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Una città aperta «come Barcellona». Marzano: digitalizziamo il Comune

IL GIORNO DI RAGGI IN CAMPIDOGLIO, IN GIUNTA NESSUN POLITICO

(via Corriere della Sera) di Andrea Arzilli Il compito di Flavia Marzano, assessore alla Semplificazione-smart city, è quello di digitalizzare il Campidoglio per rimetterlo in contatto con i romani. Considerato il respiro telematico del M5S, il suo assessorato è strategico nel cambiamento evocato per Roma dal governo Raggi.

IL GIORNO DI RAGGI IN CAMPIDOGLIO, IN GIUNTA NESSUN POLITICO

Che significa open government? «La definizione non è mia, ma di Obama. Ed indica tre principi: trasparenza, partecipazione e collaborazione. Principi che sono alla base delle linee programmatiche della giunta capitolina. Trasparenza passa anche dal concetto di dati aperti (open data) ma che vanno resi fruibili e comprensibili a chiunque. Ognuno di noi, amministratori, cittadini o imprese, ha qualcosa da dire, da fare o da proporre. Ma non si può continuare ad operare per compartimenti stagni sia nella struttura amministrativa che tra assessorati: è essenziale incentivare la collaborazione e lavorare orizzontalmente».

E la partecipazione? Questa è la chiave di tutto ed è al centro del programma del governo Raggi. «Certo, dobbiamo confrontarci e deliberare con i romani. Individuare i punti critici e intercettare le indicazioni che la gente non vede l’ora di darci, questo lo sento. Deve finire il distacco tra la città e chi la governa. È chiaro che la democrazia è costosa, faticosa e lenta, ma, alla fine, scegliendo insieme si ottengono risultati più migliori per tutti. E chi sceglierà sarà più collaborativo visto che la decisione l’ha presa anche lui».

Esistono città-modello di riferimento? «Ce non sono diverse, ma forse Barcellona è quella che ci assomiglia di più. E poi New York che è un punto di riferimento mondiale. Roma è una metropoli, ci sono 12 milioni di turisti e milioni di pendolari che “consumano” le strutture e poi se ne vanno a pagare le tasse a casa loro. Ma la città deve essere fruibile anche da loro. Stiamo esaminando i due portali cittadini di Barcellona e New York: stiamo valutando quale ci piace di più per Roma, New York è mono-faccia, Barcellona ha tre possibilità di accesso, cittadino, turista o impresa. Dovremo adattare la scelta alla nostra realtà».

Ma l’utenza, i romani, è pronta per la svolta telematica? «Uno su tre dei romani, e così degli italiani non è mai andato su internet. Noi non lasceremo fuori nessuno. Pensiamo a punti di accesso assistiti ai servizi, con qualcuno che possa aiutare, ad esempio, una nonna a fare online la sua pratica. E a brevi corsi di formazione tecnologica, magari attraverso un bando per universitari che così, guadagnando 3 o 400 euro per un impegno di poche ore settimanali, possano fare lezioni su servizi online o sulle applicazioni del Comune. Immagino i centri commerciali come location delle lezioni, magari nei giorni in cui c’è meno clientela per avere un po’ più di tranquillità. Insomma, in tempi brevi e con costi contenuti si possono ottenere risultati rilevanti. I romani sono pronti e presto noi daremo loro una mano».

Presto, sì, ma quando? «Per ora stiamo raccogliendo informazioni sui contratti in essere. Alcuni fondi sono già stati stanziati e per l’autunno faremo ripartire il lavoro sul portale che è stato fermo per quasi un anno. Come sempre troveremo cose non buone o non fatte: quelle buone le terremo attive, sulle altre agiremo un po’ alla volta. Ma si può andare veloci. Come la tecnologia».

Quindi non è così lontano il momento in cui al romano sarà chiesto di dire la sua sulla una delibera o su una scelta politica del comune, magari con un referendum… Non so se li chiamerei referendum perché ciò implica solo sì, no o mi astengo. Dobbiamo andare oltre: un quartiere ha bisogno di discutere della viabilità, altrove serve una scelta sui rifiuti. Noi attiveremo le persone su quello di cui avranno bisogno. Su una scelta politica, poi, ci potranno fare delle segnalazioni, così il cittadino potrà dirci “sì, va bene” o “no, così non va”, ma soprattutto proporre correttivi: la cosa che ci interessa di più non è il consenso in quanto tale, ma che i romani ci indichino le loro priorità. Solo ascoltandoli e coinvolgendoli è possibile comprendere le loro esigenze. Il “benaltrismo” non serve a nulla. Quando si dice “serve ben altro”, ma ben altro cosa? Io sono felice se mi dici “guarda che secondo noi questa cosa sarebbe meglio farla così”. Gli italiani in generale hanno la sindrome del suddito: borbottano e non dicono, ma la colpa è della politica che li ha estromessi, che ha trattato il cittadino da suddito. Invece io vorrei che i romani partecipassero attivamente: noi daremo loro gli strumenti per farlo. Per il bene di Roma serve fiducia reciproca e ora dobbiamo conquistarla a vicenda.

(fonte: Corriere della Sera/Cronaca di Roma pag.3, 25 luglio 2016)

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