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Bitcoin: Singapore li tassa, la Cina li vieta

Il governo dell’isola diffonde precise indicazioni sul regime di fiscalità della moneta elettronica, pur considerando l’acquisto di beni e servizi con essa “baratto”. Mentre il gigante dell’eCommerce asiatico Alibaba vieta il suo utilizzo in linea con quanto recentemente indicato dalla banca centrale di Pechino Come vengono tassati gli scambi in Bitcoin? A rispondere è il governo, almeno a Singapore. L’Inland Revenue Authority dell’isola (IRAS), vertice del fisco del Paese asiatico, ha infatti indicato quali sono le modalità con le quali la compravendita tramite moneta elettronica si interfaccia con il fisco locale. L’occasione è stata la risposta ai quesiti posti dalla piattaforma CoinRepublic in merito alla tassazione di guadagni, plusvalenze e imposizione della locale IVA per imprese e commercianti. Al relativo scetticismo con il quale la moneta elettronica era stata accolta dall’autorità monetaria di Singapore segue dunque una chiara apertura e l’elaborazione di un vero e proprio modello basato sulle diverse casistiche. Ad esempio, i Bitcoin verranno trattati come meri prodotti per le aziende impegnate nel brokeraggio della moneta elettronica, e quindi tassati come reddito. Tuttavia, se vengono utilizzati come investimento, il regime fiscale pertinente diventa quello dei redditi di capitale.Quando invece sono vera e propria moneta, ovvero corrisposti per un bene e servizio, essi sono considerati “baratto”, ribadendo così che il Bitcoin non viene considerato alla stregua della valuta. Per quanto riguarda le società estere, non verrà dunque applicata alcuna tassazione sugli scambi. Singapore entra così a far parte del non nutrito gruppo di Paesi che hanno cercato di affrontare con tempo le sfide poste dalla moneta elettronica. Come la Slovenia, dove il Bitcoin è considerato moneta virtuale ma gli scambi non sono messi alla pari delle altre attività monetarie. La Germania considera invece il Bitcoin una “moneta privata” o uno “strumento finanziario”, mentre è in discussione nel parlamento svizzero un disegno di legge che vorrebbe riconoscere alla moneta elettronica proprio lo status di valuta. CHINESE BAN – Dove il Bitcoin non sembra essere benvenuto è invece la Cina. All’inizio del dicembre scorso la Banca Centrale di Pechino ha infatti chiaramente vietato al settore finanziario del Paese di utilizzare e creare business con la moneta elettronica. Nelle scorse ore un’iniziativa privata che va nella stessa direzione, quella del gigante dell’eCommerce cinese Alibaba, i cui vertici hanno annunciato che dal 14 gennaio prossimo non sarà più possibile effettuare nessun tipo di attività tramite Bitcoin sui loro servizi. Una decisione che deriverebbe, stando a quanto dichiarato dalla compagnia, dalla volontà “assicurare un sano sviluppo di Taobao Marketplace“, piattaforma per l’online shopping del tutto simile a eBay. In Italia, invece, il dibattito sulla moneta elettronica appare parecchio acerbo e ancora lontano dal mainstream; tuttavia, non è escluso che la crescita sempre più imponente del valore dei Bitcoin non trasformi la questione in una issue di primo piano anche nel nostro Paese, magari in scia al già accesissimo dibattito sulla WebTax. LEGGI “Maxi-furto di Bitcoin: un milione di euro sottratto all’Internet Payment System”  LEGGI “Negli abissi del Deep Web” 9 gennaio 2013

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