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La Prima Sezione della Cassazione rinvia alle Sezioni Unite la decisione sulla possibilità di sequestrare pagine web di testate giornalistiche in caso di articoli diffamatori

di Francesco Mazara Grimani (via MediaLaws) Con l’ordinanza n. 45053 del 30 ottobre 2014, la sezione I Penale della Corte di Cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite una questione relativa alla possibilità di applicazione di un sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p. da attuarsi mediante oscuramento di una pagina telematica di un sito internet di un noto quotidiano nazionale, in relazione ad un caso di diffamazione a mezzo stampa. Il Tribunale del Riesame di Monza, aveva infatti confermato il provvedimento cautelare emesso dal Gip, con riferimento ad una pagina telematica del quotidiano “Il Giornale”, mediante il quale era stato diffuso un articolo, oggetto poi di contestata diffamazione. Il provvedimento impugnato era stato eseguito mediante notifica all’amministratore del sito, che aveva conseguentemente oscurato la pagina web. Le questioni di diritto affrontate dalla Suprema Corte sono state quindi due. La prima era relativa alla stessa natura del sequestro preventivo: tale misura cautelare può infatti attuarsi mediante l’apprensione materiale della cosa pertinente al reato da parte della polizia giudiziaria, al fine di impedire che la disponibilità della res possa aggravare o protrarre le conseguenze giuridiche del reato; oppure ancora – come verificatosi nel caso di cui si tratta – l’attuazione della suddetta misura cautelare reale può concretizzarsi mediante l’imposizione all’indagato, ovvero a terzi, di un facere che, in questo caso, è consistito nel compimento, da parte del webmaster della testata telematica, di tutta una serie di operazioni tecnico-informatiche volte all’oscuramento della pagina web contenente l’articolo reputato diffamatorio. Con riferimento a tale questione, la Cassazione ha innanzitutto chiarito la possibilità di applicazione della misura di cui all’art. 321 c.p.p. nei confronti di pagine telematiche, come tra l’altro confermato da recentissima giurisprudenza. Dubbi sono però emersi con riferimento alla possibilità di imporre all’indagato e a terzi il compimento delle attività tecniche e materiali occorrenti per impedire agli utenti della rete l’accesso alla pagina web, oggetto di cautela. A parere dei Supremi Giudici, manca, nei riferimenti normativi della misura in esame (il sopracitato art. 321 c.p.p. nonché l’art. 104 disp. att. C.p.p.) la possibilità di conferire all’autorità giudiziaria il potere di ordinare al destinatario del provvedimento il compimento di determinate attività, che nel caso di specie si sono tradotte in tutte quelle tecniche di gestione del sito necessarie per l’oscuramento della pagina web oggetto di sequestro. La seconda questione – che ha poi determinato il rinvio alle Sezioni Unite – era invece relativa all’ammissibilità del sequestro preventivo della pagina web di una testata giornalistica registrata. I ricorrenti avevano infatti contestato la legittimità di un siffatto sequestro, invocando le garanzie della libertà di stampa di cui all’art. 21 commi II e III Cost., e contestando di conseguenza il consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità, favorevole all’ammissibilità della misura di cui all’art. 321 c.p.p. in relazione ai giornali editi e diffusi in rete. Secondo tale orientamento (confermato ad esempio anche dalla recente sentenza della Quinta Sezione della Suprema Corte, n. 10594/2014) non è possibile realizzare un’interpretazione estensiva, o analogica, delle garanzie poste dalla Costituzione e dalla legislazione ordinaria a presidio della stampa, strettamente intesa, anche ai giornali telematici, editi mediante tecnologia elettronica e diffusi attraverso la rete. L’argomento fondamentale a sostegno di tale tesi è costituito dalla “diversità ontologica e strutturale del mezzo” nonché della maggiore offensività della notizia diffamatoria “immessa in rete, che rimane fruibile a tempo indeterminato e per un numero indeterminato di fruitori”; tale caratteristica distingue quindi la stampa online da quella “tradizionale”, nel quale l’articolo avente caratteristiche diffamatorie “ha impatto minore e di durata limitata, atteso che la sua diffusione e la sua lesività si esauriscono in un breve spazio di tempo”. Tale orientamento non è stato però condiviso dal Collegio chiamato a pronunciarsi sul caso in esame. Il profilo della illimitata fruizione dell’articolo telematico, da un punto di vista spaziale e temporale, costituisce, a parere dei Supremi Giudici, soltanto un aspetto concorrente a determinare la lesività della condotta diffamatoria, essendo altrettanto rilevante l’effettiva capacità di diffusione del mezzo, nonché la sua influenza sull’opinione pubblica. Oltre a tale rilievo, viene formulata una decisa obiezione alla negazione della eadem ratio per le applicazione delle guarentigie della stampa anche nei confronti delle testate online. Il principio consolidato della maggiore offensività viene considerato recessivo, nel bilanciamento dei valori, rispetto alla salvaguardia della libertà di manifestazione del pensiero: secondo la Prima Sezione quindi, tale principio non è idoneo a contrastare la ricorrenza della eadem ratio ai fini dell’applicazione della libertà di manifestazione del pensiero, anche nei confronti del prodotto editoriale telematico. Dato quindi il contrasto giurisprudenziale che siffatto orientamento potrebbe creare nei confronti di quello consolidato dalla giurisprudenza di legittimità, la Corte ha rimesso la questione alle Sezioni Unite: le stesse dovranno quindi pronunciarsi sull’ammissibilità del sequestro preventivo, mediante oscuramento parziale di un sito web, e, in caso affermativo, sulla possibilità di realizzazione dell’oscuramento della pagina web di una testata giornalistica telematica e registrata. LEGGI DDL diffamazione, i nodi tra la rettifica e il diritto all’oblio 7 novembre 2014

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