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Riparte la Rivista di Diritto Sportivo, Malagò: “Il CONI è eccellenza del Paese, e questo è uno strumento inserito con merito nella sua cornice”

Malagò CONI

Il convegno Il giusto processo sportivo è stata l’occasione per l’avvio del nuovo corso della Rivista fondata nel 1949 da Giulio Onesti “C’è più gente che quando ci sono le partite”. Ha ironizzato così Giovanni Malagò, Presidente del Coni, intervenendo al convegno “Il giusto processo sportivo“, evento ospitato nel pomeriggio di giovedì nella sede del Comitato olimpico in occasione della presentazione della Rivista di Diritto Sportivo. Fondata nel 1949 da Giulio Onesti, la Rivista riparte “ricevendo molti complimenti”, come ha sottolineato lo stesso Malagò: “Il ringraziamento più grande va a Onesti stesso, perché noi non facciamo che riprendere la sua idea e la tradizione che ne è seguita. Non pensavo questo strumento fosse così atteso e desiderato. Ed è impressionante quanti professionisti e studenti si stiano avvicinando alla materia del diritto sportivo. Specializzarsi in questo settore è oggi senza dubbio un plus e lo sarà sempre di più, e questo vale per gli uomini come per le donne”.

I video degli interventi

Malagò CONIMalagò ha poi posto l’attenzione sulla candidatura di Roma per le Olimpiadi del 2014: “Se dovessimo vincere questa meravigliosa scommessa, si aprirebbero enormi potenzialità di lavoro: 170mila persone troverebbero infatti un impiego tra il 13 settembre 2017 e il 5 agosto 20124. Chiaro, non sarebbero tutte occupazioni della durata di sette anni, ma sicuramente anche per la categoria degli avvocati è tanta roba. Inoltre, 15mila persone avrebbero l’opportunità di un lavoro a tempo indeterminato, perché ci saranno strutture, penso al velodromo, che se riusciremo a realizzare apriranno un discorso occupazionale di più ampio respiro. Spero che almeno in questa sala tifiamo tutti per la riuscita positiva della candidatura, e sarà nostra premura ricevere l’opinione dei cittadini con sondaggi puntuali, con lo orecchie tese a ricevere consigli, pareri, e anche critiche, quando costruttive. Voglio puntualizzare alcune cose. In primis, i lavori saranno pubblico su pubblico, dai terreni agli impianti, nessuno avrà l’occasione di arricchirsi indebitamente. In secondo luogo, non faccio nulla senza avere prima una condivisione di tutte le associazioni ambientalistiche. Lo sport non si può trattare come un prodotto commerciale, c’è un’anima. Lo sport è sempre qualcosa di diverso, e questo va considerato soprattutto sul piano umano. Un’ultima considerazione: su ogni argomento, per la Rivista c’è la più assoluta indipendenza dal CONI, ognuno è libero di scrivere quello che vuole e ritiene giusto, anche se si tratta di criticare. Come istituzione abbiamo i nostri problemi, ma siamo un’eccellenza del Paese, il CONI ha un prestigio che non ha nessun altro comitato olimpico nazionale, e la Rivista di Diritto Sportivo si inserisce con merito in questa cornice. Concludo ribadendo: risponderò a chiunque ci vorrà dare dei consigli. Per la riforma della giustizia sportiva, ad esempio, abbiamo ascoltato tutte le campane, una parentesi durata quasi un anno e che penso sia stata una scommessa vinta. Ma nulla è definitivo nel mondo dello sport, tutto è perfettibile compreso il mondo del doping, e noi bon dobbiamo essere l’avamposto dell’essere conservatori, dobbiamo invece cambiare quando ci rendiamo conto che serve”. Per quanto attiene i lavori dei giuristi intervenuti, dopo i saluti di Franco Chimenti, Presidente Coni Servizi Spa, e di Francesco Soro, Condirettore della Rivista di Diritto Sportivo e Capo di Gabinetto del Coni, sono così iniziate le relazioni, introdotte e moderate dal Prof. Alberto Gambino, Condirettore Scientifico della Rivista e Ordinario di diritto privato nell’Università Europea di Roma, il quale ha illustrato le caratteristiche del nuovo corso della Rivista, divisa tra il volume cartaceo semestrale e lo spazio online che garantisce un più tempestivo aggiornamento in relazione all’attualità.

Il Prof. Leonardo Ferrara, Ordinario di diritto amministrativo nell’Università di Firenze, ha parlato del rapporto tra il Codice della giustizia sportiva e il valore dell’omogeneizzazione procedurale: “La riforma della giustizia sportiva ha rappresentato una rottura del passato; il Coni si era limitato fino ad allora ad indicare delle linee guida alle federazioni. Si è invece ora voluto lavorare ad un codice procedurale unico che può dare attuazione al decreto Pescante. Quindi la riforma ha spinto il Coni in uno spazio tradizionalmente riservato alle federazioni sportive; ma la riforma non si è disinteressata della domanda di autonomia federale, in merito alla quale si trova una sintesi nell’astenersi dall’intervenire dalla definizione di comportamenti rilevanti sul piano disciplinare, perimetrando il controllo della procura federale nonché impostando i relativi rapporti sulla base del principio di leale collaborazione. Auspicabile che la giunta nazionale faccia un uso parsimonioso nel costituire collegi arbitrali”. IMG_6522 Il Prof. Andrea Panzarola, Ordinario di diritto processuale civile nell’Università Lum “Jean Monnet”, ha successivamente proposto un’analisi dei principi del processo sportivo: “Mi concentro sull’Articolo 2 del Codice della giustizia sportiva. Perché esso esordisce con la numerazione dei principi? È una tendenza emersa in materia processuale in Europa negli ultimi anni. Quali sono i principi contenuti negli articoli successivi? Ci troviamo di fronte a una summa divisio: da un lato i principi organizzativi che creano dei doveri nelle parti, dall’altro quelli che costituiscono quelle garanzie individuali, tra le quali indipendenza e autonomia del giudice, contraddittorio, che rendono un processo tale. Il paradigma di riferimento resta quello del processo civile, ma con importanti differenze soprattutto per quanto attiene le possibilità dell’accesso alla Cassazione e a quello che potremmo individuare come suo corrispettivo sportivo, e cioè il Collegio di Garanzia. Quali sono infine i principi che non ci sono? Il principio della buona fede processuale, il principio dell’abuso del processo, quello di proporzionalità. La loro mancata inclusione mi fa pensare che il codice abbia preferito ribadire i principi riferiti alle garanzie individuali”. I profili relativi all’autonomia e all’indipendenza dei giudici sportivi sono stati al centro della relazione del Prof. Aniello Merone, Aggregato di diritto processuale civile nell’Università Europea di Roma: “Spicca tra le tutele la previsione secondo cui i giudici sportivi non possono ricoprire cariche all’interno delle federazioni. Sull’autonomia, profilo che attiene alla struttura interna degli organi di giustizia, rileva il ruolo che avoca a sé il Consiglio federale che nomina i giudici, ma al contempo il filtro che oggi viene esercitato dalle commissioni federali di garanzia. Esse hanno diverse funzioni, ma il loro ruolo principale è senz’altro quello di effettuare una valutazione sui nomi dei giudici che vengono proposti per poi rimettere al Consiglio federale le persone che possono poi essere nominate”. Il Prof. Mauro Orlandi, Ordinario di diritto privato nell’Università Cattolica del Sacro cuore, ha così posto l’attenzione sull’accertamento dei fatti e il diritto al contraddittorio: “Il diritto sportivo, come il diritto tutto, è patologia, non fisiologia; il momento della verità accade con il giudizio e la responsabilità è il momento della verità del giudizio. Come si compie l’accertamento dell’illecito sportivo? Qualunque giudice è costretto a portare al proprio presente fatti a cui non ha assistito, e per farlo deve servirsi di mezzi di rappresentazione. Quali sono nell’illecito sportivo? Qui la giurisprudenza è a un bivio: da un lato si richiama all’indole penalistica dell’oltre ogni ragionevole dubbio, dall’altro al caso in cui bisogna passare per un giudizio di probabilità”. “Lo sportivo – ha poi affermato Orlandi – è colui che si comporta in modo leale, la lealtà è costitutiva del modello sportivo di condotta, sicché qualsiasi slealtà integra in se stessa la colpa sportiva. la colpa sportiva consiste nell’essere sleali. Non c’è un principio di non colpevolezza nel diritto dello sport, c’è un principio di lealtà, e non c’è un principio di non colpevolezza perché non si tratta di attentare alla libertà personale del cittadino, ma si tratta di capire se questo è ancora cittadino del mondo sportivo, se merita di essere nel novero dei leali dello sport”. Sulla giurisdizione del Collegio di garanzia dello sport si è poi concentrato il Prof. Marco Farina, Docente di diritto processuale civile nell’Università Luiss “Guido Carli”: “Le competenze del collegio di garanzia si possono ripartire in generali e residuali. Sul primo fronte, figura l’essere organo di giustizia sportiva di ultimo grado; evidente in questo senso la differenza tra il sistema precedente e quello attuale: la limitazione all’accesso di garanzia per motivi di pura legittimità risponde a un’esigenza chiara di autonomia delle federazioni rispetto al CONI. Sul secondo fronte, datosi che il Codice di giustizia sportiva si impone alle federazioni, figurano i poteri nel caso in cui queste federazioni non si adeguino ai principi fondamentali, così come i poteri sulle controversie che abbiano ad oggetto impugnazioni di atti e delibere del CONI. In questo ultimo caso, il Collegio decide come giudice di merito”. La Prof.ssa Elena Zucconi Galli Fonseca, Ordinario di diritto processuale civile nell’Università di Bologna, ha proposto una riflessione sul’arbitrato sportivo: “L’arbitrato nell’ordinamento sportivo può collocarsi secondo tre opzioni ideali: la prima è arbitrato come strumento di soluzione delle liti sportive a rilevanza giuridica, la seconda è arbitrato come ultima ratio, ultimo step del sistema di soluzioni delle liti sportive, la terza opzione è nessun arbitrato. In questo ultimo caso ci si affida solo a rimedi di giustizia sportiva. A me sembra che, a larghe spanne, dopo il 2014 la scelta sia caduta su quest’ultima modalità”. Le conclusioni dei lavori sono state curate dal Prof. Giulio Napolitano, Condirettore Scientifico della Rivista e Ordinario di diritto amministrativo nell’Università di Roma Tre: “È impossibile trarre conclusioni sul tema e sulla complessità delle questioni affrontate, ma credo sia significativo sottolineare il tipo di dibattito avuto oggi, e cioè una riflessione approfondita tra teoria generale del diritto e inquadramento sistematico degli istituti intorno al codice adottato dal Coni. Tema sul quale si è impegnata la Rivista nel suo primo numero della sua nuova stagione. Non è affatto scontato se guardiamo alla storia della Rivista stessa, che in passato ha ospitato essenzialmente studi che si svolgevano in larga parte in un vuoto giuridico, nel senso che si occupavano dell’applicazione di principi generali a un ordinamento che aveva una trama normativa molto debole, molto frammentata, senza un centro unitario. Gli unici riferimento erano costituiti dalla vecchia legge istitutiva del Coni, che tra l’altro non prevedeva nemmeno uno statuto dell’ente, da qualche atto interno del Coni che oggi chiameremmo di soft law. Quindi i nostri predecessori e gli autori dei tanti saggi pubblicati nella lunga storia della Rivista dovevano fare un grande sfoggio di inventiva giuridica per mettere a sistema, annotare e offrire spunti di riflessione. Questa situazione è cambiata direi in modo consistente negli anni 90, per effetto di due irruzioni esterne molto diverse l’una dall’altra ma entrambi inaspettate e almeno inizialmente mal tollerati: da un lato la sentenza Bosman con la quale il diritto europeo faceva ingresso per la prima volta sul funzionamento del diritto sportivo, e dall’altra la riforma della disciplina istitutiva del Coni con la modifica abbastanza consistete alle regole esistenti apportata dal decreto legislativo del 1999. Da allora lo spazio che sembrava vuoto dal punto di vista delle regole positivamente fondate è andato progressivamente ad occuparsi, dalla legge di riforma del Coni fino al Codice oggetto degli odierni lavori, una trama normativa densa e fitta. Il patrimonio di riflessioni di oggi è particolarmente importante soprattutto nel momento in cui il diritto sportivo diventa sempre più un diritto positivo, sempre più in un sistema accentrato, perché la tendenza chiaramente affermatasi nell’ordinamento è la progressiva conquista di potere normativo del Coni, ormai molto lontano dagli atti di soft law del passato. In Questo senso la riflessione giuridica e lo spazio offerto dalla Rivista diventano strumenti preziosi di ausilio per i legislatori sportivi che sono diventati più rilevanti”. “Naturalmente – ha spiegato Napolitano – questa crescita quantitativa porta con sé dei rischi, come l’eccessivo complicarsi della matassa normativa o il pericolo di ingessare il sistema. Allo stesso tempo, bisogna evitare di affezionarsi tropo alle norme come sono scritte perché la vivacità di questi studi sta nel loro carattere concreto, e le riflessioni di oggi l’hanno fatto vedere bene quando hanno cercato di misurare alcune disposizioni normative alla luce di alcuni episodi giurisprudenziali. Anche a questo serve la Rivista, che nei prossimi numeri proporrà ulteriori focus su tematiche centrali del mondo dello sport contemporaneo. Credo che la riflessione giuridica sugli sviluppi dell’ordinamento sportivo abbia molto da dare sia nel misurare gli impatti di questa costruzione normativa sempre più complessa sia nel porsi criticamente i problemi e le questioni di fondo che riguardano il suo sviluppo”. 4 dicembre 2015

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