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Google-Fieg, tregua per l’info-mediazione

di Maria Letizia Bixio Lo scorso 7 giugno 2016 la Federazione Italiana Editori Giornali e Google hanno annunciato con comunicato stampa la firma di un accordo strategico di collaborazione, volto a promuovere un approccio innovativo per la stampa italiana nell’era digitale all’insegna della miglior tutela del diritto d’autore.

Una firma che si colloca, a dimostrazione di un rifiuto all’ipotesi di introdurre un nuovo diritto connesso per gli editori, a meno di dieci giorni dalla chiusura della consultazione pubblica sul ruolo degli editori nella catena del valore del diritto d’autore: “On the role of publishers in the copyright value chain and on the ‘panorama exception”.

Tra i punti di forza dell’accordo è stato annunciato il riconoscimento dell’importanza del diritto d’autore e la valorizzazione dei contenuti editoriali con l’utilizzo, attraverso revenue share, della soluzione di distribuzione mobile Google Play Newsstand e della piattaforma video YouTube.

Inoltre agli editori verrà consentito di disporre dell’utilizzo degli strumenti Google Analytics che consentono l’accesso a informazioni di valore strategico per la profilazione degli utenti fruitori dei servizi di informazione.

Le quattro aree di sviluppo annunciate sono: il mobile e il video analytics, gli strumenti di tutela del diritto d’autore e la formazione. L’accordo prevedrebbe, infine, un investimento iniziale per il primo triennio pari a 12 milioni di euro da parte di Google, con possibilità di crescita sino a circa 40 milioni di euro dopo il terzo anno.

Senza dubbio lo scopo comune mostrato è quello di sviluppare nuove modalità di interazione con gli utenti per il raggiungimento di audience più ampi.

Ora, all’indomani dell’accordo italiano, di cui poco si conosce al di là di quanto annunciato nei comunicati stampa, si può tentare una via di approfondimento guardando alla precedente esperienza francese, in modo da comprendere la ratio e i limiti di operazioni in radice similari.

Un accordo analogo tra Google e la stampa francese risale, infatti, al 2013, dopo l’annuncio all’Eliseo di François Hollande e Eric Schmidt di un evento importante “per il futuro dell’ informazione on line”.

All’epoca furono due le direttrici alla base del negoziato: la creazione di un fondo di sostegno per i siti d’informazione e l’attuazione di un partenariato commerciale rinforzato. Google si impegnava a finanziare direttamente  un certo numero di editori francesi e a beneficiarli di condizioni vantaggiose ai fini della commercializzazione dei loro spazi pubblicitari attraverso i propri servizi.

La somma totale devoluta a beneficio dell’operazione era pari a 60 milioni di euro in tre anni, ben maggiore del risultato ottenuto in Italia dalla Fieg.

Precedentemente, nel dicembre 2012, Google aveva raggiunto un compromesso anche con gli editori della stampa belga, all’esito di un lungo contenzioso che li vedeva opposti dal 2006. In quel frangente la società americana accettò di regolare tutte le spese legali sostenute dagli editori e di versar loro una compensazione pari a 5 milioni di euro.

L’esempio degli accordi franco-belgi, che la Fieg ha deciso di ricalcare, conferma certamente l’opportunità per i siti di attualità di beneficiare di una nuova fronte di reddito, che, specie in un momento storico in cui i finanziamenti all’editoria scarseggiano, appare strategica; tuttavia, al contempo, è evidente come venga rinforzata la dipendenza degli editori europei dalla multinazionale californiana.

Per provare a comprendere la ratio di tali accordi, urge interrogarsi sulla funzione sempre più ampia assunta dalla filiera dell’informazione on line, intesa come quell’insieme di attività comprendenti la produzione e la diffusione di notizie su internet.

Lo scenario dell’informazione online, definito dai francesi “info-mediazione”, è divenuto eterogeneo, lasciando obsoleti i paragoni con il medesimo settore in versione analogica.

In primo luogo, a stravolgere i canoni dell’informazione è stato l’avvento dei grandi players come Google, Apple, Amazon, o Facebook, i quali, hanno accentrato le attività di selezione, organizzazione, e distribuzione dell’informazione sul web, imponendosi come “intermediari” nevralgici nell’intersezione tra offerta e domanda, ovvero tra produttori ed editori di contenuti da un lato, e utilizzatori dall’altro.

Il denominatore comune, o meglio il tallone d’Achille, tra queste società a carattere fortemente tecnologico è il fatto che non producano prodotti culturali originali destinati al grande pubblico. In altri termini, sussiste un rapporto di subordinazione tra le stesse e le industrie culturali, laddove tali piattaforme, con i loro algoritmi e la molteplicità di servizi associati, dipendono quasi totalmente dalla quantità e qualità dei contenuti prodotti.

Questa è la ragione che spiega l’ambiguità delle relazioni che gli attori tecnologici instaurano con gli editori.

Tali accordi segnano l’approdo di un lungo iter di reciproche concessioni tra le industrie di contenuti e gli aggregatori; la firma californiana, rappresenta un grande passo avanti rispetto all’approccio da sempre reticente alla remunerazione dei produttori e degli editori di contenuto, si pensi a quando, circa dieci anni fa, Google nel lanciare il servizio di news, mise gli editori dinanzi al fatto compiuto senza alcuna previa consultazione.

Inoltre la firma dell’ accordo italiano, così come per quelli franco-belgi, è conferma di una situazione di necessaria concorrenza e cooperazione, connotata dalla mutua dipendenza tra editori e aggregatori.

Se è vero che negli Stati Uniti come in Europa tra il 30 % e il 50 % dei lettori dei grandi portali d’informazione passano per i servizi di Google, con l’accordo la società americana ha riconosciuto altresì indirettamente una virtuosa dipendenza dagli editori, in grado di procurare alla società delle esternalità positive, sotto forma di contenuti che aumentano l’utilità dei propri servizi.

Inoltre, se si guarda al mercato globale, dove competono tutti i giganti del web, l’avere stabilito dei partenariati privilegiati con gli editori, costituisce senz’altro un vantaggio ragguardevole.

Come si è detto, al momento i termini dell’accordo italiano non sono noti, tuttavia si può immaginare che, sebbene il motore di ricerca garantirà dei profitti notevoli, potrebbe divenire anche bersaglio di attacchi sempre più frequenti da parte delle industrie culturali che si reputeranno lese.

E’ forse per queste ragioni che Google non ha mai voluto un riconoscimento istituzionalizzato di tali rapporti con i produttori di contenuto, opponendosi con successo alla creazione di un nuovo diritto connesso per gli editori.

Il punto più critico della vicenda resta, dunque, nella diseguaglianza, già forte, dei mezzi di cui dispongono gli editori a stampa indipendenti in rapporto con coloro che appartengono a grandi gruppi di comunicazione, tale divario rischia di aggravarsi a meno che la gestione dei fondi di finanziamento creati, non sia del tutto trasparente e a meno che gli editori più piccoli non entrino in Fieg.

In caso contrario, lo schema degli accordi Google-editori rischia di riprodurre un iter già noto in Francia, cioé quello degli aiuti alla stampa. Considerati gli intenti del tutto rispettabili, si auspica che questo sistema non divenga, dunque, inefficace a causa  della sua tendenza a privilegiare i media più influenti.

Diversamente, ove il portavoce per eccellenza della libertà d’impresa dovesse divenire il principale promotore di fondi di un sistema d’aiuti, lo scenario che si prefigura potrebbe risultare paradossale.

24 giugno 2016

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