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Rinvio pregiudiziale del TAR Lazio alla Corte di Giustizia per i contributi ad AGCOM: spunti di riflessione sul sistema di finanziamento alle autorità indipendenti

di Gilberto Nava e Valerio Mosca

Sommario: 1. Introduzione; 2. Inquadramento normativo della contribuzione obbligatoria all’AGCOM; 2.1 Normativa nazionale; 2.2 Normativa comunitaria e recepimento nel Codice delle Comunicazioni; 3. Il contenuto delle ordinanze del TAR: il possibile contrasto tra la disciplina nazionale ed il quadro normativo UE; 4. Brevi riflessioni in materia di finanziamento delle autorità amministrative indipendenti a carico delle imprese

1. Introduzione

In data 5 aprile 2012, nell’ambito di una serie di giudizi instaurati dai maggiori operatori di comunicazioni elettroniche, il Tar del Lazio ha depositato alcune ordinanze (aventi contenuto analogo) con cui ha rinviato in via pregiudiziale alla Corte di Giustizia la questione relativa alla conformità con la normativa UE della disciplina nazionale in materia di contribuzione obbligatoria a carico degli operatori di comunicazioni al fine di coprire le spese di funzionamento dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom).
Anche se tali ordinanze non definiscono i giudizi pendenti, esse sono comunque particolarmente interessanti poiché indicano con chiarezza le criticità dell’attuale quadro normativo in materia di contribuzione obbligatoria all’Agcom e, soprattutto, i relativi profili di illegittimità che potrebbero essere dichiarati dalla Corte di Giustizia. Tali ordinanze forniscono inoltre lo spunto per svolgere alcune riflessioni sulla più generale tematica del finanziamento delle autorità amministrative indipendenti a carico delle imprese che, negli ultimi anni, ha assunto un’importanza crescente (anche per la costante diminuzione dei fondi trasferiti dal bilancio pubblico) ma, allo stesso tempo, è stata anche caratterizzata da modalità applicative in certi casi incoerenti e problematiche.

2. Inquadramento normativo della contribuzione obbligatoria all’AGCOM

Prima di esaminare le questioni sopra indicate, nonché per meglio comprendere le stesse, è opportuno descrivere l’evoluzione del quadro normativo in materia di finanziamento dell’Agcom a carico degli operatori del settore, sul quale già in passato la Corte di Giustizia era stata chiamata ad intervenire.

2.1 Normativa nazionale

Una forma di finanziamento dell’Agcom a carico delle imprese operanti nel settore delle comunicazioni era stata prevista fin dalla Legge n. 481/1995 istitutiva della autorità di regolamentazione dei servizi di pubblica utilità [1] e dalla successiva Legge n. 249/1997 [2]. Tale sistema contributivo era attuato mediante decreti annuali del Ministero dell’Economia che stabilivano l’importo e le modalità di determinazione del contributo stesso.
Sovrapponendosi alle norme di legge richiamate, l’art. 20, comma 2, della Legge n. 448/1998 ha successivamente previsto a carico degli operatori del settore delle comunicazioni un “contributo sulle attività di installazione e fornitura di reti di telecomunicazioni pubbliche, di fornitura al pubblico di servizi di telefonia vocale e di servizi di comunicazioni mobili e personali”. Tale onere era versato direttamente al bilancio dello Stato ed era calcolato sul fatturato delle società relativo a tutti i servizi di telecomunicazione dell’anno precedente. Anche in quel caso le delibere attuative dell’Agcom erano state impugnate dalle imprese e la questione rimessa in via pregiudiziale dal Tar Lazio alla Corte di Giustizia. Quest’ultima aveva rilevato la contrarietà del sistema di contribuzione disciplinata dalla Legge n. 448/1998 alla (previgente) normativa comunitaria di cui all’art. 11 della Direttiva n. 97/13/CE (recepito in Italia dall’art. 6 del D.P.R. n. 318/1997), il quale vietava agli Stati Membri di imporre alle imprese titolari di licenze individuali nel settore dei servizi di telecomunicazione prestazioni pecuniarie diverse ed ulteriori rispetto a quelle preordinate a coprire i costi amministrativi per il rilascio, la gestione ed il controllo del sistema di licenze individuali. In particolare, nella sentenza 18 settembre 2003, procedimenti C-292/01 e C-293/01 Albacom e Infostrada, la Corte di Giustizia ha sottolineato che le norme comunitarie “vietano agli Stati Membri di imporre alle imprese titolari di licenze individuali nel settore dei servizi di telecomunicazione, per il solo fatto che detengono tali licenze, prestazioni pecuniarie come quelle in esame nelle cause principali, diverse e supplementari rispetto a quelle consentite dalla direttiva” [3].
Anche al fine di reperire le ulteriori necessarie risorse finanziarie a fronte della riduzione dei trasferimenti di fondi pubblici, il sistema di contribuzione all’Agcom (nonché alle altre autorità amministrative indipendenti) è stato riformato dall’art. 1, commi 65 e ss., della Legge n. 266/2005 (Finanziaria 2006), e proprio tale disciplina – nei termini di seguito illustrati – ha rappresentato l’oggetto dei giudizi in commento. In particolare, la Finanziaria 2006 ha introdotto un sistema di auto-finanziamento dell’Agcom in cui la norma primaria, da un lato attribuisce alle imprese attive nel settore delle comunicazioni l’onere di finanziare l’Agcom e definisce il tetto massimo di contribuzione (2 per mille dei ricavi realizzati attraverso attività sottoposte all’attività regolamentare di settore [4]) e, dall’altro, attribuisce direttamente all’Agcom il compito di definire annualmente la misura puntuale e le modalità di determinazione del contributo [5]. Va inoltre evidenziato che tale strumento di prelievo a carico delle imprese del settore è diretto a coprire indistintamente tutti i costi sostenuti dall’Agcom nello svolgimento della propria attività che non siano già coperti dal finanziamento statale. Sotto questo profilo, quindi, la Finanziaria 2006 ha sostanzialmente riproposto, almeno in relazione alle modalità di determinazione del contributo, l’impostazione dell’art. 20, comma 2, della Legge n. 448/1998 che era stata censurata dalla giurisprudenza comunitaria.
Va ricordato che tale sistema di auto-finanziamento delle autorità amministrative indipendenti di cui alla Legge n. 266/2005 è passato anche al vaglio della Corte Costituzionale che, con sentenza 6 luglio 2007, n. 256, ha respinto la questione di costituzionalità sollevata da alcune regioni e province autonome in merito alla presunta violazione della loro competenza legislativa e autonomia finanziaria e tributaria. In quel caso la Corte ha sottolineato che le contribuzioni in questione sono riconducibili alla categoria dei “tributi statali” e, dunque, costituiscono legittimo esercizio della competenza statale esclusiva in materia di sistema tributario e contabile di cui all’art. 117, comma 2, lett. e), delle Costituzione [6].
Il sistema normativo applicabile è stato integrato dalla Legge n. 191/2009 (Finanziaria 2010), che ha introdotto l’obbligo in capo all’Agcom (e ad alle altre autorità destinatarie dei maggiori importi di contribuzione dal proprio mercato di riferimento, ossia Isvap e Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture) di trasferire ad altre autorità amministrative indipendenti (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Commissione di Garanzia dell’Attuazione della Legge sullo Sciopero nei Servizi Pubblici Essenziali e Garante per la Protezione dei Dati Personali) una parte dei contributi ricevuti dalle imprese per ciascuno degli anni dal 2010 al 2012. Tale previsione ha quindi inciso solo sulla destinazione delle somme pagate dalle imprese e non anche, ad esempio, sul loro ammontare o sulle modalità di determinazione. Tuttavia, proprio tale “sviamento” della destinazione delle somme rappresenta un significativo vulnus dell’intera normativa che, come di seguito indicato, è stato rilevato anche dal giudice amministrativo.

2.2 Normativa comunitaria e recepimento nel Codice delle Comunicazioni

Si è già visto che il previgente quadro normativo comunitario di cui all’art. 11 della Direttiva n. 97/13/CE già prevedeva la possibilità di introdurre un prelievo a carico delle imprese entro limiti rigorosi, dovendo esso essere diretto a coprire solo determinate e ben specifiche attività di natura regolamentare svolte dall’Agcom.
Tale sistema è stato replicato anche nell’attuale quadro normativo UE. In particolare, l’art. 12 della Direttiva “autorizzazioni” n. 2002/20/CE prevede che alle imprese attive nel settore delle comunicazioni elettroniche possono essere imposti unicamente diritti amministrativi diretti a coprire “i soli costi amministrativi che saranno sostenuti per la gestione, il controllo e l’applicazione del regime di autorizzazione generale, dei diritti d’uso e degli obblighi specifici di cui all’articolo 6, paragrafo 2, che possono comprendere i costi di cooperazione internazionale, di armonizzazione e di standardizzazione, di analisi di mercato, di sorveglianza del rispetto delle disposizioni e di altri controlli di mercato, nonché di preparazione e di applicazione del diritto derivato e delle decisioni amministrative, quali decisioni in materia di accesso e interconnessione”.
I consideranda nn. 30 e 31 della medesima direttiva sono ancor più chiari nel sottolineare i limiti ben precisi entro i quali uno Stato Membro può stabilire in capo alle imprese un obbligo di contribuzione all’autorità di regolamentazione e, soprattutto, le modalità di determinazione dello stesso, che devono essere dirette a coprire solo i costi delle autorità sostenuti solo nell’esercizio di alcune determinate attività di regolazione [7].
L’art. 12 della Direttiva “autorizzazioni” n. 2002/20/CE è stato recepito in Italia, in maniera pressoché identica, dall’art. 34, comma 1, del D.Lgs. n. 259/2003 (Codice delle Comunicazioni Elettroniche) [8]. Va precisato che il comma 2 della medesima norma rinvia all’allegato 10 del Codice delle Comunicazioni per la determinazione di tali diritti, che però devono essere versati al Ministero dello Sviluppo Economico e non all’Agcom. Nell’ordinamento italiano, quindi, i contributi a carico delle imprese indicati dall’art. 12 della Direttiva n. 2002/20/CE sono versati non all’autorità nazionale di regolamentazione (come definita dall’art. 1 del Codice delle Comunicazioni Elettroniche), bensì al Ministero competente, e tale scelta del legislatore riflette il particolare riparto di competenze tra tali due istituzioni nel settore delle comunicazioni elettroniche. La conseguenza è che l’ulteriore forma di contribuzione a carico delle imprese versata all’Agcom prevista dalla Legge n. 266/2005 sembra porsi come un prelievo ulteriore rispetto a quello stabilito dalla Direttiva n. 2002/20/CE. Tale intreccio normativo, rappresentato dalla coesistenza del contributo al Ministero di cui all’allegato 10 del Codice delle Comunicazioni e del contributo all’Agcom stabilito dalla Finanziaria 2006 non è stata direttamente esaminata dalle ordinanze in commento, ma è presumibile che venga affrontata dal giudice comunitario, in quanto collegata all’applicazione in Italia delle rilevanti norme UE.
Si precisa che la riforma del quadro normativo UE in materia di comunicazioni elettroniche di cui alla Direttiva 2009/140/CE non ha introdotto alcuna modifica alle norme sopra illustrate e, in particolare, all’art. 12 della Direttiva 2002/20/CE. Allo stesso modo, neanche il progetto preliminare di decreto legislativo di modifica del Codice delle Comunicazioni (esaminato dal Governo nel Consiglio dei Ministri del 6 aprile 2012 ma non ancora approvato definitivamente) prevede modifiche all’art. 34 del Codice delle Comunicazioni.

3. Il contenuto delle ordinanze del TAR: il possibile contrasto tra la disciplina nazionale ed il quadro normativo UE

Le ordinanze di rimessione della questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia, se certamente non costituiscono una pronuncia di illegittimità delle norme primarie e regolamentari impugnate dalle imprese, rappresentano comunque un significativo indice quanto meno delle loro criticità e possibili profili di illegittimità. In particolare, in tali ordinanze i giudici del Tar hanno espresso in maniera piuttosto chiara il proprio orientamento e le proprie perplessità su alcuni aspetti del modello di contribuzione a carico delle imprese previsto in Italia.
Il principale elemento di possibile contrasto che il Tar ha individuato tra la normativa interna e quella comunitaria si riferisce ai costi sostenuti dall’Agcom che possono essere coperti dalla contribuzione obbligatoria a carico delle imprese. Sotto questo profilo, il giudice amministrativo ha rilevato che le norme interne, prevedendo una contribuzione a copertura del complesso di tutti i costi dell’Agcom, sembrano andare ben al di là di quanto consentito dall’art. 12 della Direttiva n. 2002/20/CE, il quale ammette la possibilità di imporre alle imprese una contribuzione obbligatoria solo a copertura dei costi relativi ad alcune specifiche attività del regolatore (cfr. par. 2.2) .
In particolare, i giudici del Tar osservano che “mentre la legislazione nazionale appare orientata a coprire con il ricorso ai contributi dei privati operatori del settore regolamentato tutti i costi dell’Autorità appunto non coperti dal finanziamento statale, sia pure con un meccanismo che in quanto ancorato ai ricavi delle vendite e delle prestazioni consente di differenziare il sacrificio imposto a ciascun operatore sulla base della propria capacità economica, nella prospettiva del legislatore comunitario l’imposizione di diritti amministrativi agli operatori appare giustificata esclusivamente sulla base dei costi effettivamente sopportati dalle autorità nazionali, ma in funzione dell’esercizio dell’attività di regolazione ex ante strumentale al rilascio delle autorizzazioni. In altri termini, una lettura ragionevole delle regole comunitarie appare quella per cui i contributi riscossi dall’Agcom debbono essere commisurati ai costi sopportati ai fini dell’attività di regolazione ex ante”.
Ulteriore elemento che, secondo il Tar, “ispessisce la perplessità di cui sopra” è rappresentato dalla previsione contenuta nella Finanziaria 2010 sopra richiamata, secondo la quale una parte delle contribuzioni delle imprese all’Agcom debba essere trasferita ad altre autorità amministrative. Tale obbligo rende infatti ancor più evidente la mancata correlazione tra la contribuzione e la copertura dei costi delle sole attività indicate dall’art. 12 della Direttiva n. 2002/20/CE, dal momento che l’onere sostenuto dalle imprese del settore delle comunicazioni viene destinato addirittura a finanziare anche le attività (evidentemente ben diverse) di altre autorità amministrative indipendenti.
In considerazione delle criticità rilevate ma anche, probabilmente, dell’enorme impatto che avrebbe una pronuncia di illegittimità totale o parziale del sistema di contribuzione che garantisce larga parte del finanziamento dell’Agcom e di altre autorità amministrative indipendenti, il Tar ha, dunque, ritenuto opportuno rimettere l’intera questione alla Corte di Giustizia ai sensi dell’art. 267 TFEU, formulando una questione pregiudiziale in merito proprio alla compatibilità della disciplina nazionale in materia di contribuzione obbligatoria all’Agcom con le disposizioni comunitarie di cui alla Direttiva 2002/20/CE.
A seguito delle ordinanze in esame, i giudizi pendenti di fronte al Tar resteranno sospesi fino alla definizione della questione pregiudiziale da parte della Corte di Giustizia che, abitualmente, si esprime in 10-18 mesi.

4. Brevi riflessioni in materia di finanziamento delle autorità amministrative indipendenti a carico delle imprese

Come anticipato, la contribuzione obbligatoria a carico delle imprese interessa sostanzialmente tutte le autorità amministrative indipendenti (ad esclusione della Banca d’Italia), secondo modalità differenti ma che, in larga parte, si basano su un prelievo parametrato sul fatturato realizzato dalle imprese sottoposte all’attività regolatoria.
La ratio di tale tipologia di finanziamento sta nel fatto che le imprese contribuenti rappresentano (almeno potenzialmente) anche i soggetti beneficiari finali dell’attività di regolamentazione e, in particolare, della creazione di un level playing field che, oltre a tutelare i consumatori, favorisca anche uno svolgimento efficiente dell’attività economica e impedisca il sorgere di distorsioni competitive o regolamentari. Inoltre, il modello di prelievo contributivo a carico delle imprese del settore è funzionale ad assicurare alle autorità amministrative un’effettiva autonomia finanziaria dagli organi di Governo e, in definitiva, rappresenta uno strumento di garanzia dell’indipendenza complessiva delle autorità e della loro (almeno tendenziale) sottrazione ad indebite pressioni provenienti da forze di governo o politiche [9].
Va inoltre sottolineato che, ormai da alcuni anni, lo Stato tende progressivamente a ridurre le proprie erogazioni dirette alle autorità amministrative indipendenti e, per mantenere un equilibrio di bilancio di esse, prevede che una parte sempre maggiore delle spese delle autorità sia coperta da fonti di finanziamento ulteriori, costituite essenzialmente dai contributi (di diversa natura) posti a carico delle imprese. E l’Agcom è proprio un esempio di come il fabbisogno finanziario complessivo sia coperto quasi per intero dalla contribuzione degli operatori del settore [10].
In certi casi, tuttavia, la principale finalità dei modelli di prelievo in esame sembra rappresentata non tanto dal raggiungimento degli obiettivi sopra indicati, quanto piuttosto dalla necessità “materiale” di assicurare una solida copertura finanziaria dell’attività di una determinata autorità amministrativa, alleggerendo al contempo il bilancio statale dalle quote di finanziamento diretto alla medesima autorità. Ciò ha portato ad un sistema che, anche volendo prescindere da profili di possibile legittimità, non appare esente da alcune distorsioni di fondo.
Per alcune autorità, ad esempio, la contribuzione a carico delle imprese ha assicurato non solo la copertura delle spese di funzionamento ma, addirittura, significativi avanzi di gestione, e la situazione finanziaria dell’Agcom ne è un esempio [11]. Tale elemento già si pone in contrasto con una delle caratteristiche fondamentali del sistema di auto-finanziamento delle autorità, secondo cui i contributi delle imprese devono essere rigorosamente correlati alla copertura dei soli costi sostenuti da esse [12]. Nel momento in cui l’autorità beneficiaria della contribuzione da parte delle imprese realizzi una sorta di “plusvalenza”, non possono che sorgere fondati motivi per dubitare della coerenza del sistema di finanziamenti in questione.
Le maggiori criticità del complessivo sistema di finanziamento delle autorità derivano tuttavia dalla previsione di cui alla Legge n. 191/2009 (cfr. par. 2.2 supra) secondo la quale, in sostanza, le autorità che ricevono gli importi più elevati dal corrispondente mercato di riferimento sono tenute a versare una parte significativa di essi alle autorità per le quali, invece, i contributi delle imprese rappresentano importi decisamente inferiori. Nel caso dell’Agcom, come visto, lo stesso Tar Lazio ha rilevato che la suddetta previsione rafforza l’apparente contrasto tra la normativa nazionale e quella comunitaria e, anche per questo motivo, la questione è stata rimessa alla valutazione della Corte di Giustizia. Anche nel caso delle altre autorità, comunque, con il sistema di “versamenti incrociati” tra autorità viene meno il necessario collegamento tra gli importi di contribuzione delle imprese e la copertura dei costi di regolamentazione dell’autorità beneficiaria della suddetta contribuzione. A tal fine, non sembra certo sufficiente a compensare tale situazione la generica previsione di cui all’art. 1, comma 241, della Legge n. 191/2009 di “misure reintegrative in favore delle autorità contribuenti, nei limiti del contributo versato, a partire dal decimo anno successivo all’erogazione del contributo, a carico delle autorità indipendenti percipienti che a tale data presentino un avanzo di amministrazione”. Quest’ultima condizione è infatti incerta e, nell’attuale contesto economico, appare anche di difficile realizzazione.
Un primo passo per superare tale sistema è stato compiuto dal recente “Decreto Liberalizzazioni” (D.L. n. 1/2012, convertito con Legge n. 27/2012) che, per risolvere il grave deficit finanziario dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, nonché per sostenere le nuove competenze attribuite alla stessa, ha introdotto uno specifico contributo obbligatorio annuale a carico delle società di capitali con ricavi superiori a 50 milioni di euro, pari allo 0,08 per mille del fatturato, fino ad un massimo di 400.000 euro di contribuzione annuale. Tale nuovo sistema di auto-finanziamento dell’Agcm, che sarà applicato a partire dal 2013 [13], rappresenta la conferma più chiara della progressiva dilatazione del sistema di contribuzione a carico delle imprese per sostenere i costi delle autorità. Addirittura in questo caso, per la prima volta, è stata introdotta una forma di prelievo che grava indistintamente ed in maniera “orizzontale” su tutte le società di capitali operanti in Italia (con un fatturato di almeno 50 milioni di euro), senza che sia stato stabilito un criterio per individuare le imprese che sono o potrebbero essere soggette all’attività di controllo dell’autorità destinataria della contribuzione (fermo restando che, nel caso dell’Agcm, l’attività regolamentare riguarda potenzialmente l’intero mercato nazionale). Inoltre, si evidenzia che l’introduzione di una soglia di fatturato per essere soggetti al prelievo (50 milioni di euro) e di un limite massimo di contribuzione (400.000 euro) rischiano di far gravare il contributo in maniera proporzionalmente maggiore sule società di media grandezza introducendo, in definitiva, possibili elementi di discriminazione tra le imprese stesse.
Dunque, quanto sopra indicato mostra che la questione dell’auto-finanziamento delle autorità amministrative indipendenti posto a carico delle imprese costituirà una questione sempre più rilevante, ma proprio per questo è necessario che esso venga attuato con modalità che garantiscano al mercato su cui grava il prelievo le maggiori garanzie possibili in termini di effettiva correlazione tra contributi e spese sostenute dall’autorità, chiarezza delle modalità di determinazione del contributo [14], proporzionalità e non discriminazione del prelievo tra le varie imprese, trasparenza nella determinazione del contributo, nonché rigore nell’efficiente allocazione delle risorse rispetto alle attività ed alle competenze dell’autorità [15]. Allo stesso tempo le imprese, trovandosi a finanziare gran parte della suddetta attività regolamentare, non possono che attendersi che essa sia svolta in maniera efficiente ed efficace, garantisca la certezza ed il rispetto delle tempistiche dei procedimenti regolari, e agevoli la creazione ed il rafforzamento di condizioni di mercato favorevoli per lo sviluppo economico delle imprese e l’aumento degli investimenti. A tale riguardo, è stato dimostrato che una sana ed efficiente attività di regolamentazione svolta da un’autorità effettivamente indipendente costituisce anche un fattore di attrazione degli investimenti dall’estero [16].
I giudizi pendenti al Tar Lazio, avendo già sollevato alcune criticità del quadro normativo sopra descritto (con particolare riferimento all’Agcom), potrebbero quindi rappresentare per il legislatore un’occasione per realizzare una riforma organica del sistema di finanziamento alle autorità amministrative che, superando alcune incoerenze normative ancor oggi applicabili (prima tra tutte quella dei “versamenti incrociati” tra autorità), favorisca il raggiungimento a beneficio delle imprese contribuenti degli obiettivi sopra indicati.
Con specifico riferimento all’Agcom, va sottolineato che tale autorità indipendente, sin dalla sua istituzione, si è caratterizzata come regolatore convergente dei mercati delle telecomunicazioni, della radiotelevisione e dell’editoria, sommando diverse e spesso eterogenee competenze, anche di rilievo costituzionale: si pensi, ad esempio, alle competenze in materia di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica a partire dalla Legge n. 248/2000, in tema di commercializzazione dei diritti audiovisivi sportivi e di regolamentazione e vigilanza sull’esercizio del diritto di cronaca di cui al D. Lgs. n. 9/2008, fino all’applicazione della disciplina sulla par condicio di cui alla Legge n. 28/2000. Sono competenze che, da un lato, evidenziano il riconoscimento di un ruolo crescente dell’Agcom nel panorama istituzionale italiano, dall’altro “defocalizzano” tale autorità, anche da un punto di vista organizzativo e finanziario, dai fondamentali compiti attribuiti dal legislatore comunitario in materia di reti e servizi di comunicazioni elettroniche. Perciò il giudizio in via pregiudiziale pendente dinanzi alla Corte di Giustizia si pone come uno spartiacque affinché il legislatore nazionale valuti innanzitutto le modalità con cui valorizzare, anche in termini finanziari, mediante adeguati contributi derivanti dalla finanza pubblica, le importanti competenze, anche relative a diritti ed obblighi dei cittadini costituzionalmente garantiti, che si sono progressivamente addensate sugli organi e sugli uffici dell’Agcom.
Da un concreto riconoscimento del ruolo ormai assunto dall’Agcom deriva altresì un inevitabile dovere di accountability, anche organizzativo e finanziario, che assicuri trasparenza sull’utilizzo efficiente delle risorse umane e finanziarie utilizzate per dare attuazione alle diverse competenze ad essa attribuite. Si ritiene che un primo fondamentale passo verso tale direzione sia rappresentato dall’adozione di un piano strategico delle attività regolamentari su base triennale, che indichi in particolare le tempistiche e l’allocazione delle risorse umane e finanziarie, ed a cui faccia seguito un piano annuale di attuazione, nonché un resoconto annuale. Quest’ultimo non dovrebbe limitarsi ad un sintesi di natura politica diretta al Parlamento dell’attività svolta, ma dovrebbe anche fornire un riscontro di quanto realizzato dall’autorità in ciascun anno rispetto a quanto pianificato, nonché in relazione a quanto e come siano state utilizzate le risorse dedicate all’attuazione delle diverse competenze. La garanzia della “trasparenza della contabilità gestita dall’autorità nazionale di regolamentazione” (considerando n. 30 della Direttiva 2002/20/CE) rappresenta infatti un importante tassello sia in termini di garanzia che di accountability, per la realizzazione di un’effettiva indipendenza dell’autorità stessa.
Occorre infatti ribadire che la trasparenza nella gestione dei contributi e nell’allocazione delle risorse finanziarie che trovano la propria fonte nella legislazione comunitaria è già richiesta dalla Direttiva n. 2002/20/CE (cfr. par. 2.2 supra), e non vi sarebbe alcuna limitazione all’indipendenza dell’Agcom se, ad esempio, specifiche task force della Commissione Europea, incaricate – anche per questo specifico profilo – di verificare la corretta implementazione delle direttive di settore, esaminassero le modalità organizzative e finanziarie con le quali le singole autorità di regolamentazione esercitano i loro compiti e poteri. Anzi, una certificazione comunitaria di un’efficiente allocazione delle risorse rispetto alle competenze attribuite rappresenterebbe un rafforzamento dell’indipendenza delle autorità di regolamentazione sia rispetto al potere esecutivo che nei confronti degli operatori del mercato.

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Note
[*] Il presente articolo, pur essendo frutto di un’analisi congiunta e condotta in stretta collaborazione tra entrambi gli autori, è stato redatto da Valerio Mosca per i par. 1 e 2 e da Gilberto Nava per i par. 3 e 4. Le riflessioni contenute nel presente articolo derivano, tra l’altro, dall’analisi dei provvedimenti adottati fino ad oggi dall’Autorità, non potendosi tuttavia escludere che la futura evoluzione dei mercati possa portare a conclusioni differenti.
[1] All’art. 2, commi 38 e 39, la Legge n. 481/95 ha stabilito che “mediante contributo di importo non superiore all’uno per mille dei ricavi dell’ultimo esercizio, versato dai soggetti esercenti il servizio stesso” sarebbe stato perseguito l’obiettivo di “coprire le effettive spese di funzionamento di ciascuna Autorità”. La stessa norma ha attribuito al Ministero delle Finanze (oggi Ministero dell’Economia) il compito di fissare, su base annuale, con apposito decreto, la misura del contributo da versare a ciascuna autorità e le modalità del versamento.
[2] L’art. 6, comma 1, della Legge n. 249/1997 ha previsto che “all’onere derivante dall’applicazione della presente legge […] si provvede quanto ad annue lire 20 miliardi con le modalità di cui all’art. 2 comma 38, lettera b), e commi successivi, della legge 14 novembre 1995, n. 481”. Ai sensi del comma 2, “secondo le stesse modalità può essere istituito, ove necessario e con criteri di parametrazione che tengano conto dei costi dell’attività, un corrispettivo per i servizi resi dall’Autorità in base a disposizioni di legge, ivi compresa la tenuta del registro degli operatori”.
[3] La Corte di Giustizia si è pronunciata analogamente anche nelle sentenze 19 settembre 2006, procedimento C-392/04 i-21 Germany; 18 luglio 2006, procedimento C-339/04 Nuova società di telecomunicazioni; 11 marzo 2011, procedimento C-85/10 Telefonica. Nella più recente sentenza 21 luglio 2011, procedimento C-284/10, Telefonica de España, la Corte di Giustizia ha riaffermato il principio secondo cui “il gettito complessivo di tali diritti percepito dagli Stati non può quindi eccedere il totale dei costi relativi a tali attività amministrative, circostanza che deve essere verificata dal giudice del rinvio”, evidenziando al contempo che non può essere escluso che tale fondamentale vincolo possa eventualmente essere rispettato attraverso un contributo calcolato annualmente in base ai redditi di esercizio lordi degli operatori.
[4] Le istruzioni annuali dell’Agcom prevedono – anche da ultimo in relazione alla contribuzione 2012 – che “sono assoggettati al contributo tutti i ricavi conseguiti nel settore delle comunicazioni, ovvero tutti i ricavi afferenti ai servizi che rientrano nelle attività di competenza dell’Autorità, al netto delle quote di ricavo riversati agli operatori terzi”. La ratio della deducibilità dalla base imponibile della contribuzione di tali “ricavi riversati ad operatori terzi” è quella di evitare una doppia contribuzione su un medesimo flusso di ricavi.
[5] L’art. 1, comma 65, della Legge n. 266/2005 stabilisce che “le spese di funzionamento della Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB), dell’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e della Commissione di vigilanza sui fondi pensione sono finanziate dal mercato di competenza, per la parte non coperta da finanziamento a carico del bilancio dello Stato, secondo modalità previste dalla normativa vigente ed entità di contribuzione determinate con propria deliberazione da ciascuna Autorità, nel rispetto dei limiti massimi previsti per legge, versate direttamente alle medesime Autorità. Le deliberazioni, con le quali sono fissati anche i termini e le modalità di versamento, sono sottoposte al Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Ministro dell’economia e delle finanze, per l’approvazione con proprio decreto entro venti giorni dal ricevimento. Decorso il termine di venti giorni dal ricevimento senza che siano state formulate osservazioni, le deliberazioni adottate dagli organismi ai sensi del presente comma divengono esecutive”.
Il successivo comma 66 dispone che “in sede di prima applicazione, per l’anno 2006, l’entità della contribuzione a carico dei soggetti operanti nel settore delle comunicazioni di cui all’art. 2, comma 38, lett. b), della legge 14 novembre 1995, n. 481, è fissata in misura pari all’1,5 per mille dei ricavi risultanti dall’ultimo bilancio approvato prima della data di entrata in vigore della presente legge. Per gli anni successivi, eventuali variazioni della misura e delle modalità della contribuzione possono essere adottate dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ai sensi del comma 65, nel limite massimo del 2 per mille dei ricavi risultanti dal bilancio approvato precedentemente alla adozione della delibera”.
[6] Cfr. G. NAPOLITANO, L’autofinanziamento delle autorità indipendenti al vaglio (parziale) della Corte costituzionale, in Giornale di Diritto Amministrativo, 2008, 2, pag. 139-142. Sulla legittimità costituzionale del sistema di auto-finanziamento della autorità amministrative in relazione alla riserva di legge in materia tributaria di cui all’art. 23  della Costituzione, si veda M. DE BENEDETTO, Indipendenza e risorse delle autorità indipendenti, in M. D’ALBERTI-A. PAJNO, Arbitri dei mercati. Le autorità indipendenti e l‟economia, Bologna, Il Mulino, 2010, secondo cui “la garanzia posta dall’art. 23 Cost. sembra essere assicurata dalle previsioni di legge che disciplinano l’autofinanziamento e circoscrivono il potere deliberativo delle autorità alla definizione di aspetti puntuali della prestazione”.
[7] Al considerando n. 30 della Direttiva n. 2002/20/CE si legge che “ai prestatori di servizi di comunicazione elettronica può essere richiesto il pagamento di diritti amministrativi a copertura delle spese sostenute dall’autorità nazionale di regolamentazione per la gestione del regime di autorizzazione e per la concessione dei diritti d’uso. E’ opportuno che la riscossione di tali diritti si limiti a coprire i costi amministrativi veri e propri di queste attività. Occorre garantire la trasparenza della contabilità gestita dall’autorità nazionale di regolamentazione mediante rendiconti annuali in cui figuri l’importo complessivo dei diritti riscossi e dei costi amministrativi sostenuti. In questo modo le imprese potranno verificare se vi sia equilibrio tra i costi e gli oneri ad esse imposti”.
Analogamente, il considerando n. 31 afferma che “i sistemi di diritti amministrativi non dovrebbero distorcere la concorrenza o creare ostacoli per l’ingresso sul mercato. Con un sistema di autorizzazioni generali non sarà più possibile attribuire costi e quindi diritti amministrativi a singole imprese fuorché per concedere i diritti d’uso dei numeri, delle frequenze radio e dei diritti di installare strutture. Qualsiasi diritto amministrativo applicabile dovrebbe essere in linea con i principi di un sistema di autorizzazione generale”.
[8] “Oltre ai contributi di cui all’articolo 35 [i.e. contributi per la concessione di diritti di uso e di diritti di installare infrastrutture], possono essere imposti alle imprese che forniscono reti o servizi ai sensi dell’autorizzazione generale o alle quali sono stati concessi diritti di uso, diritti amministrativi che coprano complessivamente i soli costi amministrativi sostenuti per la gestione, il controllo e l’applicazione del regime di autorizzazione generale, dei diritti di uso e degli obblighi specifici di cui all’articolo 28, comma 2, ivi compresi i costi di cooperazione internazionale, di armonizzazione e di standardizzazione, di analisi di mercato, di sorveglianza del rispetto delle disposizioni e di altri controlli di mercato, nonché di preparazione e di applicazione del diritto derivato e delle decisioni amministrative, ed in particolare di decisioni in materia di accesso e interconnessione. I diritti amministrativi sono imposti alle singole imprese in modo proporzionato, obiettivo e trasparente che minimizzi i costi amministrativi aggiuntivi e gli oneri accessori”.
[9] Per un approfondimento di tali questioni si rinvia a G. NAPOLITANO – L’autofinanziamento delle autorità indipendenti, in Giornale di Diritto Amministrativo, 2006, 3, 260-266 e M. DE BENEDETTO, Indipendenza e risorse delle autorità indipendenti, cit.; F. MERUSI-M.PASSARO, Le autorità indipendenti, Bologna, Il Mulino, 2008, pag. 68 ss; F. GILARDI, The independence of regulatory authorities, in D. LEVI-FAUR, Handbook of regulation, Cheltenham, Edward Elgar, 2010; V. RICCIUTO, I regolatori del mercato nell’ordinamento italiano. Indipendenza e neutralità delle Autorità amministrative indipendenti, in R. DI RAIMO-V. RICCIUTO (a cura di), Impresa pubblica e intervento dello Stato nell’economia. Il contributo della giurisprudenza costituzionale, Edizioni scientifiche italiane, Napoli, 2006; R. TITOMANLIO, Autonomia e indipendenza delle authorities: profili organizzativi, Milano, Giuffrè, 2000; S. BUSCEMA, L’autonomia contabile delle autorità indipendenti, in Autorità e consenso nell’attività amministrativa, Atti del XLVII Convegno di studi di scienza dell’amministrazione, Varenna-Villa Monastero, 20-22 settembre 2001, Milano, Giuffrè, 2002, pag. 253; A. GOLDSTEIN-A. VERNA, Gli organismi di vigilanza: finanziamento, autonomia gestionale e organizzazione, in G. NARDOZZI-G. VACIAGO (a cura di), La riforma della Consob nella prospettiva del mercato mobiliare europeo, Bologna, Il Mulino, 1994, pag. 217.
[10] Nella Delibera n. 650/11/CONS, relativa alla contribuzione annuale 2012, l’Agcom ha deliberato l’aumento della stessa al 2 per mille dei ricavi delle imprese, giustificando tale incremento anche sulla base dello stanziamento di soli 157.000 euro da parte dello Stato per il 2012. Appena due anni prima, per il 2010, il finanziamento statale era stato invece pari a 651.000 euro, somma che già rappresentava un taglio di circa due milioni rispetto all’anno precedente. Come risulta dalle relazioni annuali e dai bilanci dell’Agcom, invece, l’importo complessivo delle contribuzioni a carico delle imprese è stato invece pari a 62,2 milioni di euro nel 2009 e 63,6 milioni di euro nel 2010.
[11] I bilanci annuali dell’Agcom mostrano che, per gli anni 2006, 2007 e 2008, l’Autorità ha conseguito avanzi di gestione pari, rispettivamente a 2,5 milioni di euro, 1,2 milioni di euro e 3,5 milioni di euro.
[12] Cfr. art. 1, comma 65, della Legge n. 266/2005, secondo il quale “le spese di funzionamento […] sono finanziate dal mercato di competenza”. Il pericolo di una “sovratassazione” è posto in evidenza da G. NAPOLITANO – L’autofinanziamento delle autorità indipendenti, cit., secondo il quale “bisogna prestare particolare attenzione a non creare incentivi perversi: ad esempio, ad estendere il novero dei soggetti regolati allo scopo di allargare la base contributiva; oppure ad accrescere gli adempimenti amministrativi delle imprese soltanto per aumentare le occasioni di riscossione”.
[13] Il nuovo sistema di auto-finanziamento dell’AGCM sostituirà quello attualmente previsto dall’art. 10, comma 7-bis, della Legge n. 287/90 a carico delle imprese tenute al’obbligo di comunicazione delle operazioni di concentrazione. Tale filing fee è pari all’1,2% dl valore della concentrazione comunicata, con un limite minimo di 3.000 euro e un limite massimo di 60.000 euro.
[14] Un esempio di scarsa chiarezza delle modalità di determinazione del prelievo è fornito dalle istruzioni annuali dell’Agcom, nella parte in cui prevedono la possibilità di dedurre dalla base imponibile della contribuzione anche alcuni ricavi riversati ad operatori terzi. La formulazione con cui alcuni di questi ricavi sono indicati (“ricavi riversati a operatori terzi relativi a servizi di raccolta, transito e terminazione del traffico”), tuttavia, se interpretata in maniera rigorosamente letterale porterebbe a non applicare tale deduzione ad una vasta categoria di operatori (ad esempio, gli operatori mobili virtuali, che tecnicamente non sono interconnessi ma fruiscono di servizi all’ingrosso forniti dal proprio operatore di rete ospitante). Dunque, al fine di evitare la creazione di situazioni di discriminazione tra operatori, si ritiene necessaria una lettura che sia coerente le finalità complessiva del sistema di contribuzione e che sappia adattarsi alla rapida evoluzione dei servizi e delle reti di comunicazione..
[15] In G. NAPOLITANO – L’autofinanziamento delle autorità indipendenti, cit., si evidenzia altresì che “le delibere con cui sono fissati i livelli di contribuzione e i corrispettivi per l’erogazione di determinati servizi dovrebbero essere soggette alle medesime procedure di consultazione abitualmente osservate per l’emanazione di atti generali di regolazione del mercato”.
[16] Su tale aspetto si veda J. STERN-P. LEVINE-F. TRILLAS, Independent utility regulators: lessons from monetary policy – Regulation Initiative Working Paper, 52.
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