Il comunicato congiunto del 5 dicembre 2024 della Consob, della Banca d’Italia e dell’IVASS ha…
Alla Corte di giustizia UE la questione della trasformazione delle banche popolari in società per azioni
Sono rimesse alla Corte di giustizia UE le questioni: a) se l’art. 29 del Regolamento UE n. 575/2013 CRR, l’art. 10 del Regolamento delegato n. 241 del 2014, gli artt. 16 e 17 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea, anche in riferimento all’art. 6, par. 4, del Regolamento UE n. 1024/2013 del Consiglio del 15 ottobre 2013, ostino a una normativa nazionale, come quella introdotta dall’art. 1, d.l. n. 3 del 2015, convertito con modificazioni dalla l. n. 33 del 2015 (e oggi anche art. 1, comma 15, d.lgs. n. 72 del 2015, che ha sostituito l’art. 28, comma 2-ter, TUB, riproducendo sostanzialmente il testo dell’art. 1, comma 1, lett. a), d.l. n. 3 del 2015, come convertito, con modifiche qui non rilevanti), che impone una soglia di attivo al di sopra della quale la banca popolare è obbligata a trasformarsi in società per azioni, fissando tale limite in 8 miliardi di attivo. Se, inoltre, i richiamati parametri euro unitari ostino a una normativa nazionale che, in caso di trasformazione della banca popolare in s.p.a., consente all’ente di differire o limitare, anche per un tempo indeterminato, il rimborso delle azioni del socio recedente;
b) se gli artt. 3 e 63 e ss. TFUE in materia di concorrenza nel mercato interno e di libera circolazione di capitali, ostino a una normativa nazionale come quella introdotta dall’art. 1, d.l. n. 3 del 2015, convertito con modificazioni dalla l. n. 33 del 2015, che limita l’esercizio dell’attività bancaria in forma cooperativa entro un determinato limite di attivo, obbligando l’ente a trasformarsi in società per azioni in caso di superamento del predetto limite;
c) se gli artt. 107 e ss. TFUE in materia di aiuti di Stato, ostino a una normativa nazionale come quella introdotta dall’art. 1, d.l. n. 3 del 2015, convertito con modificazioni dalla l. n. 33 del 2015 (e oggi anche art. 1, comma 15, d.lgs. n. 72 del 2015, che ha sostituito l’art. 28, comma 2-ter, TUB, riproducendo sostanzialmente il testo dell’art. 1, comma 1, lett. a), d.l. n. 3 del 2015, come convertito, con modifiche qui non rilevanti), che impone la trasformazione della banca popolare in società per azioni in caso di superamento di una determinata soglia di attivo (fissata in 8 miliardi), prevedendo limitazioni al rimborso della quota del socio in caso di recesso, per evitare la possibile liquidazione della banca trasformata;
d) se il combinato disposto dell’art. 29 del Regolamento UE n. 575/2013 e dell’art. 10 del Regolamento delegato UE n. 241 del 2014, ostino a una normativa nazionale, come quella prevista dall’art. 1, d.l. n. 3 del 2015, convertito con modificazioni dalla legge n. 33 del 2015, per come interpretata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 99 del 2018, che consenta alla banca popolare di rinviare il rimborso per un periodo illimitato e di limitarne in tutto o in parte l’importo;
e) qualora in sede interpretativa la Corte di Giustizia assuma la compatibilità della normativa eurounitaria con l’interpretazione prospettata dalle controparti, si chiede che la medesima Corte di Giustizia valuti la legittimità europea dell’art. 10 del Regolamento delegato UE n. 241 del 2014 della Commissione, alla luce dell’art. 16 e dell’art. 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (per cui: “ogni individuo ha il diritto di godere della proprietà dei beni che ha acquistato legalmente, di usarli, di disporne e di lasciarli in eredità. Nessuno può essere privato della proprietà se non per causa di pubblico interesse, nei casi e nei modi previsti dalla legge e contro il pagamento in tempo utile di una giusta indennità per la perdita della stessa. L’uso dei beni può essere regolato dalla legge nei limiti imposti dall’interesse generale”), integrato, anche alla luce dell’art. 52, comma 3, della medesima Carta (per cui: “laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione. La presente disposizione non preclude che il diritto dell’Unione conceda una protezione più estesa”) e dalla giurisprudenza della CEDU sull’art. 1 del 1° protocollo addizionale alla CEDU (1).
(1) La Sezione si è espressa sul tema della trasformazione delle banche popolari in società per azioni, in relazione alla posizione dei due soli istituti di credito che non hanno dato attuazione al d.l. n. 3 del 2015 in tema di “Misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti” considerandolo in contrasto con la disciplina nazionale e comunitaria.
La vicenda era stata parzialmente già sottoposta al giudizio della Corte costituzionale che aveva ritenuto non in contrasto con la Costituzione le censure sulla carenza dei presupposti di necessità e di urgenza a sostegno del decreto legge, nonché alcune altre doglianze.
Ha chiarito la Sezione che le questioni poste dai promotori dei quesiti ruotano, in pratica, intorno a tre perni argomentativi.
In primo luogo, a loro avviso, sarebbe sostanzialmente incongrua e priva di base giuridica, specie di rango sovranazionale, l’avvenuta fissazione in 8 miliardi di euro della soglia di attivo al superamento della quale una banca popolare italiana sarebbe costretta a sottomettersi ad una delle tre opzioni alternative date dalla riforma introdotta con il d.l. n. 3, ossia trasformazione in società per azioni della banca popolare, riduzione del suo attivo al di sotto della predetta soglia di 8 miliardi di euro, liquidazione.
Deducono le parti, in pratica, che tale soglia sarebbe eccessivamente esigua e che soglie di importo ben più elevato si sarebbero potute individuare, anche alla luce di quelle – per ragioni peraltro diverse – valevoli in ambito europeo.
La Sezione non nasconde l’esistenza di possibili margini di perplessità in merito alla fondatezza dei contenuti di tale questione, reputando in ultima analisi adeguate le considerazioni espresse al riguardo dalla Corte Costituzionale, secondo la quale – in sintesi – l’individuazione di tale soglia sarebbe rientrata nelle libere potestà decisionali del Legislatore nazionale, tenuto conto dell’obiettivo ultimo che si era inteso perseguire – mediante la riforma attuata dall’art. 1, d.l. n. 3 – con l’individuazione di siffatto, scriminante limite quantitativo: quello di abbracciare quante più significative (per volumi operativi) banche popolari nazionali nel progetto demolitorio delle loro tradizionali prerogative, soprattutto a livello di governance, onde assicurare all’opposto che la loro forma societaria divenisse più coerente con le dinamiche proprie del mercato di riferimento, ne garantisse una maggiore contendibilità e, inevitabilmente, ne promuovesse una maggiore trasparenza nell’organizzazione, nell’operatività e nella funzionalità.
Tuttavia il Consiglio di Stato non ha potuto fare a meno di rilevare la stretta interconnessione di tale questione con quella conseguente e più ancora rilevante, che ad essa si lega: ossia la questione dei limiti al rimborso al socio, che recedesse in occasione della trasformazione di una banca popolare in società per azioni, delle proprie azioni e degli eventuali altri suoi strumenti di capitale riferibili alla banca popolare ante trasformazione.
Tra le due questioni esiste un evidente nesso di reciproca correlazione e, per quanto si dirà, la disamina della seconda questione implica anche l’eventualità di un dubbio interpretativo in ordine alla legittimità stessa di un atto proprio dell’Unione. Aspetto tematico, quest’ultimo, rispetto al quale – quando lo stesso si ponga – un giudice nazionale, specie di ultima istanza, non risulta essere dotato, in pratica, di strumenti solutivi diversi dalla stessa promozione dell’incidente pregiudiziale.
Con il loro secondo quesito i relativi promotori dubitano che la soglia di attivo di 8 miliardi di euro, scelta dal Legislatore nazionale quale parametro al superamento del quale una banca popolare nazionale è tenuta a scegliere tra una delle tre opzioni alternative innanzi dette, sia coerente con le norme europee in materia di mercato interno e di libera circolazione di capitali.
Assumendosi come vero il complesso delle prerogative (che andrebbero ormai considerate superate, se non addirittura nocive, per un sano e prudente esercizio di attività bancaria, specie quando essa si espanda oltre un certo limite dimensionale), specie di governance, di cui godrebbe una banca popolare, si ritiene che l’introduzione in Italia di un valore-soglia così basso – al superamento del quale, in particolare, una di esse non potrebbe (per la sopravvivenza della sua attività bancaria) fare a meno di trasformarsi in società per azioni – finirebbe per determinare condizioni sfavorevoli alla persistente validità ed opportunità di un siffatto modello organizzativo (quello della banca popolare) dell’attività bancaria, ponendo quelle residue (contenute ormai in limiti dimensionali eccessivamente esigui) in posizioni deteriori rispetto ad altre analoghe (per forma) realtà aventi base in Paesi diversi dell’Unione.
Anche al riguardo il Consiglio di Stato non nasconde l’esistenza di possibili margini di perplessità in merito alla fondatezza della questione. Specie perché, essendo l’obiettivo della riforma di cui al d.l. n. 3 preordinato al raggiungimento di un corretto equilibrio tra forma giuridica e dimensione di una banca popolare, da un lato, e rispetto delle regole prudenziali di matrice europea nell’esercizio della connessa attività bancaria, dall’altro lato, sarebbe stato probabilmente utile che i promotori del dubbio interpretativo offrissero, in termini di prova, una più tangibile dimostrazione che (riferito alle due ultime banche popolari riottose rispetto all’adeguamento alla riforma di cui al d.l. n. 3 ovvero ad altre analoghe banche anche di dimensioni maggiori) l’assetto organizzativo e funzionale di una banca popolare, non più di esigua dimensione, non nuocesse, in alcun caso e sotto alcun profilo, ad un soddisfacente rispetto delle regole prudenziali di settore.
Tuttavia il Consiglio di Stato ritiene necessario che la Corte europea si pronunci anche su tale aspetto per la stretta correlazione tematica sopra riportata e per consentire una decisione che valuti la questione nella sua interezza.
Col terzo quesito, poi, si dubita che la ricordata recente normativa nazionale, che impone la trasformazione della banca popolare in società per azioni in caso di superamento di una determinata soglia di attivo, prevedendo limitazioni al rimborso della quota del socio in caso di suo recesso, per evitare la possibile liquidazione della banca trasformata, possa collidere con la normativa di fonte comunitaria in materia di aiuti di Stato.
Ciò perché la garanzia a finalità prudenziale che discenderebbe dalla limitazione, anche in toto ed anche sine die, del rimborso del socio recedente avverrebbe con risorse economiche di privati (i soci) rese (coattivamente) disponibili per la banca popolare, non già con altre risorse sue proprie.
Al riguardo, in disparte il fatto che tali risorse non sono pubbliche (onde già di per sé potrebbe venire meno un importante indice sintomatico di un sospetto aiuto di Stato), si potrebbe dubitare della fondatezza del quesito altresì in rapporto ad un altro indice sintomatico, ossia quello della selettività della misura criticata.
Non pare esservi dubbio invero che, al di sopra della soglia-valore innanzi detta, qualunque banca popolare interessata dalla riforma di cui al d.l. n. 3 è soggetta alla osteggiata disciplina limitativa.
Anche a tale proposito, però, è necessario rimettere integralmente alla Corte di giustizia il ventaglio censorio che è stato prospettato.
Il quarto ed il quinto quesito affrontano una medesima questione, seppure da angoli visuali e con prospettazioni diverse, non affrontata dalla sentenza della Corte costituzionale n. 99 del 2018.