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La sentenza del Tar sul Decreto Spid: una prima lettura

di Eugenio Prosperetti [*] Il Tribunale Amministrativo del Lazio si è pronunciato con sentenza 9951/2015 nel ricorso R.G. 2833/2015 di Assoprovider e altri contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri per l’annullamento del DPCM 24.10.2014 attuativo del sistema SPID. La notizia, nella sintesi giornalistica delle prime ore, è passata come l’annullamento del decreto. In realtà la sentenza annulla “nei limiti di cui in motivazione ed in parte qua”, vale a dire solo in alcune parti, citate nella motivazione della sentenza, il citato decreto che, per il resto, viene confermato. Una lettura della pronuncia, unita a una ricostruzione della causa in cui viene resa, consente di capire meglio quali siano le parti oggetto di annullamento. Le ricorrenti Assoprovider e altri avevano adito la Giustizia Amministrativa chiedendo l’annullamento pieno del decreto (non concesso) o, se del caso, l’annullamento di alcune parti dell’art. 10. In particolare puntavano ad annullare i requisiti di cui alle lettere a) e b) del comma 3 e del comma 4 del medesimo articolo. In particolare, la lettera a) prevede che gli identity provider abbiano forma di società di capitali e un requisito di capitale sociale minimo di cinque milioni di Euro. La lettera b) prevede invece che debbano “garantire il possesso da parte dei rappresentanti legali, dei soggetti preposti al controllo, dei requisiti di onorabilità richiesti ai soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso banche ai sensi dell’art. 26 del d.lgs. 385/93”. Il comma 4 prevede invece che le sopra citate lettere a) e b) non si applicano alle P.A. che chiedono l’accreditamento al fine di svolgere l’attività di gestore di identità digitale. Una primissima lettura sembrerebbe evidenziare il solo accoglimento della richiesta di annullare l’art. 10 comma 3, lettera a) ma, come si dirà in seguito, la portata della sentenza potrebbe essere più ampia. Invero, i Giudici del TAR si soffermano, in vari passaggi, sul solo requisito di cui all’art. 10, comma 3, lettera a), espressamente citato e, sembrerebbe, limitatamente al possesso di capitale sociale (non quindi alla forma di società di capitali). La sentenza del TAR infatti dispone: “il prescritto requisito di capitale sociale pone un limite che non persegue nemmeno una finalità logica, considerato che l’articolo 4 del decreto impugnato, ai commi 2, 3 e 4, prevede che l’Agenzia adotti regolamenti per definire le regole tecniche e le modalità attuative per la realizzazione dello SPID, le modalità di accreditamento dei soggetti SPID, nonché le procedure necessarie a consentire ai gestori dell’identità digitale, tramite l’utilizzo di altri sistemi di identificazione informatica conformi ai requisiti dello SPID, il rilascio dell’identità digitale: e tali norme integrative già prevedono dei requisiti molto stringenti per l’esercizio dell’attività di identificatore, senza che aggiuntivamente si palesi la necessità di subordinare lo svolgimento della ripetuta attività al raggiungimento di una soglia così elevata di capitale sociale.”; e ancora, subito dopo, “l’applicazione della nuova disciplina provocherebbe, necessariamente, effetti distorsivi del mercato, cagionando una rarefazione della concorrenza nel settore de quo che avvantaggerebbe direttamente i soggetti pubblici, esclusi dal rispetto del requisito in esame [dunque il capitale sociale NdR]” e poi “Ne discende che la disposizione in esame (art. 10, comma 3, lett. a) del decreto), oltre ad essere viziata da eccesso di potere per le ragioni sopra indicate, risulta in contrasto con i principi comunitari di tutela della concorrenza, parità di trattamento e non discriminazione (…)” (sottolineature aggiunte). La sentenza non si sofferma espressamente invece sul requisito di cui alla lettera b) e qualche dubbio interpretativo sulla permanenza del medesimo al riguardo appare dunque lecito. Leggendo più in profondità la sentenza si trova tuttavia evidenza che essa travolge entrambi i requisiti a) che b). Infatti il TAR dispone che il decreto è affetto da nullità “nella parte contestata [al secondo e terzo motivo]” e cioè, appunto, sia a) che b). Per quanto invece riguarda il comma 4, esso sembrerebbe non annullato (o, comunque, annullato senza particolari effetti) in quanto la soluzione offerta dal TAR per eliminare la ritenuta discriminazione nell’accesso al mercato tra privati e P.A. non è nell’impedire alle pubbliche amministrazioni di erogare il servizio o di prevedere che l’erogazione attraverso i privati, ma nell’esenzione delle imprese private dai requisiti giudicati stringenti per ripristinare la parità di trattamento. Le PP.AA. dunque, rimarranno libere di offrire servizi SPID al pari dei privati che avranno invece più facilità di accesso in conseguenza della pronuncia (ove divenisse definitiva, non dimentichiamo che sono ad oggi aperti i termini per l’eventuale appello e non è noto cosa intenda fare l’Amministrazione). La pronuncia in questione, ove divenisse definitiva, appare probabilmente sollecitare, al di là del disposto effettivo, un complessivo riesame da parte degli organi competenti dei requisiti identity provider coinvolgendo i soggetti concretamente interessati sul mercato ed aprendo un tavolo tecnico al riguardo in maniera da appianare le eventuali difficoltà residue. [*] L’autore è componente del Tavolo permanente per l’innovazione e l’agenda digitale della Presidenza del Consiglio dei Ministri. La presente nota di commento e le interpretazioni ivi contenute sono personali dell’autore e non possono essere ascritte all’organo di appartenenza

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