adottare una decisione ai sensi dell’art. 23 CCE“non ha esercitato funzioni amministrative ma paragiurisdizionali”, in quanto è “intervenuta come giudice di una controversia, con la conseguenza che l’intero procedimento che davanti ad essa si è svolto segue le regole del procedimento paragiurisdizionale e non amministrativo”). [4] Nel periodo aprile 2009-marzo 2010 sono stati avviati tredici procedimenti contenziosi dalle imprese (fonte: Relazione Annuale Agcom 2010, pag. 215), mentre nel periodo maggio 2009 – aprile 2010 ne sono stati instaurati dodici (fonte: Relazione Annuale Agcom 2009, pag. 180). [5] Tali obblighi riguardano: trasparenza (art. 46 CCE), non discriminazione (art. 47 CCE), separazione contabile (art. 48 CCE), accesso e di uso di determinate risorse di rete (art. 49 CCE), controllo dei prezzi e di contabilità dei costi (art. 50 CCE). [6] Si precisa che l’utilizzo del procedimento di risoluzione di controversie tra operatori ha sollevato una serie di problematiche giuridiche (relative non solo all’inquadramento dell’istituto nell’ordinamento ma anche, ad esempio, alla possibile applicazione dei principi relativi alle garanzie ed ai diritti delle parti previsti dall’ordinamento processual-civilistico nei procedimenti di natura giurisdizionale, al potere dell’Autorità di incidere – attraverso l’intervento su aspetti regolamentari – anche su profili sinallagmatici di contratti bilaterali stipulati tra le imprese, alla possibilità per l’Autorità di pronunciarsi su questioni non direttamente collegate alla domanda di parte, al rapporto tra questa tipologia di contenzioso ed il giudizio avviato in sede civile sul medesimo oggetto da una delle parti e le implicazioni sull’efficienza dell’azione amministrativa) che, pur essendo molto rilevanti, per la loro complessità non possono essere compiutamente affrontate nel presente articolo. [7] Si evidenzia fin d’ora che, in una prospettiva de jure condendo, il legislatore comunitario sta esaminando l’ulteriore rafforzamento dei poteri di intervento delle Autorità di regolamentazione nazionali in sede di risoluzione di controversie tra operatori e, a tale riguardo, la proposta di Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio relativo al roaming sulle reti pubbliche di comunicazioni mobili all’interno dell’Unione, presentata nel luglio 2011, stabilisce espressamente, al considerando n. 19, che le richieste ragionevoli di accesso all’ingrosso alle reti mobili al fine di fornire servizi di roaming “possono essere rifiutate solo sulla base di criteri obiettivi e debitamente fondati, che devono essere determinati caso per caso dalle autorità nazionali di regolamentazione a seguito della procedura di risoluzione delle controversie”. [8] Si veda, inter alia, Delibera n. 29/07/CIR del 3 aprile 2007 (definizione della controversia H3G / Vodafone in materia di tariffe di terminazione su rete mobile), relativa alla richiesta di H3G di accertare il proprio diritto ad applicare nei confronti di Vodafone un prezzo della terminazione differente rispetto a quello stabilito in via contrattuale. Cfr. anche Sent. Tar Lazio, sez. III-ter, 14 dicembre 2006, n. 14517, nella quale il giudice afferma che, pur in presenza di un contratto di interconnessione bilaterale, “la fonte regolatrice del rapporto di interconnessione […] è dunque la delibera dell’Autorità n. 11/03/Cons e non il contratto stipulato […], a nulla rilevando che la soluzione che il Garante avrebbe dato alla controversia […] avrebbe riverberato i suoi effetti anche sulla disciplina pattizia”. [9] In questo senso si veda il condiviso orientamento espresso in merito in F. DONATI, L’ordinamento amministrativo delle comunicazioni, cit., pag. 209. [10] A tale riguardo, nella Delibera n. 14/06/CIR del 14 marzo 2006 relativa alla controversia tra Wind e Vodafone in materia di terminazione mobile, l’Autorità ha esplicitamente affermato che “per permettere allo stesso principio [nel caso di specie, l’orientamento al costo di un prezzo della terminazione] di dispiegare in concreto la sua finalità di interesse pubblico il minimo che si possa fare è di considerare da esso integrata ex lege la singola disciplina contrattuale, nel senso che tale principio accorda, anche nel silenzio del contratto sul punto, una facoltà di recesso per giusta causa delle clausole contrattuali regolatrici delle pertinenti tariffe, le quante volte emergano- come nella specie è avvenuto — dati obiettivi ed inequivocabili di fonte imparziale comprovanti l’avvenuta lesione in concreto del principio stesso”. Nello stesso senso si sono espressi anche F. MERUSI, Il potere normativo delle autorità indipendenti, in L’autonomia privata e le autorità indipendenti, Il Mulino, 2006, pag. 46 (“[quando l’Autorità emana] atti sostituitivi di negozi privati […] fa quello che i privati non fanno o non vogliono fare, sostituendo a negozi privati decisioni amministrative”) e F. DONATI, in L’Ordinamento amministrativo delle comunicazioni, cit., pag. 132 (“i contratti di interconnessione e accesso si perfezionano dunque secondo un modello di “negoziazione regolata” rispetto alla quale l’AGCom riveste un ruolo decisivo”). In senso contrario, per quanto riguarda il potere dell’Autorità di incidere sui contratti di interconnessione negoziati dagli operatori, si veda V. MINERVINI, Pubblico e privato nei contratti di interconnessione tra reti (con particolare riferimento al settore delle comunicazioni). Prime riflessioni, in Diritto del Commercio Internazionale, 2007, II, pag. 325 ss. [11] Resta in ogni caso fermo che i principi generali dovranno essere valutati, oltre che in base alle caratteristiche del caso di specie, anche attraverso un bilanciamento reciproco tra gli stessi (si consideri, ad esempio, l’equilibrio tra obblighi di accesso alla rete e sostenibilità degli investimenti), così da evitare che determinati obiettivi della regolamentazione siano pregiudicati dall’applicazione di altri principi. Per un’analisi complessiva dei principi generali stabiliti dagli artt. 4 e 13 CCE si veda M. CLARICH, Disposizioni e principi generali, in Il Codice delle Comunicazioni Elettroniche, a cura di M. Clarich e G.F. Cartei, Giuffrè, 2004, pag. 51 ss. [12] A. LEONE, La risoluzione delle controversie tra operatori, cit., pag. 278, mette in evidenza l’importanza del richiamo ai principi di promozione della concorrenza, di sviluppo del mercato interno e di tutela dei cittadini in quanto essi rappresentano finalità estranee al giudice ordinario e, per contro, peculiari alla tutela dinanzi all’Autorità (oltre che ad altre autorità pubbliche, quali l’Agcm), e sottolinea altresì che “poiché il Codice enumera una serie di obblighi a carico delle imprese di telecomunicazione da attuare nell’ambito dei loro reciproci rapporti, l’Autorità ha il potere di imporne l’osservanza nell’ambito di controversie individuali in modo coerente con gli obiettivi generali indicati dall’art. 13”. [13] Anche secondo F. DONATI, L’ordinamento amministrativo delle comunicazioni, cit., pag. 208, “in sede di soluzione delle controversie tra operatori, quindi, le autorità nazionali di regolamentazione sono chiamate a svolgere un’attività sostanzialmente regolatoria”. [14] La rilevanza delle decisioni di autorità amministrative indipendenti nell’ambito di procedimenti giudiziali di risarcimento danni è evidente soprattutto nel caso di violazioni della normativa antitrust di cui alla Legge n. 287/1990. Si veda in questo senso, ex multis, Sent. App. Roma 20 gennaio 2003, in cui Telecom Italia è stata condannata a risarcire Albacom (nonché, con distinte sentenze aventi analogo contenuto, anche altri operatori) per i danni prodotti da condotte anticoncorrenziali di margin squeeze che erano state già accertate dall’Agcm nel Procedimento A285 Infostrada/Telecom Italia-Tecnologia Adsl, Decisione del 27 aprile 2001 (che coinvolgeva comunque anche profili connessi al rispetto della regolamentazione dell’Agcom). [15] Anche l’art. 42, comma 1, CCE stabilisce che, nel perseguire gli obiettivi stabiliti dall’articolo 13 CCE, l’Autorità esercita le proprie competenze, oltre che per promuovere l’efficienza economica ed una concorrenza sostenibile, anche al fine di “recare il massimo vantaggio agli utenti finali”. [16] La nuova formulazione dell’art. 4, comma 1, della Direttiva “accesso” 2002/19/CE (corrispondente all’art. 41, comma 1, CCE), emendata dalla Direttiva n, 2009/140/CE, ha definitivamente chiarito che l’obbligo di negoziare l’interconnessione alla propria rete sussiste qualora “richiesto da altre imprese titolari di un’autorizzazione ai sensi dell’articolo 4 della direttiva 2002/20/CE”. Anche con la previgente formulazione di tale disposizione, la Corte di Giustizia era giunta all’analoga conclusione che “l’obbligo di negoziare l’interconnessione incombe all’insieme degli operatori di reti pubbliche di comunicazioni dal momento che lo richieda un’altra impresa, titolare di un’autorizzazione” (sentenza C-192/08 TeliaSonera, par. 28). [17] L’art. 41, comma 1, CCE richiama “il rispetto dei principi di cui all’articolo 13, comma 5, lettera b)”. Quest’ultima disposizione stabilisce l’adozione di una disciplina dell’accesso e dell’interconnessione “compatibilmente con le condizioni competitive del mercato e […] in coerenza con gli obiettivi generali di cui all’articolo 4”. Tra tali obiettivi generali rientrano quello di “promuovere lo sviluppo in regime di concorrenza delle reti e servizi di comunicazioni elettronica”, nonché quello di “garantire in modo flessibile l’accesso e l’interconnessione […] in modo da assicurare concorrenza sostenibile, innovazione e vantaggi per i consumatori”. [18] Nella Delibera n. 65/09/CONS del 13 febbraio 2009 relativa al mercato della raccolta da rete mobile l’Autorità, dopo aver sottolineato che “nel mercato in esame […] si ravvisa tanto più l’esigenza di un monitoraggio attento e continuo, al fine di evitare che comportamenti ostruzionistici degli operatori infrastrutturali ostacolino l’operatività di nuovi soggetti” (par. n. 168), ha richiamato (i) il proprio “ruolo di monitoraggio e vigilanza […] sui rapporti commerciali fra operatori di rete e virtuali, […], e che comunque rimarrà operante, nonché la competenza in materia di risoluzione delle controversie fra gli operatori succitati”, nonché (ii) il proprio “ruolo dirimente delle controversie fra MNO e operatori che offrono servizi di chiamata verso NNG, nel caso di istanza di una delle parti” (par. D3.44). Anche nella Delibera n. 2/10/CONS del 15 gennaio 2010, relativa al mercato della fornitura all’ingrosso di segmenti di linee affittate su circuiti interurbani, l’Autorità ha evidenziato che “in ogni caso, quale garanzia della vigilanza e rimozione di eventuali comportamenti anticoncorrenziali, l’Autorità rammenta sia il consueto monitoraggio delle condizioni di mercato e competitive, sia la possibilità di intervento in sede di controversie” (par. D5.4. Si veda, analogamente, anche il par. D13.7). [19] Cfr. par. D4.10 della Delibera n. 179/10/CONS del 28 aprile 2010 relativa ai mercati dei servizi di raccolta e terminazione nella rete telefonica pubblica fissa: “l’Autorità ritiene che una eventuale violazione dei contratti di interconnessione debba essere rappresentata nelle sedi opportune, anche mediante instaurazione di una controversia presso i competenti Uffici dell’Autorità, ma non possa in alcun modo costituire oggetto di un intervento di regolamentazione ex-ante”. [20] In senso contrario, si veda F. DONATI, L’ordinamento amministrativo delle comunicazioni, cit., pag. 208, secondo il quale “l’AGCom non potrebbe dunque, ad esempio, imporre obblighi di regolamentazione asimmetrica a carico di operatori privi di significativo potere di mercato: si veda peraltro la delibera n. 14/06/CIR, in cui l’AGCom ha discutibilmente assoggettato ad obblighi di prezzo le tariffe di terminazione di un operatore non avente significativo potere di mercato”. [21] Si ricorda comunque che, ai sensi dell’art. 3, commi 3 e 4, del Regolamento adottato con Delibera Agcom n. 352/08/CONS, la domanda proposta all’Autorità è improcedibile qualora riguardi una questione per la quale sia adita, anche solo in parte, l’autorità giudiziaria. [22] Il considerando n. 32 della Direttiva “quadro” n. 2002/21/CE indica gli obblighi relativi all’accesso o all’interconnessione come esempio “emblematico” in cui l’autorità di regolamentazione nazionale può intervenire in sede di risoluzione di controversie tra operatori (“Nell’eventualità che sorgano controversie fra imprese dello stesso Stato membro nel settore disciplinato dalla presente direttiva o dalle direttive particolari, ad esempio per quanto riguarda gli obblighi relativi all’accesso o all’interconnessione ovvero le modalità di trasferimento di elenchi di abbonati, la parte lesa che abbia negoziato in buona fede un accordo senza riuscire a raggiungerlo, dovrebbe avere il diritto di rivolgersi a un’autorità di regolamentazione nazionale per risolvere la controversia. Le autorità nazionali di regolamentazione devono avere il potere di imporre una soluzione alle parti”). [23] “L’art. 5, n. 4, della direttiva accesso consente alla detta autorità di adottare iniziative in tal senso [i.e. per obbligare un’impresa a negoziare l’interconnessione], in virtù di un potere di intervento che le è conferito dall’art. 20, n. 1, della direttiva quadro [corrispondente all’art. 23 CCE]” (C-192/08 TeliaSonera, conclusioni dell’Avvocato generale Dámaso Ruiz-Jarabo Colomer del 14 maggio 2009, par. 114). [24] “Occorre comunque constatare che il suddetto obbligo di negoziare [l’interconnessione] è indipendente dalla detenzione da parte dell’impresa interessata di un significativo potere di mercato” (Sentenza C-192/08 TeliaSonera, par. 36). [25] I primi commentatori del CCE erano invece piuttosto orientati a limitare l’intervento dell’Autorità in sede di risoluzione di controversie tra operatori al rispetto delle regole già specificamente stabilite dal contesto regolamentare e non anche desumibili dai principi generali del settore. Si veda a tale riguardo G. PESCE, Tutela giurisdizionale avverso i provvedimenti amministrativi e sanzionatori e soluzioni non giurisdizionali per la definizione delle controversie tra imprese, cit., il quale evidenzia che l’art. 23 CCE presuppone la violazione di “regole specifiche imposte dal Codice all’impresa” e che “vi sarebbe, insomma, una corrispondenza tra l’oggetto della possibile controversia tra imprese a cui si riferisce l’art. 23 (“obblighi derivanti dal Codice”) e gli obblighi che l’Autorità può imporre nella sua veste di Autorità di regolamentazione e vigilanza del settore”. [26] Secondo una visione più cautelativa, con riferimento agli obblighi di interconnessione, M. LIBERTINI, Regolazione e concorrenza nel settore delle comunicazioni elettroniche, in Giornale di Diritto Amministrativo, 2005, 195 ss, osserva che “la peculiarità del mercato dell’interconnessione sta nel fatto che i relativi contratti, dal momento che prevedono tipicamente obbligazioni reciproche e sono fondati su un obbligo legale a negoziare, possono richiedere, in caso di mancato raggiungimento dell’accordo, un intervento vincolante di arbitraggio da parte dell’autorità di regolazione. Ciò può portare al risultato di una qualche forma di controllo amministrativo (indiretto) dei prezzi anche a carico di operatori nuovi entranti. […] Può esservi un limite di buona fede anche nella determinazione del prezzo di terminazione del nuovo entrante, ma ciò è cosa ben diversa dall’imporre a tutti criteri di rigido orientamento al costo o di parità di trattamento”. [27] Cfr. art. 45, commi 1 e 2, CCE. [28] “Occorre comunque constatare che il suddetto obbligo di negoziare [l’interconnessione] è indipendente dalla detenzione da parte dell’impresa interessata di un significativo potere di mercato” (Sentenza C-192/08 TeliaSonera, par. 36). [29] In quel procedimento la concreta determinazione del prezzo era stata subordinata dall’Autorità al previo esperimento di una consulenza tecnica d’ufficio che, tuttavia, non è stata completata a causa dell’intervento del Tar del Lazio (che, con Sent. 14517/2006, ha annullato la Delibera n. 16/06/CIR nella parte in cui non consentiva a Telecom Italia di accedere alla documentazione di Fastweb rilevante per la determinazione del prezzo di terminazione) e del successivo accordo transattivo intervenuto tra le parti. [30] Tale delibera non risulta pubblicata. [31] “L’Autorità ritiene che attraverso la misura, adottata nell’ambito del presente procedimento contenzioso, si possa pervenire ad un ulteriore affinamento del quadro regolamentare nei trasferimenti delle utenze di rete fissa, secondo il ben noto paradigma della “regulation by litigation”. Tale misura cautelare può, pertanto, anticipare le corrette indicazioni regolamentari per tutti gli operatori nell’ambito delle procedure di trasferimento di utenza su rete fissa” (Delibera n. 124/10/CIR, par. 4). [32] “Il costo del servizio di originazione da rete mobile non si discosti significativamente da quello del servizio di terminazione (tuttavia, a differenza della rete fissa, è ragionevole che una differenza sia presente per via della necessità di localizzare il terminale nel servizio di terminazione mobile)” (Delibera n. 65/09/CONS, par. D2.21). [33] “Il regolatore può avvalersi di criteri ispirati a ragionevolezza, quali la reciprocità differita o il benchmark internazionale, indicati, ad esempio, dalla “ERG Common Position on the approach to Appropriate remedies in the new regulatory framework” adottata nella seduta dell’8 aprile 2004” (Delibera n. 14/06/CIR, par. V). [34] “Il criterio dell’allineamento alle migliori pratiche europee in tema di pricing dei servizi bitstream, ai fini della determinazione dei prezzi dei servizi bitstream in Italia, potrà essere utilizzato, almeno fino a che la contabilità regolatoria non sarà sufficientemente stabile da condurre a prezzi propriamente allineati ai costi sottostanti” (art. 23, comma 3, della Delibera n. 249/07/CONS del 23 maggio 2007). [35] Si fa riferimento, ad esempio, alla Delibera n. 6/03/CIR del 15 aprile 2003 (Offerte di servizi x-DSL all’ingrosso da parte della società Telecom Italia e modifiche all’offerta per accessi singoli in modalità flat) che, per disciplinare un servizio innovativo quale era l’accesso a banda larga xDSL e consentire un tempestivo ingresso di operatori concorrenti, decise di applicare un modello semplificato di retail minus rispetto ai prezzi applicati all’utente finale, arrivando a determinare un minus nell’ordine del 55%. Si veda anche la Delibera n. 541/08/CONS del 17 settembre 2008 (Procedure e regole per l’assegnazione e l’utilizzo delle bande di frequenza a 900 e 2100 MHz da parte dei sistemi di comunicazione elettronica) in cui l’Autorità, nel disciplinare l’offerta di un servizio di accesso, quale il roaming, ha stabilito che “in caso di contestazione da parte del gestore mobile nuovo entrato o del gestore mobile solo UMTS delle condizioni economiche e tecniche praticate per il roaming nazionale da un gestore obbligato, quest’ultimo ha l’onere di provare all’Autorità che i prezzi richiesti sono orientati ai principi di equità, trasparenza e non discriminazione e che le condizioni tecniche non sono immotivatamente restrittive, nonché di fornire all’Autorità tutte le informazioni necessarie alla verifica del rispetto delle condizioni di cui al presente articolo. Nell’effettuare le proprie verifiche l’Autorità può utilizzare il confronto con le migliori tariffe retail per i servizi on-net”.