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Apple, la Cina e il codice sorgente

Da un lato le grandi aziende hitech che intendono proteggere i dati degli utenti dalle ingerenze dei governi. Dall’altro le autorità governative che non deflettono dall’obiettivo di acquisire dati potenzialmente utili ad indagini, specie a quelle di terrorismo. WhatsApp, ad esempio, ha introdotto la crittografia pochi giorni dopo l’annuncio che il Dipartimento di Giustizia Usa è riuscito a sbloccare l’iPhone dell’attentatore di San Bernardino, con l’aiuto di una società israeliana. A seguito della notizia che le autorità Canadesi hanno violato in più occasioni gli smartphone BlackBerry, Apple ha confermato ufficialmente che la Cina vuole costruire un sistema per violare gli iPhone. Durante un’audizione alla Commissione per l’Energia e il Commercio sul tema della crittografia, il consulente legale di Apple, Bruce Sewell, ha reso noto che il governo di Pechino negli ultimi due anni ha cercato di ottenere il codice sorgente di iOS per almeno due volte. Sewell ha anche confermato che la Mela non ha dato il suo assenso all’operazione come nel caso dell’iPhone di San Bernardino sulla scorta dell’argomentazioni secondo le quali violare il sistema Apple significherebbe inserire backdoor con cui accedere facilmente ai dati dello smartphone, cosa che come ha sottolineato Sewell metterebbe a rischio gli iPhone di tutto il mondo. La Cina rappresenta un mercato di enorme importanza per le aziende tecnologiche di tutto il mondo e molte hanno accettato la censura, pur di non perdere quote di mercato in Oriente. Il paese del Sol Levante costituisce il secondo mercato di riferimento dopo quello USA per la Apple, ma su stessa ammissione del CEO Tim Cook nei prossimi anni le posizioni potrebbero invertirsi. Secondo quanto riferisce il Financial Times, nella seconda metà del 2015 l’azienda di Cupertino avrebbe ricevuto 4.000 richieste di informazione e i tre quarti delle istanze sarebbero state soddisfatte. 22 aprile 2016

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