C’è già chi parla di sentenza storica. E in effetti, quella della Corte di Giustizia…
Se Startup diventa una buzzword
Dove finisce la retorica e inizia la sostanza per le aziende nate intorno alle idee innovative? Su Radio Radicale un vivace dibattito tra il giornalista e Web content editor di Data Manager Antonio Caffo, Alessio Jacona, anch’egli giornalista oltre che blogger e consulente di comunicazione online, il Professor Alberto Onetti, docente di Management ed imprenditorialità all’Università dell’Insubria e chairman di Mind the Bridge Foundation, e Alessandro Fusacchia, attualmente consigliere del Ministero degli Affari Esteri e coordinatore della task force sulle startup istituita nell’aprile 2012 dall’allora ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera. Sullo sfondo, il decreto Destinazione Italia appena approvato dal Consiglio dei Ministri con le misure sui libri di carta e l’indicizzazione di prodotti editoriali online: “Nel decreto inserite norme incoerenti con la filosofia del provvedimento” Qual è il confine tra un contemporaneo luogo comune e la sostanza quando si afferma che le startup sono la soluzione alla crisi generalizzata che affligge il nostro sistema economico? Una domanda che appare sensata alla luce dell’attenzione tributata alle aziende che nascono intorno alle idee innovative dagli investitori pubblici e privati e da una sempre più lunga serie di bandi nazionali, regionali, provinciali e comunali. Ancor di più, sembra lecito chiedersi a quale destino vanno incontro i progetti che intercettano finanziamenti e pesare il loro successo al netto di due correnti di pensiero che vanno sempre più radicalizzandosi: quella degli entusiasti delle “startup a tutti i costi” e quella degli scettici che considerano una moda la voglia di innovazione in stile Silicon Valley. È stato questo il tema centrale della puntata di domenica 15 dicembre di “Presi per il Web”, trasmissione di Radio Radicale condotta da Marco Perduca, Marco Scialdone e Fulvio Sarzana con la collaborazione di Marco Ciaffone e Sara Sbaffi. Ospiti della serata il giornalista e Web content editor di Data Manager Antonio Caffo, Alessio Jacona, anch’egli giornalista oltre che blogger e consulente di comunicazione online, il Professor Alberto Onetti, docente di Management ed imprenditorialità all’Università dell’Insubria e chairman di Mind the Bridge Foundation, e Alessandro Fusacchia, attualmente consigliere del Ministero degli Affari Esteri e coordinatore della task force istituita nell’aprile 2012 dall’allora ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera per “analizzare e individuare in tempi brevi le misure da attuare per creare in Italia un ambiente favorevole alle start up innovative”. I dati sui quali si è sviluppata una vivace discussione sono quelli contenuti nel report “The Italian Startup Ecosystem: Who’s Who“, presentato lo scorso ottobre da Italia Startup e gli Osservatori del Politecnico di Milano. In Italia al momento ci sono 1227 imprese innovative, 113 startup hi-tech finanziate, 97 incubatori e acceleratori, dei quali 64 pubblici e 33 privati, 32 investitori istituzionali (6 pubblici e 26 privati), 40 parchi scientifici e tecnologici (37 pubblici e 3 privati), 65 spazi di coworking e 33 competizioni dedicate alle startup. Numeri importanti dietro ai quali si nascondono tuttavia le criticità di un settore dove il tasso di fallimento tra le neo-aziende appare molto elevato, con l’80-85% dei soggetti che non arriva ai primi 3 o 5 anni di vita. Il tutto a fronte di una erogazione di fondi che, sempre stando al report, ha visto finire alle aziende hi-tech 112 milioni di euro nel 2012 e 110 milioni quest’anno. “È questo uno dei pochi fenomeni che in Italia è diventato conosciuto al grande pubblico in pochissimo tempo – ha affermato Caffo – ma ho paura che l’idea di startup in Italia sia diventata sinonimo di poter avere un successo di visibilità in poco tempo, non solo a livello economico. Di sicuro è molto positivo che le idee vengano incentivate da bandi e finanziamenti, ma spesso questi soldi pubblici non si sa alla fine dove vanno a finire. Chi controlla cosa hanno prodotto queste startup?”
@PresiperilWeb La differenza tra startup e impresa non ci deve essere. Il rischio è passi il concetto che fare startup sia più facile — Andrea Dusi (@andreadusi_vr) 15 Dicembre 2013
“Il problema di fondo – è stato il pensiero di Jacona – è il pericolo ‘effetto emulazione’ che deriva da una campagna mediatica che presenta con continuità esempi come quello di Mark Zuckerberg, finendo per ridurre tutto da un lato al successo, dall’altro al solo versante del software e dei servizi, il che elude quella che è una antica competenza e punta d’eccellenza del nostro Paese: la creazione di oggetti materiali. Inoltre – ha proseguito Jacona – se negli Stati Uniti c’è una cultura del fallimento e chi investe in una startup sa che i margini di successo sono ridotti, in Italia no. Da noi il fallimento diventa una lettera scarlatta. L’innovazione non è solo in ciò che si inventa ma nei processi che portano ad investire su un nuovo soggetto”. Il Prof. Onetti ha esordito con una definizione: “La startup è un’impresa di recente costituzione che cerca di fare cose innovative, che ha bisogno di investire prima di aver realizzato le cose e che quindi cerca finanziamenti per l’avvio di un’attività. Se il lato positivo è il riportare un discreto numero di persone a fare impresa, il lato negativo è l’enfasi mediatica su fenomeni che non si conoscono e che dunque finiscono per essere ridotti a categorie inesistenti. Qualche giorno fa – ha chiosato – ho sentito messe in contrapposizione la crisi denunciata dai cosiddetti forconi e l’attenzione posta sulle startup, un’associazione logica davvero discutibile. Sarebbe bene smettere di utilizzare il termine startup per ogni cosa che sta nascendo. Infine – ha affermato in merito ai finanziamenti statali per il nuovi soggetti economici – credo che tutti i soldi che vengono erogati sottoforma di incentivazione ‘a fare’ abbiano scarsa efficacia, perché la storia ci ha insegnato che il pubblico è estremamente scarso nel giudicare il merito”. Dopo una discussione sulle piattaforme di crowdfunding, l’intervento di Fusacchia, che ha naturalmente avuto come incipit gli obiettivi della task force che ha coordinato: “Quando abbiamo fatto il lavoro lo scorso anno la filosofia generale era quella di cercare di contrastare l’approccio avuto dal Paese negli ultimi decenni e che ha visto far partire finanziamenti a pioggia. L’obiettivo era invece cercare di costruire un ecosistema favorevole a questi nuovi soggetti economici connettendoli con il tessuto del mercato. Sulle risorse abbiamo quindi cercato di creare delle condizioni in modo che fosse il mercato privato a drenare risorse, regolamentando l’equitiy crowdfunding, l’accesso al credito bancario ma soprattutto predisponendo un meccanismo di incentivi fiscali che andasse a vantaggio non delle startup direttamente, ma di chi investe in esse. Un’impostazione molto diversa da quella del finanziamento pubblico tout court. La scorsa settimana – ha continuato Fusacchia – la Commissione Euoropea ci ha confermato che il provvedimento è coerente con la normativa degli aiuti di Stato e quindi a breve il ministero dello Sviluppo Economico emanerà un decreto che renderà attuabile la norma”. Intanto, il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto Destinazione Italia, già finito nell’occhio del ciclone per le misure che riguardano incentivi concessi all’editoria cartacea e per la revisione delle norme che regolano il diritto di indicizzazione dei prodotti editoriali online. Fusacchia, su questo, non ha usato mezze misure: “Per ogni italiano che spinge per portare avanti il Paese ce n’è uno che preme in senso opposto. L’obiettivo di un percorso iniziato diversi mesi fa è quello di risolvere il problema della mancanza di investimenti esteri, tema che diventa spesso divisivo con molte categorie pronte a gridare alla svendita del Paese quando un soggetto esterno acquista un aste nazionale. Abbiamo così messo in atto un piano di 50 misure adottate dal Governo il 19 settembre e messe a consultazione pubblica fino al 9 dicembre. Venerdì scorso abbiamo fatto il primo provvedimento, il decreto Destinazione Italia, appunto, che contiene alcune delle misure che stiamo già traducendo in norme operative”. “Ma è evidente – ha proseguito – che ci sono finite dentro, negli ultimi passaggi istituzionali, delle misure che non hanno nulla a che vedere e che anzi sono in contraddizione con il più generale senso del provvedimento, ma che soprattutto non erano contemplate nelle 50 policies di cui sopra, nelle quali non c’era discriminazione tra carta e digitale e nessuna previsione di accordo in merito all’indicizzazione dei prodotti editoriali, entrambe previsioni che vanno nella direzione opposta rispetto a quanto contiamo di fare. Intanto il Parlamento si sta divertendo a tirare fuori norme simpatiche come quella della WebTax. Bisogna interrogarsi su come prendono vita in Italia le leggi, qual è il loro processo di formazione e quale ruolo giocano alcuni soggetti che, portatori di interessi sicuramente legittimi, finiscono per far implementare determinate misure. Il digitale non è un settore – ha concluso Fusacchia – ma la chiave di modernizzazione del Paese trasversale a tutti i settori. Bisogna aggregare le domande di cambiamento perché una sana pressione dal basso è l’unica strada che abbiamo per invertire alcuni trend di conservazione, e da tecnico dico che dobbiamo smetterla di pensare che il Paese si possa cambiare con i tecnici”. Immagine in home page: Networkingstar.com 16 dicembre 2013