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Data Protection, la riforma europea approvata in Commissione: “Flessibili i limiti di età per l’iscrizione ai social network”

La Commissione Libertà civili, giustizia e affari interni del Parlamento Europeo ha approvato, con 53 voti a favore, 2 contrari e 1 astensione, la proposta di riforma della disciplina in materia di protezione dei dati che martedì era stata formulata da Consiglio e Parlamento. Un passaggio che arriva dopo quasi quattro anni dall’iniziativa della Commissione Europea, periodo caratterizzato dalle trattative del trilogo dalle quali è scaturito un testo che si compone di un regolamento generale sulla protezione dei dati e una direttiva sulla protezione dei dati trattati dalla polizia e dalle autorità giudiziarie penali. La riforma punta a dare i cittadini “un maggiore controllo dei loro dati personali” e “una più ampia serie di informazioni su come essi vengono raccolti e trattati”, con un approccio più stringente in termini di consenso; al contempo, all’obiettivo della “portabilità dei dati personali” nel passaggio da un operatore all’altro si affianca un ulteriore riconoscimento del diritto all’oblio. Le imprese dovranno dal canto loro informare le autorità in caso di data breach ma, nelle intenzioni degli organismi europei, potranno beneficiare di “un più armonico quadro normativo” sul Continente nonché del one-stop-shop, lo sportello unico che permetterà loro di confrontarsi con una sola autorità. Le norme saranno applicate a tutte le imprese europee ma anche a quelle imprese che pur risiedendo fuori dall’Unione operano al suo interno. Per chi viola le norme, sono previste multe fino al 4% del totale fatturato annuo mondiale. Allo stesso tempo, le imprese dovranno nominare un responsabile della protezione dei dati se gestiscono notevoli quantità di dati sensibili o di monitoraggio del comportamento di molti consumatori, un obbligo dal quale sembrano tuttavia esonerate le Pmi che non hanno il trattamento dei dati come core business. Ma è proprio il tema delle sanzioni a rappresentare uno dei temi più caldi affrontati nello statement con il quale Digital Europe, che rappresenta alcuni dei maggiori operatori dell’industria tecnologica operanti in Europa, ha puntato il dito contro quelle che ritiene misure pericolose per il mercato: “Occorre evitare l’introduzione di un regime di sanzioni che è sproporzionato, rigido e fissa le sanzioni sulla base del fatturato globale, comprese le entrate che sono del tutto estranee alla attività di trattamento dei dati. Dopo quattro anni di negoziati – si afferma in una nota – è preoccupante che restino aperte delle importanti questioni sul giusto equilibrio tra il diritto alla privacy e la possibilità delle imprese di diventare più competitive”. Non poche polemiche ha sollevato inoltre nei giorni scorsi la probabilità che per i minori di 16 anni sia richiesta l’autorizzazione dei genitori per l’accesso alle piattaforme online che necessitano di una registrazione (e quindi anche a tutti i social network); in questo senso, il Parlamento chiarisce che “le nuove regole sono flessibili per garantire che gli Stati membri possano impostare il proprio limite a condizione che non sia inferiore a 13 o superiore a 16 anni, dando loro la libertà di mantenere quelli che già applicano. Questa flessibilità è stata inserita su richiesta urgente degli Stati membri. I negoziatori del Parlamento avrebbero preferito un limite di età a di 13 anni”. L’Europarlamento sarà chiamato al voto definitivo sulla riforma prevedibilmente nella primavera del 2016; a quel punto gli Stati membri avranno due anni di tempo per adeguare le norme interne. Digital Europe –

“Verso il nuovo regolamento europeo sulla privacy”, il convegno dell’Accademia Italiana del Codice di Internet Safe harbour 2.0: i nodi da sciogliere per un nuovo equilibrio tra privacy e sicurezza nel convegno con Joe Cannataci Diritto all’oblio, la pronuncia del Tribunale di Roma: motore di ricerca non responsabile della falsità delle notizie indicizzate. Ribadita la centralità dell’elemento temporale. Anche gli avvocati esercitano un “ruolo pubblico”

17 dicembre 2015

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