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Bitcoin: alla scoperta della criptovaluta senza banche e definizioni giuridiche
Un’analisi del fenomeno innescato dalla moneta elettronica con la giornalista Carola Frediani, il presidente della Bitcoin Italian Foundation Franco Cimatti, il parlamentare di Sel Sergio Boccadutri e l’analista dell’Istituto Bruno Leoni Massimiliano Trovato. Non solo “deep Web” per un fenomeno che inizia a contaminare il mondo offline. Mentre è distante la visione di chi lo vuole regolamentare e chi invece tende a lasciare alla comunità e al mercato il ruolo di garanti e decisori; se per Boccadutri “occorre dare definizione e quadro normativo”, per Trovato “si finirebbe per contraddire la natura dello strumento tagliando fuori l’Italia dal circuito o facendo precipitare lo strumento stesso in un mercato nero” Ad un estremo c’è chi li teme e alza gli scudi. All’altro chi ne ha capito le potenzialità e cerca di sfruttarli al massimo. In mezzo, istituzioni chiamate a gestire un fenomeno sempre più invadente (e invasivo) nei mercati e forze di polizia impegnate a reprimere abusi e distorsioni che si consumano in oscuri meandri del Web. Il Bitcoin, la più famosa criptovaluta in circolazione, è di sicuro uscita da tempo dal radar dei soli addetti ai lavori e dei “nerd” che ne seguono l’evoluzione da quando un anonimo creatore, tra il 2008 e il 2009, diffuse il codice open suore che ne è alla base utilizzando lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto. È quindi necessario tirare le fila di dinamiche che, tra evoluzione tecnologica e fatti di cronaca, spesso viaggia a velocità superiori rispetto alla comprensione supportata da un’analisi critica. Quella tratteggiata nella puntata di domenica 2 febbraio di “Presi per il Web”, trasmissione di Radio Radicale condotta da Marco Perduca, Marco Scialdone e Fulvio Sarzana con la collaborazione di Marco Ciaffone e Sara Sbaffi. Ospiti dell’appuntamento Carola Frediani, giornalista de l’Espresso e Wired, Franco Cimatti, presidente Italian Bitcoin Foundation, il parlamentare di Sel Sergio Boccadutri e Massimiliano Trovato, analista dell’Istituto Bruno Leoni. Innanzitutto la cronaca, con l’arresto eccellente del 24enne Charlie Shrem, vice presidente della Bitcoin Foundation, accusato dai procuratori federali degli Stati Uniti di una cospirazione volta a riciclare più di 1 milione di dollari in moneta virtuale, in relazione all’attività illecita del bazaar online Silk Road, sequestrato nell’ottobre scorso e principale esempio delle tante piattaforme che popolano il cosiddetto “deep Web“. È con Frediani che si cerca la risposta alla domanda: quanto è davvero legato il Bitcoin alle storture di questo Web nascosto e quanto invece si rischia di cadere in una mistificazione presentando questo legame? “È fuori dubbio – commenta la giornalista – che molte delle caratteristiche di questa moneta, l’anonimato su tutte, l’abbiano resa uno strumento che ha da subito fatto comodo a chi su Internet ci va per commettere illeciti. Ma ridurre solo a queste fattispecie il fenomeno significherebbe ignorare un intero universo circostante, un’economia legale e alla luce del sole. Inoltre, è il fatto che il circuito Bitcoin non abbia subito ripercussioni dalla chiusura di spazi come Silk Road a testimoniare che il primo è indipendente dal secondo”. Dalle valute “territoriali” come Sardex e Sicanex fino alle ultime aperture arrivate da eBay, non manca la possibilità di sfruttare le monete elettroniche anche per acquisti che potremmo definire tradizionali; una serie di utilizzi peraltro ben riassunta dalla stessa Frediani in un articolo recentemente pubblicato su Wired.it insieme alla mappa degli esercizi italiani in cui è possibile pagare coi Bitcoin. “Da un lato c’è il peer to peer che decentralizza il controllo del sistema – puntualizza Frediani – dall’altro la crittografia. Il mix tra i due piani crea l’esperimento nuovo al quale stiamo assistendo”. La decentralizzazione come caratteristica fondamentale ricorre anche nell’intervento di Cimatti: “L’utilizzo della moneta tradizionale presuppone il doversi rimettere a decisioni prese da terzi, che possono anche sbagliare. Il Bitcoin invece si basa su regole matematiche certe scritte su un codice e conosciute a monte. E il valore di ogni Bitcoin lo decidono le persone e gli scambi che avvengono tra di loro”. L’analisi prosegue passando per il “mining” che permette di creare moneta e per le incredibili fluttuazioni (e i record) del prezzo, fino ai meccanismi di protezione dei “wallet”, i portafogli che contengono le chiavi di accesso ai propri risparmi elettronici. Tema caldissimo se si pensa agli ultimi colpi messi a segno dal cybercrimine; nel novembre scorso furono rubati Bitcoin per un milione di dollari alla danese Bitcoin Internet Payment System, terzo furto di Bitcoin di un certo rilievo in pochissimo tempo; all’inizio del mese erano stati rubati Bitcoin per 1,2 milioni di dollari all’australiana inputs.io, mentre ancora più imponente era stato il furto ai danni della BTC Cina, un colpo da oltre 4 milioni di dollari. Tanti gli aspetti per un dibattito che in Italia sembra per il momento confinato alla proposta del parlamentare di SEL Giorgio Boccadutri, che pochi giorni fa ha presentato un emendamento al piano Destinazione Italia che cita la moneta elettronica e la promozione del suo utilizzo all’interno di un quadro regolatorio. “Finché non ci sarà una regolamentazione – chiosa Boccadutri – il Bitcoin non potrà uscire dalla nicchia nel quale è relegato. Come può chi deve fare i conti a fine mese inserire una voce che non trova alcun riferimento normativo e fiscale? Il primo passo deve dunque essere una sua definizione giuridica, partendo da un presupposto: chi demonizza la moneta elettronica menzionando i casi di cronaca riferiti agli illeciti fa un cattivo servizio alla comunità. Sono decenni che si utilizzano una larga serie di strumenti per mettere in atto traffici illeciti internazionali, mentre il Bitcoin serve a fare molto altro. Occorre così metterlo al pari degli altri sistemi di pagamento garantendo la tracciabilità degli scambi”. In giro per il mondo le soluzioni proposte sembrano molto diverse tra loro, in alcuni casi opposte. Ad esempio, il Governo di Singapore qualche settimana fa ha indicato quali sono le modalità con le quali la compravendita tramite moneta elettronica si interfaccia con il fisco locale, mentre la Banca centrale cinese ha chiaramente vietato al settore finanziario del Paese di utilizzare e creare business con la moneta elettronica. Nei giorni scorsi un’iniziativa privata che va nella stessa direzione, quella del gigante dell’eCommerce cinese Alibaba, che dal 14 gennaio scorso non permette nessun tipo di attività tramite Bitcoin sui suoi servizi. Una decisione che deriverebbe, stando a quanto dichiarato dalla compagnia, dalla volontà “assicurare un sano sviluppo di Taobao Marketplace”, piattaforma per l’online shopping del tutto simile a eBay. Nel non nutrito gruppo di Paesi che hanno cercato di affrontare con tempo le sfide poste dalla moneta elettronica figurano poi la Slovenia, dove il Bitcoin è considerato moneta virtuale ma gli scambi non sono messi alla pari delle altre attività monetarie, la Germania, che invece considera il Bitcoin una “moneta privata” o uno “strumento finanziario”, mentre è in discussione nel parlamento svizzero un disegno di legge che vorrebbe riconoscere alla moneta elettronica proprio lo status di valuta. L’ultima iniziativa in ordine cronologico è quella dello Stato di New York, dove si pensa ad una licenza per il rilascio di monete elettroniche così da tutelare i consumatori. Mentre c’è chi inizia a domandarsi se il Bitcoin non sia una seria minaccia alla tenuta del sistema bancario come l’abbiamo conosciuto finora. La visione del “regole certe per questa moneta” viene però contestata da Trovato: “Innanzitutto, le proposte di legge non si fanno per creare dibattito, ma per precisi scopi legislativi che, in questo caso (la proposta di Boccadutri, ndr), mi sembrano sbagliati. Pretendere di imporre ai Bitcoin un sistema di tracciabilità e regolazione disegnato per un sistema di pagamento tradizionale contraddice la sua stessa natura di una valuta che non ha bisogno di corso legale. L’approccio della regolamentazione a tutti i costi taglierebbe l’Italia fuori dal circuito degli scambi o, più probabilmente, farebbe precipitare gli stessi all’interno di una specie di mercato nero. Non è vero – afferma Trovato – che in questo momento un esercizio commerciale come un supermercato o un falegname non possa accettare pagamenti in Bitcoin perché non regolati, e gli esempi concreti lo dimostrano. Anzi, la moneta elettronica si sta rivelando un eccellente mezzo di pagamento, mentre è più deficitaria sul fronte della riserva di valore, vista la grande volatilità del prezzo”. Immagine in home page: Webnews.it 3 febbraio 2014