La Commissione europea ha recentemente pubblicato i primi progetti ai quali è stato assegnato il…
I contratti di accesso ad internet
di Alberto Maria Gambino [*] Ordinario di diritto privato nell’Università Europea di Roma 1. Nell’architettura di queste iniziative noto una coerenza che parte dal sistema dei saperi: le libertà fondamentali, i diritti di natura pubblicistica, la proprietà intellettuale che si trova in via mediana nella vicenda che coinvolge il sottoscritto, ovvero quella che attiene al diritto civile, al contratto. Da questo punto di vista, il fatto che siamo all’interno di una sessione che coinvolge le situazioni patrimoniali in Internet mi consente di seguire l’itinerario giuridico consueto quando si parla di contratti di accesso. Itinerario giuridico consueto ma che è particolarmente rigido; questo lo indico subito come chiave di lettura del mio intervento. Cioè lo schema giuridico relativo al tema dell’accesso negoziale ad Internet, col quale la dottrina si è confrontata, ha come riferimento una serie di dati di fatto che in questi ultimi anni, forse questi ultimi mesi, si sono evoluti a tal punto che possono rimettere in discussione anche le ricostruzioni dottrinali, pur esemplari dal punto di vista del metodo e della logica giuridica. Il contratto d’accesso ad Internet è stato sempre inteso come contratto di connettività, a dire un contratto che ha come oggetto la potenzialità tecnologica di un elaboratore elettronico di connettersi con la rete [1]. Questa caratteristica, nelle prime tipologie contrattuali, era un po’ un tutt’uno con quel contratto con cui si acquistava l’hardware, il programma applicativo e il diritto (effetto di contratto, dunque di natura non pubblicistica) di accedere alla rete. Hardware in grado di connettersi e hardware non in grado di connettersi [2]. 2. Oggi la situazione è cambiata. Gli hardware, a cominciare dai nostri smartphone, hanno in sé una duplice possibilità: quella di avere costantemente attivata la connessione ad internet, si pensi alla tecnologia del 3G, oppure di possedere una potenzialità di connessione, che tuttavia si attiverà di volta in volta solo attraverso specifici accordi con gli Internet Service Provider (ISP): si pensi alla tecnologia wifi. Seguendo l’itinerario rigido della dottrina, già a questo livello si rende problematica l’equazione che ha contraddistinto gli studi in materia: contratto di accesso ad internet, i.e. contratto di connettività, dunque contratto che ha come oggetto la prestazione di servizi di carattere duraturo a tempo determinato o indeterminato secondo un modulo continuativo periodico. Questo schema nella declinazione dell’hardware auto-connettivo ancora funziona, ma nell’hardware che definirei etero-connettivo, dove il contratto di accesso al sito è distinto e successivo al contratto di abbonamento, ci troviamo certamente davanti a due rapporti negoziali: uno di connettività potenziale – l’apparecchio è stato attivato ed è idoneo a navigare ma non naviga; il secondo è relativo a quello che chiamiamo contratto di abbonamento alla rete internet dove la connettività diventa davvero effettiva. Tale vicenda giuridica si staglia in due scenari negoziali distinti. 3. Ma cos’è quest’accesso? L’accesso a che cosa? Se non esistesse Google o se domani Google decidesse di proporre a pagamento l’utilizzo del proprio motore di ricerca, potremmo dire che con la connessione abbiamo realizzato l’accesso alla rete internet? E se lo facessero tutti i motori di ricerca? Saremmo obbligati a stipulare un altro specifico contratto per l’accesso alla rete; accesso non chiave tecnica, sostanziale sì. Perché l’oggetto di questa connessione sono informazioni, dati, risorse cha danno reale contenuto al contratto di accesso alla rete. Lascio aperta questa prospettiva ma quando gli studiosi di diritto si sono affacciati sul tema, non esisteva Google; anzi i primi motori di ricerca erano altri. Esistevano addirittura veri e propri elenchi cartacei con gli indirizzi dei siti Internet. Poi all’improvviso, invasivi e pervasivi, i motori di ricerca hanno mostrato tutta la loro utilità, offrendo oggettivamente possibilità di fare ricerche nel modo più semplice possibile: digitando le parole evocative ciò che si voleva trovare in rete. E’ stato quindi normale che l’utente si è spostato sui motori di ricerca ed oggi non può farne a meno. Da questo punto di vista la difficoltà è di coniugare all’interno di uno strumento della civilistica (il contratto) un oggetto (le informazioni) che appartiene alla pubblicistica. Lo strumento contrattuale qui deve tener presente che c’è un elemento teleologico: l’accesso alla rete che non è l’accesso alla rete in senso tecnico ma è l’accesso all’informazione. Non è dunque la stessa cosa rispetto a collegare la presa di corrente o il cavo dell’aspirapolvere. 4. Quali sono a questo punto i contenuti standard di un contratto di “accesso all’informazione”? Si prenda l’accordo negoziale relativo all’utilizzo del wifi di un ente territoriale, un comune. Abitualmente l’incipit di tali accordi recita: condizioni e termini di utilizzo del servizio. Il servizio offerto è gratuito e consiste di funzionalità inerenti l’accesso ad internet in modalità senza fili, wifi; il servizio permette a tutti i possessori di pc portatili, smartphone, tablet, palmari, dotati di rete wifi la connessione internet limitata ad alcune ore al giorno. Talvolta si aggiunge che il fornitore pubblico sta attuando un programma di evoluzione dei servizi con la possibilità di aderire ad un progetto rivolto a tutte le pubbliche amministrazioni per la creazione della prima rete federata nazionale di accesso gratuito ad internet senza fili [3]. In questo modo l’utente potrà usufruire sull’intero territorio di una rete pubblica gratuita. Il fornitore inoltre si premura affermando che non garantisce sui livelli di servizio offerto dalle altre reti wifi che hanno aderito al progetto e si riserva di ampliare e modificare la gamma delle funzioni del servizio. La tipologia negoziale descritta offre dunque un accesso alla rete – certo non esclusivo, perché è ovviamente possibile continuare ad avere l’accesso attraverso il proprio contratto di abbonamento. Certamente assai concorrenziale si rivelerà un servizio, all’apparenza a titolo gratuito, offerto da un ente pubblico, ove questo sia così virtuoso da dotarsi di una infrastruttura tecnologica idonea a collegare senza discontinuità i vari punti wifi. Interessanti poi, nell’ottica di un’interazione diritto pubblico e diritto privato, alcuni contenuti peculiari quali quelli in cui l’utente prende atto che è vietato servirsi o dar modo ad altri di utilizzare il servizio contro la morale o l’ordine pubblico o con lo scopo di recare molestia alla quiete pubblica o privata o di recare offesa o danno diretto a chicchessia o di violare comunque il segreto di messaggi privati ed una serie di indicazioni. Sono vicende giuridiche che all’interno di un contenuto negoziale lasciano punti interrogativi, in quanto qui il contratto ha quale oggetto la connettività e dunque i contenuti informativi che viaggiano all’interno delle comunicazioni tra utenti sono difficilmente attribuibili, in termini di responsabilità e vigilanza, al soggetto che eroga il servizio: appare piuttosto clausola che sconta la coloritura pubblicistica dell’ente che offre questo servizio, il quale non offre semplicemente un servizio agli utenti, ma dialoga, in qualche modo “parla” ai cittadini. Non so se stiamo tornando ad un modello di rapporto giuridico non più e non solo concentrato sul rapporto negoziale di stampo privatistico ma piuttosto riecheggiante formule concessorie e autorizzative tipicamente pubblicistiche. Certo pare più una congettura nostalgica e anacronistica, lontana dai contenuti giuridici dello schema negoziale approntato da tali peculiari fornitori, eppure in controluce di questo modello c’è anche questo. Tanto è vero che nel lessico utilizzato più che al contratto e alla sua congenita coloritura economica, viene dato risalto all’espressione rassicurante “termini di utilizzo del servizio Wifi”. 5. Proseguiamo l’itinerario. Dunque, prima crasi tra contratto che assicura potenzialmente la connessione con la rete e accordo relativo alla effettiva connessione con la rete: si tratta di realtà giuridiche scindibili, cui potrebbe aggiungersene una terza là dove i motori di ricerca si configurassero quali accordi per il servizio di ricerca e ciò un giorno si cristallizzasse plasticamente con la richiesta di corrispettivo. Nella rigidità del sistema delineatosi negli studi della dottrina si esemplificavano le due fasi con il contratto d’acquisto dell’hardware, sistema operativo che coinvolgeva licenze, e il contratto di abbonamento alla connessione con la rete. Già la Cassazione recente del 2014 [4], distinguendo radicalmente il contratto d’acquisto dell’hardware dal contratto di licenza ed uso del sistema operativo, ha messo fine ad una serie di ambiguità che combinavano in un unico contratto sia l’acquisto del bene hardware che l’utilizzo del sistema operativo, che – nel nostro caso – è anche sistema di connessione alla rete ove quel sistema annoveri anche tale funzione. La Cassazione ci ha ricordato che sono due contratti distinti, forse collegati sul piano fattuale, ma non sul piano giuridico. Molti di noi hanno già letto se non commentato questa sentenza, arrivata dopo nove anni di contenzioso per una somma di appena 130 Euro: si comprende che non fosse tanto rilevante la somma in sé quanto l’impatto della decisione sull’intero sistema. 6. Quando entra in gioco l’internet service provider ovvero il fornitore di accesso alla rete? Si attiva il computer, si aziona il sistema operativo e si sviluppa il dialogo con la rete. L’ISP consente tale percorso, attraverso l’assegnazione dei numeri IP, dotando gli utenti dei protocolli di comunicazione che rendono abile il nostro sistema di poter dialogare con la rete. Il provider si obbliga con il contratto di accesso ad internet a rendere possibile all’utente il collegamento costante con la rete una volta che questi abbia computer, modem e linea telefonica. Ma l’accesso effettivo si realizza nella fase in cui l’utente entra nello scenario della comunicazione online ovvero con la possibilità di reperire informazioni in rete. Una riprova della centralità di questo “accesso effettivo” ce lo rende l’individuazione dell’autorità che, pur non essendo esaustivamente quella preposta, comunque tratta questo tema: l’AGCom, che, nel definire quali siano i livelli di servizio minimi ed essenziali, ha introdotto nel settore delle comunicazioni elettroniche ciò che già opera da anni con l’energia elettrica, l’acqua e il gas: lo Statuto delle Carte dei Servizi [5]. Lo Statuto altro non è che un tentativo di ridefinire il contenuto negoziale attraverso una fonte eteronoma rispetto alla volontà delle parti, con pregnanza vincolante in forza della promanazione da un organismo di carattere pubblicistico, che è, appunto, l’AGCom. L’operatore cioè il service provider, si trova di fronte a due fonti regolatorie: il contenuto del contratto definito unilateralmente e i contenuti relativi a livelli qualitativi e quantitativi del servizio, definiti da una Carta di stampo pubblicistico che deve essere recepita dal contratto [6]. A questo punto l’utente ha due strade: verificare se il contratto ha recepito la Carta; in questo caso trova nel negozio l’azione per far valere i propri diritti; laddove invece non fosse stata recepita, può adire l’AGCom con l’attivazione di una procedura che riguarda l’adempimento degli operatori rispetto alle direttive regolatorie dell’Autorità. 7. Rispetto allo scenario descritto, il dibattito sull’inquadramento giuridico si svolgeva un po’ stucchevolmente più che sulla valutazione giuridica del dato tecnologico in evoluzione – i.e. l’accesso ad internet – sul confronto dottrinario tra servizi, somministrazione, somministrazione di servizi se non di cose, facendo leva sull’articolo 1677 c.c. e sulla possibilità di trovare un meccanismo di somministrazione di servizi anche laddove ci si trovava davanti a fattispecie che, rispetto ad una visione rigida della norma, fossero configurabili come appalto di servizi. A ben vedere la realtà odierna supera tale visione. I caratteri del rapporto di accesso alla rete, infatti, condensano il tratto di un rapporto di durata che diverge, dunque, rispetto all’appalto purtuttavia presentando una forte organizzazione dei mezzi necessari, l’infrastruttura tecnologica. La linearità e immediatezza con cui noi percepiamo la rete non è tale anche dall’altra parte. L’ente pubblico territoriale che pare offrire un semplice servizio di wifi, sostiene un investimento in infrastrutture elevatissimo. L’angolatura ristretta di individuare il tipo dell’appalto o della somministrazione, si scioglie nella trama di uno scambio tipico della somministrazione con un investimento in infrastruttura che tipicamente appartiene invece all’appalto. Elemento ulteriore, su cui occorre indagare in successive ricerche, è la configurazione giuridica di una successiva condivisione dell’accesso alla rete internet da parte dell’utente con altri utenti. Pertanto, nel momento in cui ci si connette con quella miniera di enorme ricchezza informativa, che è la rete, si può decidere di condividerla e di farlo facendosi corrispondere negozialmente un corrispettivo? Ma la catalogazione giuridica non cambierebbe anche se fosse a titolo gratuito. E allora, in questo caso, chi contrae? L’operatore che attiva la connessione oppure l’utente che consente l’accesso al terzo? Cosa implica il fatto che abitualmente si tratta di un servizio che già potenzialmente offre lo sharing? Sono questi i tratti evolutivi dell’accesso alla rete su cui la dottrina dovrà concentrarsi. 8. Anche la traiettoria che, con sano pragmatismo, aveva spinto la dottrina a incasellare il rapporto di accesso alla rete entro i confini della tipicità merita una chiosa. Il presupposto di quella prospettiva stava nella generale insoddisfazione a configurarne un contratto atipico, tesi pur corretta sul piano teorico ma che la compresenza diffusa di moduli negoziali dal carattere transazionale postulava, nella missione del giurista, la necessità di ricondurre il fenomeno entro categorie ordinate e dunque rispecchianti sinallagma della tradizione codicistica. Di qui il dibattito noto. Oggi con il Codice del Consumo, in particolare con la novella legislativa di cui al d. lgs. 21/2014 [7], con presidi consumeristici puntuali, quel dibattito non sembra più necessario [8]. Perlomeno con riferimento a connessioni di breve durata nelle reti pubbliche approntate dagli enti locali. Mentre nel contratto di abbonamento con connessione continuativa di durata lunga si torna allo schema primordiale consueto e descritto in precedenza. Già i termini definitori della direttiva sul contratto di consumo con il relativo decreto legislativo mostrano una disarmante riduzione della questione. Contratto di vendita – in quel testo – è qualsiasi contratto in base al quale il professionista trasferisce o si impegna a trasferire la proprietà di beni al consumatore; il consumatore ne paga o si impegna a pagarne il prezzo e, conclude la norma, inclusi i contratti che abbiano ad oggetto sia beni che servizi. Il contratto di compravendita include anche i servizi. Si tratta evidentemente della cristallizzazione del principio di prevalenza che rende compravendita ciò che ha anche una dosa minoritaria di servizi. Poi andiamo a leggere anche il contratto di servizi che conferma che il negozio si configura anche qui ove il consumatore paghi o si impegni a pagarne il prezzo. Non esistono più i contratti a titolo gratuito? Nella definizione del Codice del Consumo il contraente paga o si impegna a pagare il prezzo altrimenti siamo fuori dal contratto di vendita e dai contratti di servizi. Ci viene in soccorso un’altra definizione, quella del contratto a distanza (pur nel ribaltamento sistematico del testo normativo che nella sua articolazione antepone i contenuti del contratto alla tecnica di conclusione dell’accordo). Nel contratto a distanza ci si limita a citare il professionista, il consumatore, l’organizzazione di vendita di prestazioni di servizi a distanza senza la presenza fisica, e la modalità in cui si realizza il contratto. Qui non si fa riferimento al pagamento del prezzo. Si potrebbe dire che è implicito in quanto il contratto a distanza quando è contratto di servizi a distanza a questo punto ci deve essere. No, non è implicito. Perché andando a vedere l’assetto regolatorio, nella parte dedicata ai contratti a distanza si fa riferimento ad una categoria di contratti a distanza che va anche aldilà dei contratti di vendita e di servizio [9]. Ci si riferisce anche – legandolo agli obblighi d’informazione precontrattuale – a contenuto digitale non fornito su supporto materiale. Sono proprio i contratti di cui stiamo parlando. Sono i contratti di accesso alla rete internet. Perché questa norma si dovrebbe applicare a prescindere dall’onerosità? Perché torniamo all’inizio del discorso: se davvero la risorsa informazione è funzionale a quel contratto ed è ricchezza, per quale motivo se viene offerta a titolo gratuito non si è vincolati ad una serie di oneri (pur mantenendo quel bene un inestimabile valore)? Forse seguendo il solo schema della vendita, e del contratto di servizio, da un punto di vista del codice del consumo si rimarrà legati necessariamente all’onerosità. Così rimarrebbe sguarnito un presidio formidabile nell’ottica della tutela del consumatore. Se un servizio online è gratuito davvero io non posso rivendicare affidamenti. In realtà, tornando all’esempio delle connessioni wifi degli enti territoriali, l’affidamento è addirittura maggiore in quanto ad offrirlo è un soggetto pubblico. Ad esempio, se per motivi di prenotazione di un aereo non riesco a digitare e sono costretto ad effettuare la connessione magari tardiva con un altro fornitore, si potrebbe chiedere un risarcimento per la disfunzione del servizio. Peraltro – ma questo apre un altro tema – è proprio vero che si tratti di contratti a titolo gratuito? Oppure la conseguente profilazione dei miei dati da parte del fornitore rappresenta esattamente il corrispettivo del servizio che mi viene offerto? 9. Vi è un percezione generale da sfatare: che dentro la rete la giuridicità vada di pari passo con la patrimonialità. Si tratta di una percezione che parte da presupposti erronei: la nostra architettura normativa presidia anche gli spazi di libertà soprattutto quando tali spazi si inseriscono in un rapporto negoziale; il rapporto negoziale a titolo gratuito è giuridico. La prevalenza delle situazioni patrimoniali che hanno originato il dibattito dottrinario sull’accesso alla rete risentono di una rigidità di schemi definitori che però non è suffragata dai principi normativi che presidiano il sistema ordina mentale nel suo complesso. La natura pubblicistica universale del bene oggetto del diritto all’accesso è in ideale continuità con il contenuto del contratto. Lo ius positum deve dunque necessariamente offrirci strumenti elastici nell’ottica superiore della tutela dell’utente, sia esso pagante sia esso non pagante.
Note:
[*] Il testo muove dalle relazioni tenutesi al convegno “Internet e diritto civile”, presso l’Università di Camerino il 26 e 27 settembre 2014 e al seminario “Diritto privato e accesso alla rete”, nell’ambito del Dottorato in “Diritto mercato e persona” dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, il 27 novembre 2014. [1] De Nova, I contratti per l’accesso ad Internet,AIDA, Milano, 1996, pt. 1, p. 39 e ss., definisce il contratto di accesso a Internet come “il contratto col quale una parte, il fornitore di accesso a Internet (o Service Provider), concede all’altro, il cliente, la connessione con Internet e fornisce ulteriori servizi, verso un determinato corrispettivo” [2] Sul contratto telematico in generale rinvio a A.M. Gambino, L’accordo telematico, Milano, 1997. [3] Come nel caso di Free Italia WiFi, progetto promosso dalla Provincia di Roma, dalla Regione Autonoma della Sardegna e dal Comune di Venezia e rivolto alle pubbliche amministrazioni per la realizzazione della prima rete federata nazionale di accesso gratuito ad Internet senza fili. [4] Cass. sez. III, n. 19161 dell’11 settembre 2014 nel caso Hewlett Packard dell’acquisto di un notebookda parte di un privato poi costretto ad attivare la licenza d’uso del pacchetto abbinato per la quale aveva successivamente chiesto la restituzione del prezzo corrisposto.Il testo integrale della sentenza citata è reperibile al seguente link http://web.iusletter.com/~admin/iuslettersito/2014.10.09.pdf. [5] Sul tema, in generale, si veda da ultimo G. Nava, La tutela amministrativa dei consumatori alla luce del d.lgs. n. 21/2014 , Diritto Mercato Tecnologia, 2014, 2, p. 48 ss. [6] Come quelle di cui alle delibere AGCOM n. 131/06/CSP e n. 244/08/CSP http://www.agcom.it/carte-dei-servizi. [7] D. Lgs. 21 febbraio 2014, n. 21 Attuazione della direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori, recante modifica delle direttive 93/13/CEE e 1999/44/CE e che abroga le direttive 85/577/CEE e 97/7/CE. [8] Si veda per l’approfondimento delle novità introdotte dal provvedimento A.M. Gambino – G. Nava (a cura di), I nuovi diritti dei consumatori. Commentario al d. lgs. n. 21/2014, Torino, 2014. [9] Sul punto si veda, anche con peculiare riferimento ai profili antitrust, A. Argentati, Contrattazione a distanza e nuovi diritti dei consumatori: quale ruolo per il public enforcement? , Diritto Mercato Tecnologia, 2014, 2, p. 29 ss.
21 febbraio 2015