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Se gli esperimenti sugli utenti di Internet sono la norma
Dalla variazione dei messaggi orientati alla raccolta fondi di Wikipedia alla ricerca del più efficace agli ormai celebri test effettuati dal team di Facebook sugli utenti del social network, la rete è invasa dagli esperimenti dei grandi player degli spazi online. Gli stessi non sarebbero confinati agli sporadici episodi emersi nelle ultime settimane (tra le polemiche), ma rappresenterebbero un modus operandi comune, diffuso, onnipresente. È lo scenario dipinto in una conferenza ospitata a Cambridge, nel Massachusetts, nel weekend appena concluso. ”Quando si fanno cose online c’è una probabilità molto ampia che si sia coinvolti in esperimenti multipli ogni giorno – spiega Sinan Aral della Sloan School of Management del Mit – pensate ad Amazon, Google, eBay, Airbnb, Facebook. Tutti fanno centinaia di esperimenti, e sono anche responsabili di una larga proporzione del traffico web”. Ogni volta che si fa una ricerca con Bing, il motore di Microsoft, si è così soggetti a circa 300 esperimenti, e lo stesso vale per tutti gli altri siti con un numero cospicuo di utilizzatori. Secondo BuiltWith, una compagnia di ricerca australiana, almeno il 15% dei 10mila siti più popolari conduce qualche tipo di test, a partire dai più semplici in cui si fanno piccole variazioni a foto o testi per verificare quale versione piace di più fino alle più “invasive” pratiche di indirizzamento dell’umore messe in pratica dal social network di Mark Zuckerberg. L’insieme, proprio in quanto ampio, è dunque molto eterogeneo; se alcune delle dinamiche descritte rientrano in pacifiche strategie di ottimizzazione dei contenuti, ben diverse sono le situazioni nelle quali gli utenti finiscono, a loro insaputa, per fare da “cavie” per indagini che coinvolgono dinamiche comportamentali. E così, il vero discrimine tra le varie pratiche, a parere degli esperti, sembra essere quello della trasparenza nei confronti delle persone coinvolte nei test. ”Penso che le reazioni all’esperimento di Facebook siano state paradossali – afferma Alessandro Acquisti della Carnegie Mellon University – perché test è stato molto trasparente. Bisognerebbe guardare a come gli esperimenti sono condotti in modo opaco tutti i giorni”. Un nodo tuttavia rimasto tale anche a fronte del “rilancio” che da Menlo Park è arrivato nelle ore successive alle polemiche. Verso la trasparenza nei confronti degli utenti sembra così orientarsi Twitter, che al netto di espedienti con i quali porta talvolta i propri utenti a cliccare su sezioni del sito verso le quali non erano orientati, non ha mancato di annunciare la nuova feature che mostrerà tra i tweet non solo i cinguettii e i retweet di chi si segue, ma anche i contenuti che l’algoritmo considera “interessanti” per gli utenti. Anche qui, il test sarà confinato ad una ristretta cerchia di “cavie”. 20 ottobre 2014