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Le ricadute sulla disciplina dei rapporti di lavoro del discrimen attività sportiva professionistica-dilettantistica

di Roberto Carmina Abstract Il lavoro prende in considerazione criticamente le ricadute sulla disciplina lavoristica della qualificazione federale dell’attività sportiva quale professionistica o dilettantistica. The paper considers critically the impact on the labor law of the Federal qualification of sport as a professional or amateur.  Sommario: 1. Il quadro normativo nazionale – 2. L’approccio comunitario – 3. Il criterio sostanziale – 4. Ulteriori considerazioni critiche 1. Il quadro normativo nazionale La legge n. 91/1981 stabilisce che sono professionisti gli atleti, gli allenatori e i dirigenti che svolgono l’attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità e attribuisce la qualificazione dell’attività sportiva, quale professionistica o dilettantistica, ad una scelta discrezionale delle Federazioni che, a nostro modo di vedere, sfocia nell’arbitrio. Infatti, di fronte a un’attività sportiva connotata dai requisiti richiesti per l’esercizio di un’attività professionistica e in particolare da una remunerazione comunque denominata (nella realtà fattuale, in ambito dilettantistico, sono presenti varie forme di monetizzazione per gli atleti e i tecnici) e dalla continuità delle prestazioni, appare incongruo che essa possa essere definita, come nella pratica spesso avviene (si pensi ex multis al basket femminile), attività dilettantistica. In questo modo si configura un diverso trattamento giuridico tra enti che svolgono attività sportiva con le medesime caratteristiche ma con diversa qualificazione federale. Infatti, si esonerano illegittimamente gli enti sportivi dilettantistici dall’obbligo di stipulare contratti di lavoro subordinato con gli atleti e quindi li si dispensa dai conseguenti stringenti doveri civilistici e tributari, consentendo, altresì, l’utilizzo di elastiche e atipiche forme di monetizzazione e elusivi rimborsi spese che in realtà celano veri e propri compensi per l’attività sportiva svolta. Inoltre, l’art. 61, commi 1° e 3°, del d.lgs. n. 276 del 2003, così come modificato dalla lettera a) del comma 1° e dal comma 25° dell’art. 23 della legge n. 92 del 2012, intitolato “attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro di cui alla legge 14 febbraio 2003 n. 30” stabilisce che gli enti sportivi dilettantistici affiliati alle Federazioni sportive nazionali, alle Discipline sportive associate e agli Enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI sono esonerati dal ricorso al contratto di lavoro a progetto per le collaborazioni anche coordinate, continuative e personali [1]. Per non tacere che talune disposizioni regolamentari sportive dispongono, ancor più radicalmente, un divieto per gli enti sportivi dilettantistici di concludere qualsiasi tipo di accordo economico con i loro atleti [2], favorendo in tal modo la corresponsione di retribuzioni in nero. Per la dottrina risulta evidente “il contrasto, probabilmente insuperabile, della disciplina federale con i principi generali del diritto del lavoro in quanto in una Repubblica fondata sul lavoro (art. 1 della Costituzione) non si può tollerare che un’associazione privata (la Federazione) vieti la conclusione di contratti di lavoro” sulla base di un’anacronistica concezione di olimpismo che non corrisponde più alla realtà, visto che, allo stato dei fatti, lo spirito di olimpismo non è violato in caso di retribuzione degli atleti [3]. Inoltre, ormai gli enti sportivi dilettantistici possono usufruire anche della forma di società di capitali (seppure senza scopo di lucro). 2. L’approccio comunitario In ambito europeo lo sport è definitivamente ricompreso tra le materie di competenza dell’Unione Europea, in virtù del fatto che l’articolo 165 del trattato di Lisbona sul Funzionamento dell’Unione Europea ha conferito all’U.E. il mandato di incentivare, sostenere ed integrare le iniziative degli Stati membri in ambito di politica dello sport [4]. Tuttavia, già in precedenza, l’Unione Europea si era occupata della materia sportiva e degli enti sportivi. Per la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ai fini dell’applicazione del diritto comunitario non rileva la distinzione tra attività sportive professionistiche e dilettantistiche, quanto piuttosto la natura economica o meno dell’attività svolta. Inoltre la giurisprudenza comunitaria chiarisce che, ai fini della qualificazione di un’atleta quale professionista, è sufficiente che questi percepisca una retribuzione periodica a fronte di un obbligo di effettuare una prestazione sportiva in forma subordinata costituente la sua attività principale [5]. Dunque, per l’ordinamento comunitario valgono criteri obiettivi e non mere enunciazioni formali [6]. Pertanto anche l’ente dilettantistico di cui l’atleta fa parte verrà considerato in ambito comunitario quale impresa (e non ente no profit), con conseguente applicazione della normativa in materia. Per la Commissione Europea qualsiasi partecipazione agli scambi economici attraverso l’offerta di beni e servizi costituisce un’impresa, indipendentemente dalla volontà di profitto [7]. Infatti la ricerca del profitto, caratterizzante la nozione codicistica, è estranea alla nozione comunitaria, in base alla quale è considerata impresa qualunque entità che eserciti un’attività economica, indipendentemente dalla sua natura giuridica e dalle modalità di finanziamento [8]. Nella giurisprudenza comunitaria si prevede un divieto di abuso di posizioni dominanti (che consiste in una situazione di potere economico tale da consentire all’impresa, anche di fatto, di influenzare in modo considerevole l’andamento del mercato relativo a determinati servizi) che limitano la competizione fra gli operatori e ostacolano la libertà di offerta, giacché costituiscono delle imprese, anche di fatto, in grado di proteggersi dalla pressione della concorrenza [9]. Questi stessi principi si sarebbero dovuti applicare in ambito sportivo nonostante la specificità di tale materia. In ogni caso la sua peculiarità non può giustificare una deroga così evidente ai principi fondamentali comunitari. Di conseguenza non dovrebbe essere ammissibile una differenziazione di trattamento tra gli enti professionistici e quelli dilettantistici, laddove questi ultimi svolgano sostanzialmente un’attività economica. 3. Il criterio sostanziale La giurisprudenza nazionale espressamente statuisce: “la distinzione (peraltro assai sfuggente nell’agonismo del nostro tempo) tra professionismo e dilettantismo nella prestazione sportiva, si mostra, pertanto, priva di ogni rilievo, non comprendendosi per quale via potrebbe mai legittimarsi una discriminazione” e afferma che l’art. 16 del D.lgs. n. 242/1999 [10] obbliga le Federazioni a garantire “la partecipazione all’attività sportiva da parte di chiunque in condizioni di parità”. Inoltre la stessa giurisprudenza nega che la natura privatistica delle Federazioni possa giustificare l’applicazione di principi contrari all’ordine pubblico, che comportino una discriminazione, e che costituiscono il limite dell’attività negoziale [11]. Anche una parte della normativa nazionale non sembra dare peso al discrimen attività professionistica/dilettantistica, laddove l’art. 22, comma 5° bis, della legge n. 189/2002, stabilisce che il requisito necessario per ottenere il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di lavoro di carattere sportivo, consiste nello svolgimento di “un’attività sportiva a titolo professionistico o comunque retribuita” [12]. La disposizione in esame costituisce un espresso riconoscimento del dilettantismo retribuito e dell’equiparazione di questo al professionismo. In materia tributaria, invece, la normativa nazionale attribuisce delle agevolazioni fiscali alle società e associazioni sportive dilettantistiche [13]. Tuttavia, per quel che concerne gli enti sportivi dilettantistici (e più in generale gli enti non commerciali), il criterio formalistico di attribuzione delle agevolazione fiscali è stato rovesciato dalla giurisprudenza in un criterio sostanziale che si fonda su una valutazione case by case da parte del giudice riguardo alla sussistenza dei requisiti previsti dalla legge, secondo il quale le esenzioni d’imposta a favore delle associazioni non lucrative dipendono non dalla veste giuridica assunta dall’associazione, ma dall’effettivo esercizio di un’attività senza fine di lucro [14]. Infatti, nel caso in cui la determinazione della natura non commerciale dell’attività svolta da un ente dipendesse dalle mere enunciazioni contenute nello statuto, questo diverrebbe arbitro incondizionato della tassabilità del proprio reddito, il che la legge non può ammettere, indipendentemente dalla reale natura delle mansioni poste in essere [15]. Seguendo tale approccio sostanzialistico la giurisprudenza ha iniziato anche ad aprirsi verso una linea di pensiero ancor meno formale e svincolata dall’appartenenza di un ente alle Federazioni, alle discipline associate o agli enti di promozione sportiva, ammettendo le agevolazioni fiscali anche per quelle società e associazioni sportive dilettantistiche che non fanno parte del sistema C.O.N.I. [16]. 4. Ulteriori considerazioni critiche Un ulteriore punctum dolens della disciplina tributaria degli enti sportivi dilettantistici consiste nella specifica qualificazione quali redditi diversi da quelli derivanti da attività di lavoro autonomo o subordinato, e quindi esenti dai contributi previdenziali, dei compensi erogati agli atleti, tecnici e figure assimilate, anche nell’ipotesi in cui siano particolarmente cospicui e nell’ambito dello svolgimento di un’attività concretamente imprenditoriale. Infatti, alla lettera m), del comma 1°, dell’art. 67 del T.U.I.R. si prevede che rientrano, tra l’altro, in tale categoria “le indennità di trasferta, i rimborsi forfettari di spesa, i premi e i compensi erogati ai direttori artistici ed ai collaboratori tecnici per prestazioni di natura non professionale da parte di cori, bande musicali e filodrammatiche che perseguono finalità dilettantistiche, e quelli erogati nell’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche dal CONI, dalle Federazioni sportive nazionali, dall’Unione Nazionale per l’Incremento delle Razze Equine (UNIRE), dagli enti di promozione sportiva e da qualunque organismo, comunque denominato, che persegua finalità sportive dilettantistiche e che da essi sia riconosciuto. Tale disposizione si applica anche ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di carattere amministrativo-gestionale di natura non professionale resi in favore di società e associazioni sportive dilettantistiche”. A ciò di deve aggiungere che l’art. 69, comma 2°, del TUIR prevede un limite, pari ad euro 7.500.00, nel periodo d’imposta, al di sotto del quale ogni somma corrisposta da associazioni e società sportive dilettantistiche all’atleta dilettante a titolo di compenso sportivo di cui all’art. 67, comma 1°, lettera m) viene esclusa da qualsivoglia forma d’imposizione [17]. Il semplice superamento di tale soglia determina l’applicazione dell’imposizione salvo che non si tratti di rimborsi di spese documentate relative al vitto, all’alloggio, al viaggio e al trasporto sostenute in occasione di prestazioni effettuate fuori dal territorio comunale [18]. Pertanto, visto che i redditi diversi comportano l’esenzione da contributi previdenziali, realizzano un’illecita discriminazione nei confronti degli atleti, tecnici e figure assimilate che svolgono attività sportiva dilettantistica. Una possibile parziale soluzione, a vantaggio di chi svolge funzioni didattiche sportive, consiste nel ritenere che, nel caso in cui l’attività sia per la maggioranza posta in essere a favore di persone la cui attività fisica non è finalizzata alla partecipazione a manifestazioni sportive dilettantistiche, si possa considerare, secondo il criterio della prevalenza, sussistente un preciso obbligo contributivo a carico degli enti sportivi dilettantistici in quanto l’esenzione competerebbe solo per quelle attività direttamente riconducibili a manifestazioni sportive dilettantistiche. Tuttavia, tale soluzione, come evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità [19], si scontra con quanto disposto dalla legge, 27 febbraio 2009, n. 14, all’art. 35, comma 5°, che ha precisato la portata dell’espressione “nell’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche” contenuta nel citato art. 67 T.U.I.R., chiarendo che nella nozione di esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche “sono ricomprese la formazione, la didattica, la preparazione e l’assistenza all’attività sportiva dilettantistica” che si svolgano nel contesto di un rapporto associativo che lega l’istruttore al sodalizio sportivo dilettantistico. Pertanto, da quanto sopra evidenziato, si evince l’arbitrarietà della qualificazione federale dell’attività sportiva quale professionistica o dilettantistica. La soluzione da noi propugnata consiste in un approccio case by case che tenga conto della continuità dell’attività prestata, dell’onerosità di essa e dell’imprenditorialità o meno dell’attività posta in essere dall’ente. Oltretutto, la determinazione della qualificazione come dilettantistica o professionistica dell’attività sportiva, effettuata dalle Federazioni su direttiva del C.O.N.I, non è soggetta, allo stato dei fatti, ad alcun tipo di impugnazione. Tuttavia, sarebbe opportuno ammettere l’impugnabilità di tali scelte federali visto che si tratterebbe di un potere che viene esercitato su direttiva del C.O.N.I, in quanto esercizio di una potestà pubblicistica delegata, come si può desumere dall’art. 2, della legge n. 91/1981, ed espressione di discrezionalità amministrativa nell’applicazione di norme con finalità di interesse pubblico a cui corrispondono, a nostro modo di vedere, interessi legittimi, analogamente a quanto avviene per l’ammissione di un ente a un campionato o per l’affiliazione di esso a una Federazione. Ulteriormente, come già accennato, la qualificazione federale della natura dell’attività sportiva è un requisito essenziale per l’utilizzazione delle disposizioni sul lavoro sportivo e per l’applicazione della normativa sul lavoro subordinato o autonomo (a secondo dei casi). Conseguentemente, tale decisione federale andrebbe a incidere sul diritto al lavoro e quindi su un diritto fondamentale del cittadino previsto dall’art. 1 della Costituzione e garantito dal Trattato U.E, precludendone l’esercizio, per cui sarebbe illogico e antigiuridico impedirne l’impugnabilità. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea sul punto chiarisce espressamente che “l’esistenza di un rimedio giurisdizionale contro un provvedimento con cui un’autorità nazionale neghi il godimento di questo diritto (n.d.r. il diritto al libero accesso al lavoro) è essenziale per garantire al singolo la tutela effettiva del suo diritto” [20]. La dottrina precisa che il principio enunciato dalla Corte sembra applicabile anche (e a maggior ragione) nel caso in cui il provvedimento lesivo dei diritti del lavoratore non promani dall’autorità nazionale ma da un ente privato, quale ad esempio la F.I.G.C. [21]. Note: [1] Per approfondire la questione si veda M. PERSIANI, Considerazioni sulla nuova disciplina delle collaborazioni non subordinate, in Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, 2013, 826 s.s. [2] A titolo esemplificativo, nel settore calcistico, l’articolo 29 delle N.O.I.F. (Norme Organizzative Interne Federali), stabilisce: “1. Sono qualificati non professionisti i calciatori tesserati, compresi quelli di sesso femminile, che svolgono attività sportiva per società associate nella L.N.D, che giocano a Calcio a Cinque e che svolgono attività ricreativa. 1.bis Ai calciatori non professionisti, al fine di permettere, anche avuto riguardo alle disposizioni FIFA, lo svolgimento di attività tanto di calcio a undici, tanto di calcio a cinque, è consentita la variazione di attività nei limiti e con le modalità fissate dall’art.118 delle N.O.I.F. 2. Per tutti i calciatori non professionisti è esclusa ogni forma di lavoro, sia autonomo che subordinato. 3. I rimborsi forfettari di spesa, le indennità di trasferta e le voci premiali, ovvero le somme lorde annuali secondo il disposto del successivo art. 94 ter, possono essere erogati esclusivamente ai calciatori tesserati per società partecipanti ai Campionati Nazionali della L.N.D., nel rispetto della legislazione fiscale vigente ed avuto anche riguardo a quanto previsto dal C.I.O. e dalla F.I.F.A”; ai sensi dell’art. 94 ter, delle NOIF “1. Per i calciatori/calciatrici tesserati con società partecipanti ai Campionati Nazionali della Lega Dilettanti è esclusa, come per tutti i calciatori/calciatrici non professionisti, ogni forma di lavoro autonomo o subordinato. 2. Gli stessi devono tuttavia sottoscrivere, su apposito modulo accordi economici annuali – fatta eccezione per quanto disposto al successivo punto 7 – relativi alle loro prestazioni sportive concernenti la determinazione della indennità di trasferta, i rimborsi forfettari di spese e le voci premiali come previste dalle norme che seguono. Tali accordi potranno anche prevedere, in via alternativa e non concorrente, l’erogazione di una somma lorda annuale, da corrispondersi in dieci rate mensili di uguale importo, nel rispetto della legislazione fiscale vigente. Gli accordi dovranno essere depositati, entro e non oltre il 15° giorno successivo alla loro sottoscrizione, presso il Comitato e le Divisioni di competenza, a cura della società e con contestuale comunicazione al calciatore; qualora la società non vi provveda, il deposito può essere effettuato dal calciatore entro il 25° giorno successivo alla data di sottoscrizione dell’accordo. Gli accordi predetti cessano di avere efficacia in caso di trasferimento del calciatore, sia a titolo definitivo che temporaneo, nel corso della stagione sportiva”; l’art. 39, 2° comma del Regolamento della Lega Nazionale Dilettanti F.I.G.C, sancisce: “sono vietati e nulli ad ogni effetto e comportano la segnalazione delle parti contraenti alla Procura Federale per i provvedimenti di competenza, gli accordi e le convenzioni scritte e verbali di carattere economico fra società e calciatori/calciatrici non professionisti e giovani dilettanti, nonché quelli che siano, comunque, in contrasto con le disposizioni federali e quelle delle presenti norme”. [3] E. INDRACCOLO, Rapporti e tutele nel dilettantismo sportivo, Edizioni Scientifiche Italiane, 2008, 119. [4] L’articolo 165 del Trattato di Lisbona sul Funzionamento dell’Unione europea recita: “l’Unione contribuisce alla promozione dei profili europei dello sport, tenendo conto delle sue specificità, delle sue strutture fondate sul volontariato e della sua funzione sociale ed educativa. L’azione dell’Unione è intesa: (…) a sviluppare la dimensione europea dello sport, promuovendo l’equità e l’apertura nelle competizioni sportive e la cooperazione tra gli organismi responsabili dello sport e proteggendo l’integrità fisica e morale degli sportivi, in particolare dei più giovani. L’Unione e gli Stati membri favoriscono la cooperazione con i paesi terzi e le organizzazioni internazionali competenti in materia di istruzione e di sport, in particolare con il Consiglio d’Europa”, consultabile in http://eur-lex.europa.eu. [5] Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 8 Maggio 2003, C-438/00, Oberlandesgericht Hamm c. Maros Kolpak, in Guida al Diritto, 2003, 111 s.s. [6] Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 11 Aprile 2000, procedimenti riuniti C-51/96 e C-191/97, Christelle Deliege c. Ligue Francophone de Judo et disciplines associess ASBL e a, consultabile in http://eur-lex.europa.eu. [7] Commissione CEE, 24 Ottobre 1992, 92/521/CEE, consultabile in http://eur-lex.europa.eu. [8] B. AGOSTINIS, L’abuso di posizione dominante in ambito sportivo in Diritto Comunitario dello sport, J. TOGNON (a cura di), Giappichelli, 2009, 188 s.s. [9] Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 23 Aprile 1991, C-41/90, Klaus Hofner and Fritz Elser c. Macroton Gmb H ECR, consultabile in http://eur-lex.europa.eu. [10] Ex art. 16 del D.lgs. n. 242/1999 “le federazioni sportive nazionali sono rette da norme statutarie e regolamentari sulla base del principio di democrazia interna, del principio di partecipazione all’attività sportiva da parte di chiunque in condizioni di parità e in armonia con l’ordinamento sportivo nazionale ed internazionale”, consultabile in www.camera.it. [11] Tribunale di Pescara, Ordinanza 18 Ottobre 2001, in commento di J. TOGNON, La libera circolazione nel diritto comunitario: il settore sportivo, in Rivista amministrativa della Repubblica Italiana, 2002, 655 s.s. [12] Ai sensi dell’art. 22, comma 5° bis, della legge n. 189/2002 “con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, su proposta del Comitato olimpico nazionale italiano (C.O.N.I.), sentiti i Ministri dell’interno e del lavoro e delle politiche sociali, è determinato il limite massimo annuale d’ingresso degli sportivi stranieri che svolgono attività sportiva a titolo professionistico o comunque retribuita, da ripartire tra le federazioni sportive nazionali. Tale ripartizione è effettuata dal C.O.N.I. con delibera da sottoporre all’approvazione del Ministro vigilante. Con la stessa delibera sono stabiliti i criteri generali di assegnazione e di tesseramento per ogni stagione agonistica anche al fine di assicurare la tutela dei vivai giovanili”, consultabile in www.camera.it. [13] Si vedano la legge n. 398/1991 e gli artt. 143, 148, 149 del T.U.I.R. [14] Cfr. Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, 20 Febbraio 2013, n. 4152, consultabile on line in www.iusexplorer.it; Corte di Cassazione, 11 Dicembre 2012, n. 22578, in Giustizia Civile Mass, 2012, 1398; Corte di Cassazione, 12 Maggio 2010, n. 11456, in Giustizia Civile Mass, 2010, 728. Si veda anche Corte di Cassazione, 20 febbraio 2013, n. 4147, consultabile on line in www.grandiclienti.ilsole24ore.com, secondo la quale deve prevalere la sostanza sulla forma dell’attività svolta dall’ente sportivo dilettantistico. Inoltre in quest’ultima sentenza si afferma anche che un improprio criterio formalistico permane tuttora per le società professionistiche, per le quali si esclude l’applicazione delle agevolazioni fiscali senza tuttora procedere ad una valutazione concreta dell’attività posta in essere. [15] In questo senso Corte di Cassazione, Sezione I, 4 Ottobre 1991, n. 10409, in Rivista di Diritto Tributario, 1992, 373 s.s. [16] Cfr. Corte di Cassazione, 13 Novembre 2003, n. 17119, consultabile on line in www.DeJureGiuffrè.it. [17] Rientrano tra i rimborsi delle spese di viaggio sostenute dal soggetto interessato per raggiungere il luogo di esercizio dell’attività mediante un proprio mezzo di trasporto, di cui all’art. 69, comma 2°, del TUIR, anche le indennità chilometriche. Dette indennità chilometriche, in base alla norma da ultimo richiamata, non concorrono a formare il reddito se le spese sono documentate e sostenute in occasioni di prestazioni effettuate fuori dal territorio comunale. Diversamente, se le prestazioni sono effettuate all’interno del territorio comunale o, comunque, se le spese non sono documentate, le indennità chilometriche non concorrono alla formazione del reddito fino alla franchigia di euro 7.500,00 da calcolare considerando anche le indennità, i rimborsi forfetari, i premi e i compensi percepiti. In ogni caso le indennità chilometriche, per rientrare tra le spese documentate, non possono essere forfetarie, ma devono essere necessariamente quantificate. Cfr. Risoluzione Agenzia delle Entrate, 11 Aprile 2014, n.38/E, consultabile on line in www.agenziaentrate.gov.it. Inoltre, si deve distinguere fra una prestazione resa in regime di collaborazione coordinata e continuativa, che dovrà essere sempre iscritta sul Libro Unico del Lavoro, e l’esecuzione di mansioni o servizi di carattere istituzionale che caratterizza i soci delle associazioni sportive dilettantistiche, iscritte nelle rispettive federazioni, con compenso annuo fino a 7.500,00, non soggetta ad obblighi di registrazione. Cfr. Nota del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali, 5 Dicembre 2008, n.104537, consultabile on line in www.DeJureGiuffrè.it. [18] Il semplice superamento di tale soglia di 7.500.00 euro determina l’applicazione dell’imposizione salvo che non si tratti di rimborsi di spese documentate relative al vitto, all’alloggio, al viaggio e al trasporto sostenute in occasione di prestazioni effettuate fuori dal territorio comunale. Inoltre, l’attuale normativa prevede, al superamento del limite suddetto, in alcuni casi un’imposizione fiscale a titolo d’imposta, mentre, in altri, un’imposizione a titolo d’acconto. Infatti, sulla parte imponibile non superiore ad euro 20.658,28 sarà applicabile una ritenuta a titolo d’imposta. Al contrario, qualora la suddetta quota sia superiore al valore da ultimo citato scatterà la ritenuta a titolo d’acconto. La prima delle ritenute citate dovrà essere applicata nella misura fissata per il primo scaglione di reddito e maggiorata delle addizionali di compartecipazione I.R.P.E.F. In quest’ultimo caso, tuttavia, la parte dei redditi assoggettata a ritenuta a titolo d’imposta, avendo già integralmente scontato la relativa imposizione, concorrerà ai soli fini determinativi delle aliquote da applicare al Modello UNICO dell’anno in corso. La ritenuta a titolo d’acconto, poi, sarà applicata nella medesima misura proporzionale. Inoltre, lo sportivo dilettante, assoggettato ad imposizione secondo le prescrizioni della normativa tributaria interna, dovrà adempiere, oltre che agli obblighi di versamento e corretta liquidazione del tributo, anche ad ogni ulteriore obbligo dichiarativo e formale prevista attualmente nel Testo Unico. [19] Corte di Cassazione, Sezione III, 26 Febbraio 2014, n. 31840, consultabile on line in www.iusexplorer.it. [20] Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 14 Luglio 1976, C-13/76, Donà c. Mantero, in Foro Italiano, 1976, 361 s.s. [21] E. INDRACCOLO, Rapporti e tutele nel dilettantismo sportivo, Edizioni Scientifiche Italiane, 2008, 31 s.s. 7 novembre 2014

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